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venerdì 28 aprile 2017

Ewwa e il concorso di scrittura per le tastiere fumanti


La signora in maglia verde che firma il libro è la scrittrice Loretta Emiri, amica mia e degli Indios della foresta amazzonica, con i quali ha vissuto per una ventina d'anni tra gli anni Settanta e Novanta.
Non sono riuscita a intervistarla anche sul suo ultimo lavoro, ossia "A passo di tartaruga", ma per sua fortuna Loretta ha ottenuto articoli e recensioni certamente più importanti di quelli che avrei potuto scrivere io.
Ho scelto di pubblicare (o forse ripubblicare) la foto che le ho fatto durante l'incontro alla Casa della Memoria di Servigliano (Fm) nel febbraio dell'anno scorso per parlare di donne che usano la penna come modo per stare al mondo.

Loretta è una di quelle cui riesce particolarmente bene, considerati i non trascurabili sacrifici cui si sottopone ogni giorno per restare incollata alla tastiera e/o per non soccombere a quella vocina disfattista che ronza nelle orecchie di tutte le persone naturalmente portate a non prendersi troppo sul serio. Per fortuna, quel fastidioso Grillo parlante non ha avuto la meglio, per cui possiamo godere delle sue parole.

Oltre a lei, ce ne sono in giro di valenti, ciascuna nel proprio ambito di competenza. 
Sono dispiaciuta, per dire, di non poter ascoltare domani alle 18.30, alla sala Castellani di Porto San Giorgio, Alice Basso che parlerà del mestiere di ghost-writer.
Non vi nascondo che ho pensato spesso che avrei potuto buttarmici pure io, anche se, ovviamente, bisogna che ci sia uno scrittore-scrittore che mi ritenga in grado di prendere i suoi panni. 

Sono sicura che verranno fuori dettagli interessanti dall'incontro di domani, l'ultimo della serie di cinque (se non vado errata) organizzato dall'associazione European Writing Women (Ewwa) con il patrocinio dell'assessorato comunale alle Pari opportunità, intitolato "Non solo rosa".

Oltretutto, dalla foto del comunicato stampa che mi hanno inviato, Alice Basso pare abbastanza giovane da poter dare a chi è più vecchietto di lei la giusta riverniciata alle proprie idee sulle insidie e le opportunità offerte dal mondo editoriale. Chi può ci vada, insomma.

A proposito di dritte per le tastiere fumanti (mamma mia che brutta metafora), segnalo la novità offerta proprio dalla rete delle scrittrici, blogger, sceneggiatrici e traduttrici di cui fanno parte anche le promotrici della rassegna letteraria sangiorgese, ossia Christina Assouad ed Eleonora Vagnoni, rappresentanti per Ewwa delle regioni Marche e Abruzzo.

Si tratta del loro primo concorso letterario nazionale (aperto a donne e uomini) destinato alle storie di rinascita al femminile, con particolare attenzione a quelle riguardanti donne che hanno subito violenza. Oltre ai premi principali assegnati alle prime tre classificate, in altri termini, Ewwa ha previsto cinque menzioni speciali per articoli, reportage, saggi e trasmissioni giornalistiche che si sono occupate di violenza di genere.

Non ci sono soldi, questo è bene saperlo, ma non si paga per partecipare e in ogni caso già essere pubblicati in cartaceo e digitale (per chi ottiene il primo premio) e ricevere un e-reader per leggere in maggiore scioltezza non è affatto male.

Per ulteriori dettagli c'è un link: qui vi basta sapere che c'è tempo fino a fine anno per mandare i propri lavori.

A mio modesto parere, chi ha qualcosa di significativo da raccontare conviene che si butti a prescindere. Datemi retta: non esiste l'occasione della vita, ma tante mini-chance da... sbranare.

Roar.

Alla prossima.


mercoledì 2 marzo 2016

In viaggio/bis con l'amazzone Loretta Emiri. E le nostre autiste nel cuore

Loretta Emiri firma il suo libro "Amazzone in tempo reale" per le "meninas" di Servigliano

Sono proprio contenta di come sia andata lo scorso lunedì a Servigliano: Loretta Emiri è riuscita a incantare le signore, anzi le meninas, le ragazze alla portoghese maniera, intervenute all'incontro organizzato dall'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina alla Casa della memoria ricavata nella ex bellissima, vecchia stazione della cittadina fermana.
Io pure mi sono guadagnata ben due mazzi di fiori, nonché svariate eccezionali frittelle di mela "dop" preparate da una cortesissima associata. Soprattutto, mi sono sentita accolta e valorizzata. Davvero grazie.

Cos'altro aggiungere?
Questo: stamattina il Corriere Adriatico ha pubblicato buona parte delle righe di resoconto che avevo inviato a Utete e al mio contatto in redazione. E' una piccola cosa, ma anche in questo caso sono lieta che per una volta tutto sia filato senza intoppi.

Mentre guidavo sotto la pioggia battente con Loretta affianco, ho mantenuto una calma lucida che mai avrei immaginato di provare: sembrava quasi che a condurci fossero altri autisti. Altre autiste, di nome Anna Luisa e Ada, le nostri amazzoni generatrici che da qualche tempo ci seguono da un'altra parte.

Non volevo ammetterlo neanche con me stessa, ma era inevitabile che già durante i giorni che hanno preceduto la conferenza di lunedì mi sarei ritrovata ad associare il nostro secondo incontro pubblico al precedente di due anni fa, quando questa seconda o terza fase della mia vita doveva ancora cominciare.

Loretta è stata più diretta di me e ha aperto il suo dialogo con la platea serviglianese proprio partendo dal ricordo di sua mamma. Inevitabilmente ho finito per tirare dentro anche la mia, ma ho cercato di non cedere, almeno non troppo, all'autobiografia per lasciare il doveroso spazio a lei e al suo bel libro Amazzone in tempo reale.

Devo dire, però, che il contesto così caloroso si prestava alla fuoriuscita di emozioni più personali, per cui va bene così.
Ho, peraltro, apprezzato moltissimo il modo in cui Mara Cherubini, la presidentessa dell'Utete, ha presentato l'autrice e la sottoscritta. Avrebbe dovuto pensarci un'altra persona (il bravissimo e impegnatissimo Stefano Bracalente), ma questa mitica donna è riuscita in poco tempo a organizzare un discorso simpatico e vivace. Accidenti che professionista.

La sera di lunedì, ve lo confesso, ero distrutta: si capisce da questi particolari quanto mi sia disabituata a stare in mezzo alla gente.
A distanza di due giorni, sono ancora parzialmente in palla. Ma va benissimo così: ve l'ho detto, è bello e onorevole stancarsi.

Al prossimo massacro, amici.

giovedì 25 febbraio 2016

Servigliano (Fermo) incontra Loretta Emiri, amazzone in tempo reale


A distanza di due anni, eccoci di nuovo qua, cara amica Loretta Emiri, scrittrice e indigenista, madrina, non solo spirituale, degli Indios Yanomami che hai ben conosciuto nei quasi vent'anni trascorsi laggiù al confine tra Brasile e Venezuela.
Lunedì prossimo 29 febbraio, a partire dalle 16, dialogheremo infatti alla Casa della memoria di Servigliano, ed io, esattamente come la volta scorsa, cercherò di sparire dietro alle domande che ti porrò per lasciare spazio al tuo libro Amazzone in tempo reale, ma soprattutto a te, che meriti tutta l'attenzione del caso.

Preparandomi a riparlare della tua ultima fatica stampata, ho scoperto quanti altri tuoi testi circolino sul Web e non solo. Mi dirai, ci dirai, anzi, a noi che verremo ad ascoltarti, quali siano gli elettrizzanti nuovi progetti in cui ti sei lanciata. 

Sei davvero unica, lasciatelo dire: mai conosciuto una donna con una forza e una sensibilità come le tue. Continuo, a tratti, a provare nei tuoi confronti una certa soggezione, perché invece io continuo grandemente a svicolare. 
Hai scritto della paura provata in altre fasi della tua vita per gli eventuali successi che avresti potuto raccogliere, buttandoti. Alla fine, il carattere ha avuto la meglio e l'hai fatto: ed è una gran fortuna per noi che ti abbiamo conosciuto e per chi lo farà in futuro.

Non conosco direttamente le terre degli indigeni d'America da te narrate nei brani che compongono il libro dalla copertina verde riprodotto nella locandina che vedete sopra, ma la tua scrittura vivace e insieme sorprendentemente carsica me le hanno fatte amare.

Sono, devo dirtelo, piuttosto pessimista sul destino della battaglia per la conservazione di quel che resta di territorio, costumi e tradizioni originarie di tutta l'America del Sud (quanto è successo nell'omologa del Nord non lascia ben sperare), ma, al contempo, credo che si debba continuare a lottare, come fai tu anche a distanza, qui in questo enorme e contraddittorio vecchio mondo, scosso dal suo interno da altrettante giustissime rivendicazioni di nuova vita e spazi da parte di altrettanti esodati da casa loro. 

Dici bene: dare voce a chi non ce l'ha è un impegno morale, difficile da mantenere, certo, presi come siamo più o meno tutti dal nostro privato, ma a tratti, pure brevissimi, noi occidentali ce la dobbiamo fare.

Il mio piccolo contributo è, dunque, proprio questo: il post che sto scrivendo e la conversazione che avremo insieme lunedì. E tutte quelle che seguiranno ogni volta che vorrai e si potrà.

A voi che mi leggete, se siete in zona, una preghiera: partecipate numerosi.

Agli amici lontani, se volete scoprire bellezze e tristezze di sconosciuti popoli d'Oltreoceano, nonché la donna eccezionale che ne ha scritto, comprate il libro di Loretta. 
E allargate, come è successo a me, gli orizzonti. 

Grazie all'Università del tempo ritrovato e dell'educazione permanente di Grottazzolina per aver organizzato l'incontro come due anni fa.
Grazie a voi che verrete ad ascoltarci.
Grazie a Loretta, ancora di più.

venerdì 21 marzo 2014

Loretta Emiri, Giacomo Leopardi e il progresso dell'uomo


 
 
Per pura coincidenza, ho terminato il montaggio del video che vedete sopra proprio la sera di mercoledì, giorno nel quale sono andata ad assistere alle Operette morali, lo spettacolo del Teatro Stabile di Torino, con la regia di Mario Martone, ricavato dagli omonimi scritti di Giacomo Leopardi, in scena al Teatro dell'Aquila di Fermo.
 
Giusto a chiusura della rappresentazione, sul palcoscenico è stata innalzata una enorme vela, punteggiata di segni geografici e abbozzi di mappe: l'accorgimento scenografico doveva trasportare noi spettatori sull'Oceano Atlantico, solcato da Cristoforo Colombo quando viaggiava alla volta del Nuovo Mondo.
 
Speravo tanto che nel dialogo tra l'attore che interpretava il famoso navigatore italiano e Pietro Gutierrez, il suo compagno d'avventura (personaggio affidato al bravissimo Renato Carpentieri, quello che in Caro Diario scappa via da Alicudi, urlando "frigoferooo, ascensoreee, televisioneee, telefonoooo"), si facesse un qualche accenno alle conseguenze dello sbarco nelle Americhe.
Certo, come la pensasse il grande poeta-filosofo di Recanati sul progresso lo si poteva capire anche da altri dialoghi (fenomenale, per esempio, quello tra Timandro ed Eleandro).
 
Un riferimento esplicito, però, mi avrebbe aiutato a trovare un aggancio tra l'entusiasmante esperienza teatrale dell'altra sera e quella vissuta in compagnia di Loretta Emiri, la mia amica scrittrice, a sua volta amica (alleata) degli Indios d'Amazzonia, che ho avuto l'onore di accompagnare durante la sua conversazione con il pubblico presente lo scorso 8 marzo a Monte Giberto, in occasione dell'incontro organizzato dall'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina, un altro alacre paese in provincia di Fermo.
 
E tuttavia non importa.
L'aggancio tra il pensiero dell'immortale genio recanatese e quello di Loretta c'è comunque.
Il progresso, di per sé, è un'illusione, sembrano dire entrambi. O meglio: tale è il progresso tecnologico, se privo di analogo progresso morale da parte degli uomini.
 
Negli anni Settanta, ossia il periodo in cui Loretta è approdata in Amazzonia, gli indios brasiliani (e non solo loro) erano ridotti a poche centinaia di migliaia. Grazie all'intervento di missionari, religiosi e laici, le loro condizioni sono andate via via migliorando, al punto che l'eguaglianza tra indios e bianchi (ma anche, naturalmente, meticci di ogni ascendenza) è diventato principio fondante della Costituzione del Brasile, entrata in vigore nel 1988, dopo la fine della dittatura militare. E Loretta è giustamente orgogliosa di aver dato il suo contributo alla cosiddetta opera di "coscientizzazione" delle popolazioni native di quel bellissimo Paese all'altro capo del mondo.
 
Perché sia andata lì e non in Africa, per esempio, la scrittrice indigenista l'ha spiegato con parole semplici, intrise di quella modestia orgogliosa che contraddistingue il suo carattere. Loretta non voleva "evangelizzare" nessuno e in Brasile, almeno per l'esperienza che ha avuto lei, non era questo lo scopo principale che ci si prefiggeva.
 
I primi tempi, anzi, si è dovuta rimboccare le maniche prestando anche aiuto sanitario, lei che era, nella sua prima vita, titolare di un'agenzia di assicurazione, niente di più lontano dalle esigenze di pura sopravvivenza nutrite laggiù all'epoca.
 
In seguito si è trasformata in formatrice di maestri indios ed è lì, immagino, che si deve essere compiuta la sua totale trasformazione.
Ho volutamente lasciato l'attimo di commozione che si avverte nella sua voce mentre legge il brano dedicato agli abbecedari realizzati direttamente dai nativi.
 
Tra le parti che ho tagliato, con un certo rammarico, c'è la risposta che la nostra "eroina dei due mondi" ha dato a una delle molto stimolanti domande del pubblico: se gli indios del Nord del Brasile, gli Yanomami con i quali Loretta ha anche vissuto direttamente in foresta, erano i più preservati dal contatto con l'uomo bianco - ha chiesto a un certo punto una signora - perché andarli a disturbare?
 
Perché il "disturbo", ha risposto la scrittrice, c'era comunque già stato: a insidiarli, ci avevano già pensato i cercatori d'oro e la strada da loro fatta costruire che si addentrava nella foresta lambendo anche i villaggi più sperduti.
Si potrebbe dire: ma il progresso non si può fermare. Certo che no, ma mi domando e vi domando: è progresso quello che porta con sé anche malattie, fisiche e morali, come ha raccontato Loretta?
 
E in ogni caso, anche ammettendo che, in effetti, non si può più tornare indietro, chi l'ha detto che tutti vogliamo vivere in città assediate da fumi e rifiuti? Perché, in altri termini, invadere tutto il pianeta con un modello di sviluppo che sta già da anni cominciando a implodere?
 
Non si tratta di essere fintamente ecologisti, si tratta di lasciare coesistere, a beneficio di ogni creatura vivente, alternative concrete allo stile di vita della maggioranza dei popoli.
Anche senza arrivare all'essenzialità dei nativi amazzonici, insomma, potremmo imparare da loro moltissimo. Potremmo esercitarci a essere più autentici, più umani, in una parola.
 
Leggendo Loretta e ascoltandola parlare, si coglie tutta la vastità del mondo. E ci si ricorda, come diceva Leopardi nel Dialogo della natura e di un islandese, che non ne siamo affatto i padroni.
 
La superiorità dell'uomo, quella sì, è un'illusione.
Chi volesse continuare a perseverare in questa convinzione, in ogni caso, impari a esserlo davvero, lasciando in pace chi ha un'altra idea, di sé e degli altri.

martedì 4 marzo 2014

In viaggio con Loretta Emiri (e la sua mamma) da Monte Giberto all'Amazzonia!


Che effetto mi fa leggere il mio nome in fondo alla locandina in arancio che vedete qui sopra! Sapete perché?
Perché l'incontro con Loretta Emiri è stato così casuale da farmi pensare che non lo sia stato affatto.
Per il momento mi limito a scrivere solo queste parole. Ciò che più conta, infatti, è che veniate a sentirla parlare, con la sua voce cristallina e la sua prosa asciutta e accurata.

Rimando a dopo il nostro incontro il resoconto di quella che già so sarà un'esperienza indimenticabile: a partire dal viaggetto che ci faremo con la Micra scassata verso Monte Giberto (per i non locali trattasi di un paese in provincia di Fermo).

Non vedo l'ora di avere di nuovo a bordo le due Thelma e Louise di Narni pronte sempre all'avventura... parlo di Loretta e della sua simpaticissima mamma. Io faccio solo la chauffeur (di qui la dicitura "conduce" sulla locandina. Ma potrebbe darsi che farò solo l'aiuto-ch etc etc, se ci dovesse scortare il mio burbero dal cuore d'oro consorte: quanta pazienza ci vuole, eh, Adarella?).

A sabato alle 16, allora: vi aspettiamo!

martedì 17 settembre 2013

Amazzone in tempo reale, una lezione di dignità in forma di libro

Foto di Loretta Emiri, autrice di Amazzone in tempo reale, Livi 2013

Non è facile recensire Amazzone in tempo reale di Loretta Emiri. Pur essendoci conosciute meno di due anni fa, Loretta è infatti diventata una delle mie amiche più importanti: l’ansia da prestazione è così divenuta davvero consistente, soprattutto perché i temi che affronta nel suo libro mi graffiano la pelle più delle unghie dei miei gatti. Per tentare di vincerla, comincio intanto col dire che è solo merito di Loretta se, capitolo dopo capitolo, ho imparato a distinguere i nomi e le abitudini di quel che resta delle popolazioni autoctone del Brasile (e non solo di quest’ultimo), cogliendo in più di un passaggio quanta nostalgia si sia sedimentata nell’anima, negli occhi e nella stessa postura della mia amica dal bell’accento umbro. Dopo circa vent’anni di condivisione sempre più intensa della cosiddetta causa indigenista, Loretta è tornata in Italia, che deve esserle davvero sembrata una prigione, umida (anzi fredda, non solo meteorologicamente) e angusta.
Non si tratta di farsi passare per amici degli ultimi della terra, per un frainteso senso di solidarietà con “chi sta peggio di noi”. Loretta non è tipo da sentimentalismi a buon mercato. La sua apparente durezza (anche nella lingua che adotta) è frutto di una sofferta crescita interiore, di una lucida (fin troppo impietosa) autoanalisi, tipica delle menti più vivaci. La mia amica stana l’ipocrisia come saprebbe fare solo un animale con la sua preda. Una volta che l’ha scovata, si può star certi che ce lo farà sapere. Ci lavorerà su per giorni, per anni, forse, ma prima o poi la sua riflessione si trasformerà in testo scritto, in un “brano”, come definisce lei stessa i capitoli che compongono il libro. Illuminante è, per esempio, la descrizione degli appunti-patchwork dai quali ha tratto l’ultimo brano, il più duro, probabilmente, comunque il più adatto a chiudere la sua originalissima rielaborazione dell’esperienza brasiliana, ricca di aneddoti tratti dalla sua vita di formatrice di insegnanti indios, un incarico che l’ha messa in contatto diretto con diverse realtà: innanzitutto con gli indios, ai quali Loretta dedica le parole più dolci, per via delle molte occasioni in cui le hanno mostrato amicizia, accoglienza semplice e profonda condivisione; poi con i missionari (e le suore), che non sempre descrive con parole accomodanti (tutt’altro, in certi passaggi), per via delle troppe occasioni di mancato incontro non tanto con lei, quanto con gli esponenti delle popolazioni native; infine con i politici brasiliani e in generale i discendenti dei conquistadores, non sempre in grado (per essere diplomatici) di offrire vero supporto alla causa indigenista.
Non sto mettendo le mani avanti, ve l’assicuro, è solo che, man mano che scrivo, capisco ancora di più perché mi fosse difficile stendere una recensione accurata e onesta del libro di Loretta, un’opera essenzialmente autobiografica, cui però si mescola, per forza di cose, la storia con la S maiuscola, riconosciuta tale solo in anni molto recenti, anche grazie all’azione di persone come lei e degli indios dall’autrice medesima resi immortali proprio con i suoi racconti.
Sì, era davvero arduo realizzare una sorta di diario ragionato degli anni presumo più belli della vita vissuti dall’autrice finora (ma essendole amica, ovviamente le auguro di passarne di mille altri di periodi così) e al contempo confrontarsi con la complessità della questione amazzonica, resa ancora più intricata dalla presenza di altri “povirazzi” (alla Montalbano) espulsi da una globalizzazione sempre più aggressiva, la stessa che anche in Europa sta facendo vittime di ogni genere.
Che dire, poi, delle delusioni che sento inevitabilmente anche mie, provocate in Loretta da un mercato editoriale pressoché asfittico, ostile, quasi, alle voci fuori dal coro, coriacee all’editing contemporaneo, capace di promuovere troppo spesso solo storie in serie?
E pensare che, all’apparenza, il libro di Loretta potrebbe attrarre un certo tipo di editoria impegnata, amica dei popoli, sinistrorsa, diciamo così. Come già accennato, però, l’autrice non è capace di fingere, non apparterrà mai ad alcuna parrocchia, né santa né laica. Lo si capisce bene già dal passaggio che riporta nella quarta di copertina, laddove sgombra il campo sul più macroscopico degli equivoci in cui noi occidentali cadiamo quando parliamo di Amazzonia (e anche di Africa, aggiungerei). Tutelarne la sussistenza non coincide affatto con la salvaguardia del “polmone verde del mondo”, una definizione che mai verrebbe in mente agli Indios. Se questi ultimi vogliono difendere l'Amazzonia, infatti, non lo fanno di certo per ragioni ecologiste. Semmai per ragioni ecologiche, nel senso primigenio del termine: se sparisce la foresta, ci dicono gli indios da anni, spariamo noi. Il che significa la fine di un modo diverso, non alternativo nel senso che l’aggettivo ha assunto durante l’era hippy, di vivere. Se cancellate l’Amazzonia, gridano come possono, cesserà per sempre un modo differente di stare al mondo, al quale stiamo già rinunciando, pezzo dopo pezzo, per via dell’ormai non più cancellabile contatto con voi bianchi.
Tra gli esempi di contaminazione già in atto, in particolare, Loretta si sofferma sul rimpicciolimento di alcuni oggetti di artigianato cosiddetto etnico per dare agli occidentali che li acquistano la possibilità di trasportarli più agevolmente.
Di per sé, a mio avviso, i contatti tra i popoli sono sempre arricchenti, ma diventano di altra natura quando non c’è equilibrio tra le parti.
I piccoli fanno sempre grande fatica a cavarsela. Posso ben dirlo io, dall’alto dei miei 152 centimetri.
Allo stesso tempo, i piccoli possono comunque creare qualche ostacolo, con il cervello, il cuore e le parole. Questo, certo, finché non si passa sul piano della forza fisica.
Fino a quel giorno, però, non si potrà fare a meno di lottare, mostrando con il proprio stesso stare al mondo una dignità da giganti.
E Loretta è un vero e proprio Golem di dignità, in ogni cosa che fa.
A lei, il mio più sentito grazie.
A voi, che di certo adesso acquisterete il suo libro, buona lettura.

mercoledì 4 gennaio 2012

Sulla maternità

Il tipo in primo piano è un artista: si chiama Maurizio Governatori. L'opera sullo sfondo ha suscitato la mia curiosità prima di tutto perché ha sostituito un'installazione con due oche vere che mi aveva lasciato alquanto perplessa; in secondo luogo, per il soggetto raffigurato.
Si tratta di una maternità "negra", ritratta, probabilmente, dal vivo in uno dei frequenti viaggi che sembra faccia l'autore. Da quel che ho capito, Governatori è più all'estero che in patria, il che gli fa onore, considerato l'attaccamento dei locali alla loro terra d'origine. Un attaccamento giustificato dalla bellezza delle colline marchigiane, tuttavia un po' soffocante se privato dell'umano desiderio di allargare i propri orizzonti.
Forse, qualcosa del genere succederà anche ai conterranei della Madonna nera dipinta dal nostro: indirettamente lo conferma Loretta Emiri nel suo libro "Quando le amazzoni diventano nonne", in cui, con molta originalità, l'autrice accosta la propria storia familiare, rurale e povera, con gli usi degli Indios Yanomami, con cui ha vissuto per anni.
Loretta è una piccola donna dallo sguardo lungo: solo una persona dotata di queste caratteristiche poteva compiere un'operazione così azzardata, e cioè sfatare il mito del buon selvaggio e insieme farci rivivere i tempi semplici, ma estremanente duri, dell'Italia della prima metà del Novecento.
La maternità, ai tempi, poteva essere atroce, quando era conseguenza di rapporti ferini, per nulla desiderati, soprattutto dalle donne.
Non so, non posso dirlo, se quella donna nera sia felice o meno della sua pancia esibita e dei suoi meravigliosi seni già prossimi all'allattamento, ma so con certezza che non tutte le donne vorrebbero trovarsi in quella condizione, sotto lo sguardo indiscreto di estranei che ne soppesano le forme.
Loretta Emiri scrive di non aver voluto figli per scelta: dovrò chiederle perché e se la sua decisione abbia a che fare con la brutalità biologica cui è condannata la madre, costretta per mesi a stare alle regole stabilite dalla creatura generata.
Una coppia che mi è molto cara non ha voluto figli per non accelerare, mi ha detto, l'esaurimento delle risorse terrestri. Di avviso simile sono tutti quelli che ritengono la procreazione un bisogno primitivo, l'opposto di una società evoluta, che invece dovrebbe mirare a prendersi cura di tutte le creature, non solo dei cuccioli d'uomo. E in effetti, non è un caso se nei paesi più civilizzati i figli siano diventati sempre di meno.
A volerlo, sono state innanzitutto le donne: per questo, poi, ci sono blogger fintamente provocatori che scrivono che sarebbe meglio che queste ultime non studiassero.
A ben guardare, è proprio così: più c'è cultura, più ci si tiene lontane dalla maternità.
Forse, finito di posare, quella bellissima futura madre nera avrà chiesto all'artista di parlarle dell'Italia, di illustrarle le abitudini di un popolo così lontano, incalzandolo con domande sempre più dettagliate.
Le donne sono curiose, quasi tutte, e quando hanno la possibilità di ragionare con la propria testa, difficilmente si lasciano imporre un destino.
Fare la madre, probabilmente, non è il mio: mi dispiace se deluderò familiari e amici, ma comincio a pensare che sia così.
Sono troppo vecchia e il mio corpo sta scegliendo per me. Prima, ho voluto conoscere, viaggiare, studiare e amare in libertà. Non posso farci niente se ho avuto le possibilità economiche per scegliere chi diventare.
E chi sono? Chi sarei? Una donna abbastanza serena, abbastanza realizzata, sempre desiderosa di scoprire cose nuove, pronta a sperimentare nuovi cambiamenti, nonostante la precarietà e il peso di un futuro sempre meno limpido.
Psicologicamente, oggi sarei pronta a fare la mamma. Avrei voglia di raccontare quel che so (e quello che non so) a mio figlio o mia figlia (o a tutti e due: geneticamente sarei predisposta a generare gemelli!), ma non me la sento di forzare la natura, non lo trovo giusto. Questo sì che sarebbe egoistico e tremendamente occidentale.
Così leggo di altre maternità, di amiche e di donne lontane (Gabriela Wiener ha scritto un bellissimo racconto sul parto naturale nel numero speciale delle Storie di Internazionale), commuovendomi ai loro aneddoti e partecipando alla loro fatica.
Se potessi, darei una mano a tutte le mamme, cullerei i loro piccoli e mi divertirei a giocare con loro. Sono capace di stare con i bambini, me ne sono accorta con i miei nipoti e, anni prima, con il primogenito di una mia amica ormai lontana.
La vita, però, è bizzarra, il destino ancora di più.
Intanto, il sangue rosso, quello che richiede una vera e propria iniziazione tra le donne yanomami, scorre e se ne va, ancora un'altra volta, chissà per quanto tempo ancora.
Quando è comparso la prima volta, con un certo anticipo rispetto alle mie coetanee, sono stata dal dottore: nessuna iniziazione, dunque, ma solida, razionalizzante, medicalizzazione.
E così che va la vita tra le donne acculturate nate nel benessere. Una condizione che sta via via esaurendosi, già, e chissà che non sia proprio l'istinto materno a tenermi alla larga dalla miseria cui potrei condannare i miei figli qualora li generassi.
Se non doveste arrivare, come comincio a credere, sappiate che vi avrei voluto bene. Un bene ancestrale e primitivo, un bene che nessun libro, nessuna storia saprebbe mai narrare.