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domenica 4 maggio 2014
Senigallia e la sindrome (tutta italiana) dell'emergenza continua
Spero di rivedere a breve Senigallia così.
Certo è che da quando abito nelle Marche di dissesti idrogeologici ne ho visti parecchi.
La parte paranoica di me (in uno dei due episodi di Maigret di ieri sera si parlava di tare genetiche) ogni tanto mi spinge a domandarmi: non è che sono io che porto iella?
Poi razionalizzo (come no) e dico: tiè.
In tutti i casi, quando ti trovi molto vicino a un disastro molto poco naturale (lo sappiamo: la portata d'acqua di ieri era eccezionale, ma le ferite alla terra non lo sono affatto e non da adesso), ti rendi conto che a spalare il fango ci potevi essere anche tu, in queste stesse ore.
Oggi ho osservato bene la protezione che hanno imbastito sulla grossa frana che lo scorso novembre si è staccata pochi metri più su rispetto al palazzo in cui abito io: a occhio non mi pare un granché sicura, ma parlo da totale profana.
Poi però sento che è crollato un ponte sullo stesso corso d'acqua, detto simpaticamente Ete Morto, che in un altro punto, un po' più verso la costa, ne aveva rotto un altro causando due vittime nel non lontano 2011.
E mi dico: possibile che a tre anni dal tragico incidente nel frattempo nessuno abbia provveduto a sistemare tutti i valichi sullo stesso fiume?
Sempre Maigret, appropriatamente ieri sera considerava che la vox populi molto spesso è vera. A pensar male, insomma, si pensa ahimè troppo spesso bene.
Per fortuna, il centro storico di Senigallia sembra essersi salvato dalla doppia esondazione (Misa + Cesano), ma ci vorranno diversi giorni prima che si possa tornare alla normalità. Sempre che ci si intenda allo stesso modo sul significato di quest'ultima parola.
Normale non è un Paese che lascia costruire dove non si deve, condannando al disastro prossimo venturo abitanti (poveretti i due anziani vittime dell'alluvione senigalliese. Che triste fine. E per fortuna che ai ragazzi rimasti intrappolati nella scuola in cui va anche la figlia della mia amica Maria Loreta Pagnani non è successo nulla) e titolari di aziende.
Davvero, non se ne può più di sentire la conta dei danni successiva.
Mi colpisce, infine, anche un'altra altrettanto poco onorevole coincidenza. Mentre i senigalliesi lottavano contro la furia delle acque, i malcapitati cittadini romani a passeggio nei pressi di Ponte Milvio tentavano disperatamente di evitare la furia degli ultras.
Mi dispiace: non riesco proprio ad appassionarmi al calcio.
A cominciare dal crollo dello stadio dell'Heysel in avanti (ricordo di un razzo sparato su un bambino o un ragazzo più o meno negli stessi anni), allo sport più amato dai miei connazionali associo immagini di violenza, razzismo, stupido machismo e totale anarchia.
Se fosse per me, il campionato dovrebbe essere abolito.
Ma so di far parte di una minoranza, quindi pazienza.
Però sono veramente stufa di vivere in un Paese che sembra capace solo di passare da un'emergenza all'altra, o che comunque viene raccontato in questo modo da troppi miei cosiddetti colleghi (io ormai non mi sento più una giornalista, se non lo si fosse capito. O forse non lo sono mai stata, al di là del tesserino e del diploma che mio padre mi ha fatto incorniciare).
E insomma. Il discorso sarebbe troppo lungo e adesso non ho voglia di affrontarlo.
Ha smesso di piovere, anche se il cielo è ancora grigio e fa freddo come a dicembre.
Auguriamoci che le temperature diventino più miti, almeno questo.
Forza Senigallia, tornerò presto a visitarti.
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