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lunedì 11 maggio 2020

La mia prima intervista da expat? A un'abruzzese come me, natürlich!



Vado particolarmente fiera della pagina che vedete sopra. Mi colpiscono innanzitutto i colori, il rosso su tutti, del cappello e della maglia dell'intervistata, e l'arcobaleno sottostante, diventato il simbolo di questo periodo così assurdo, non solo in Italia.

E' difficile non cedere alla tentazione della retorica, quando si cerca di tenersi a galla in qualche modo. Stavolta, l'impegno è gravoso per un numero di persone maggiore, anche qui, nel primo mondo.

Non so, infatti, se andrà proprio tutto bene, nessuno può dirlo, ma mi piace pensare che l'impegno che noi umani ci mettiamo per risollevarci, prima o poi, sarà premiato.

La storia di Francesca, ricercatrice universitaria incrociata per un colpo magico del destino, al corso di tedesco, è un magnifico esempio di quanto vado farfugliando.

In comune abbiamo la fierezza per le nostre origini, il sorriso vero e l'amore per lo studio. In più, lei ha l'estrema competenza di chi va a fondo delle cose e anche una leggerezza giovane che io temo di avere perso. 

L'intervista sarebbe dovuta uscire l'8 marzo, in occasione della Festa della donna. Quel giorno l'Italia si è fermata. Bloccate quassù in Austria, ci siamo trovate pochi giorni dopo a sperimentare il doppio isolamento di expat e di quarantenate. E l'articolo, naturalmente, è saltato.

Ma io, coccia tosta su statura schiacciata, non l'ho lasciato sfumare. Francesca meritava di ritrovarsi stampata in questo trionfo di colori (il merito del look in perfetto pendant con l'arcobaleno pare sia di suo marito, che così l'ha voluta immortalare). 

Il testo, naturalmente, andava aggiornato, la foto con la mascherina ci stava tutta e io ho molto apprezzato il fatto che lei si sia prestata.

Insomma: sono contenta di non aver mollato e di averla potuta vedere su Lu Centre, il quotidiano abruzzese con cui ho concluso il mio praticantato giornalistico, molti anni fa. 

Sono affezionata a quel giornale, che mio padre continua a comprare tutte le mattine. Ai tempi si ritagliava tutti gli articoli che scrivevo: alla fine me li ha rilegati in un quaderno con le copertine trasparenti che forse ho ancora. Oggi però, per potermi leggere, ha dovuto comprare l'edizione di Pescara: sacrilegio per un chietino. A pensarci adesso, probabilmente è stato costretto a fare lo stesso anche allora, visto che il mio stage si svolgeva sempre nel capoluogo rivierasco e non nella nostra città camomilla.

Ecco: anche questa è una cosa in comune che abbiamo, l'intervistata ed io, ossia l'attaccamento fortissimo per le nostre famiglie d'origine. Legami così ti proteggono a lungo, e ti spingono a rialzarti tutte le volte.

Personalmente nemmeno io so dove sarò di qui a dieci anni. A dirla tutta, non so nemmeno dove sarò di qui a sei mesi un anno. 
Visualizzo però anch'io, come lei, il mare, e quei lunghi pomeriggi in spiaggia con mia sorella, i miei nipoti, e prima ancora nostra madre, che amava restarsene seduta sulla sdraio a godersi le ultime luci.

Più passano gli anni, più mi vedo simile a lei, soprattutto in certe espressioni. 
Legami così vincono il tempo e ti sorreggono anche quando scricchioli. 

Ma ora basta parlare di me. Godetevi l'intervista e la forza quieta di questa giovane mamma.

E imparate a galleggiare con me, verso una ubertosa (ma sì, scriviamolo) e coloratissima nuova riva.



lunedì 12 gennaio 2015

Alla ricerca dell'ironia perduta, contro i profeti della pesantezza

Sentite, che cosa vi dire? Non ci posso fare niente, ma a me il dibattito di stamattina su Prima Pagina (Radiotre) tra gli ascoltatori e la giornalista di Libero Elisa Calessi (una bella e professionale giovane donna con un accento nordico tutto strittu strittu strittu... brutto anche l'eccesso di romanesco, eh, ma un po' di dizione collettiva non guasterebbe) ha fatto calare il latte alle ginocchia.

Offendere qualcun altro non è mai bello, ci mancherebbe altro. Però insomma, a me il politicamente scorretto spesso piace, soprattutto quando è democratico.
Non sto parlando di quello di Charlie Hebdo o del nostrano Vernacoliere (che pure mi ha strappato più di una risata ai tempi dell'università pisana), ma del buon vecchio Totò.

Prendete per esempio questa scena di Totò Sceicco:




Oppure quest'altra:




O da quest'altro film (Totò Le Mokò):






Beh, sono cresciuta, come molti nell'ex Regno Borbonico in particolare, con i film di Totò e il risultato sapete qual è? Continuano a farmi ridere tuttora. E non credo di essere la sola. Prendete, per esempio, Marco Presta del Ruggito del Coniglio, che nel suo modo di fare ironia ha preso tantissimo dal nostro Principe della risata.

Una risata liberatoria su tutto e tutti, la sua, frutto di un talento naturale difficilissimo da imbrigliare e da replicare (il grosso di queste gag erano improvvisate, come nel jazz). Un genio che, naturalmente, ai tempi non capivano in molti.

Non tutti i film di Totò sono belli, certo, e alcuni sono obiettivamente datati. Ma molti passaggi, soprattutto di quelli in cui il raffinato attore e poeta napoletano era ancora abbastanza giovane, se li guardi, non te li scordi più. Addirittura i miei nipoti, ossia quanto di più distante anagraficamente potrebbe esserci da quell'Italia che neanche io ho conosciuto, ridono di gusto.

E' stata mia sorella a proporgliene qualche pezzetto, da Miseria e Nobiltà, da Totò cerca casa, Totò Le Mokò per l'appunto e Totò Tarzan. In quest'ultimo, per dire, il Principe non risparmia pure qualche battutina sulla evidente femminilità di uno dei personaggi, alla faccia dei codici anti-discriminazione di adesso. 

La vera domanda che mi faccio è quindi la seguente: oggi saremmo in grado di partorire di nuovo un genio così? Se nascesse, saremmo in grado di capirlo o sarebbe uguale a cinquant'anni fa se non peggio? 
Sinceramente, io temo che sia vera la seconda che ho detto.

La generazione dei miei genitori, piena - sicuramente - di preconcetti sul diverso in generale è stata però in grado di crescere persone libere. E con la testa aperta. Non sto parlando solo di me, ovvio; parlo dei molti miei coetanei, etero, gay, trans, bisex, atei, credenti, miscredenti, clericali e anti-clericali, che possono LIBERAMENTE confrontarsi, discutere ed eventualmente accapigliarsi.

In molti di noi, però, vedo troppo spesso un limite, dato proprio dal grande privilegio che abbiamo avuto: l'assenza o per lo meno la carenza dell'ironia, l'unico strumento che ci permetterebbe di sdrammatizzare prima di tutto il nostro ego e poi quello degli altri.

Ve lo dico proprio apertamente: a me tutti sti' giovani barbuti che imbracciano i kalashnikov mi hanno rotto le palle che non ho. E trovo veramente incomprensibile che ci siano delle donne che li adorino, tra l'altro.

Non mi piace però ugualmente la condanna incazzata alla Ferrara e l'evocazione (veramente pericolosissima) della guerra santa con quella gravità da attori di terz'ordine che fa da esatto contraltare alla patetica serietà di quelli che un giornalista del Centro che è diventato il mito personale mio e di mio marito chiama cammellieri.

Perdonatemi, ma sono stanca di tutta questa pesantezza.

Non sono tempi facili, è così banale ribadirlo.
Però che palle, ragazzi.

Assorbito lo shock per la strage di Parigi (e per tutte quelle che succedono tutti i giorni nel mondo, ok, comprese le povere bambine kamikaze. Mamma mia che orrore), dobbiamo trovare la forza per alleggerire il carico, altrimenti come facciamo ad andare avanti?

Ognuno trovi il suo metodo, per carità, però, almeno, proviamoci. 
Lo confesso: io, qualche volta, quando sono particolarmente scornata, guardo i cartoni animati.
Ci sono pure altre attività interessanti che si potrebbero fare per scuoterci di dosso la pesantezza.
Non sto qui a scendere nei dettagli, ma insomma.

Quel che conta è solo questo: non dimentichiamoci di ridere e di auto-prenderci in giro.
Davvero: solo le uniche due armi che potrebbero salvarci, se non dalla bomba o la mitragliata bastarda di qualche idiota con turbante e non, ma almeno dalla morte in vita.

Di zombie in giro ce ne sono già troppi.
Non diamogliela per vinta.

Giusto per inciso, prima di chiudere: Totò, terrone come me, prendeva per il naso pure i suoi conterranei. Quel personaggio da basso avanspettacolo di Salvini è in grado di fare altrettanto?

A voi la risposta. La mia è questa: