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giovedì 23 febbraio 2012
Le amiche del cuore
Non sono mai stata capace di avere l'amica del cuore.
Ho diverse buone amiche, questo sì, ma non ho mai avuto la confidente preferita né un surrogato al femminile di un fidanzato.
Al liceo, Rosa, la mia compagna di banco, cui ho voluto un bene fortissimo, una volta mi rimproverò aspramente perché non ero capace di piangere guardando i film. Non era vero (o forse sarà che invecchiando ho preso a piagnucolare anche davanti ai telefilm), ma il suo giudizio mi ferì, direi anzi che mi ferisce ancora adesso, dal momento che non l'ho mai dimenticato. In particolare, rimasi molto male nell'apprendere, sempre in occasione di questo rimprovero, che da quel momento in poi la sua amica migliore sarebbe diventata un'altra compagna di classe, Federica. A distanza di tempo, da quel che so, Rosa e Federica si sono perse di vista, mentre io, quella incapace di sentimenti intensi, ho conservato affettuosi rapporti con altre tre compagne, perdendone di vista una solo negli ultimi anni, non so bene perché. A questo proposito, chissà come sta Paola, così distante da me nello stile di vita e negli obiettivi raggiunti. Sono molto orgogliosa di lei e della sua bella famiglia, ma non posso escludere che proprio il fatto di non aver vissuto esperienze analoghe alla fine abbia pesato nell'aumentare la distanza tra noi. Io le voglio bene come sempre: rammento ancora i pomeriggi passati a studiare insieme e a ridere dei nostri prof. Ho molta simpatia per suo fratello e i suoi genitori e li sento vicini quasi quanto i miei.
Lo stesso posso dire di Valentina, madre super e moglie coraggiosa, passata attraverso un'esperienza così dolorosa che non credo di essere in grado di capire fino in fondo. Quando ho saputo quel che le stava capitando, avrei voluto esserle più vicina, ma siamo lontane non solo geograficamente, temo.
In quel caso, ho dubitato di me e ho ripensato alle parole di Rosa: chissà che un pochino non avesse ragione lei, ma non sul fatto che non pianga ai film. Ho costruito spesso delle corazze per non farmi sorprendere troppo scoperta. In molti casi, lo faccio senza neanche accorgermene.
Prima della "grossa crisi" dell'anno della laurea, mi ero accreditata come giovane donna forte ed efficiente.
Adesso che l'ho ampiamente metabolizzata (superarla del tutto non credo che sarà mai possibile), sono tornata a mostrare al mondo la mia faccia sorridente e rassicurante, tanto più efficace quanto meno mi conosce l'interlocutore. Mi piace, lo riconosco, dispensare calma in chi incontra i miei occhi e ascolta la mia vocetta adolescente. Sono allo stesso modo consapevole che si tratti di una finzione, di una recita a uso e consumo del mio bisogno di mantenere un decente livello di autostima per non soccombere alle ferite che potrebbe causarmi un presente incerto e un futuro ancora più nebuloso.
Che sia così lo capisco ancora di più proprio perché adesso, davanti ai film, come dicevo sopra, spesso piango. Qualche giorno fa, a dire il vero, ho piagnucolato anche sentendo un pezzo del nuovo film dei fratelli Taviani su Hollywood party. Ho attribuito la ragione della mia improvvisa commozione all'aperitivo a base di succo tropical e spumante consumato in solitaria nel cucinino; ma anche in questo caso so, lo so profondamente, l'auto-schernimento mi permette di tenermi a galla.
E in ogni caso, il più possibile, evito, esattamente come facevo a quindici anni, di lasciarmi andare in pubblico.
Come mai lo scrivo qui, allora? Perché anche qui indosso una maschera e perché, non senza presunzione, ormai mi sono convinta che alcuni frammenti del mio privato meritino di essere sparati nell'etere.
E poi, perché, come dicevo all'inizio, io non ho l'amica del cuore, con cui, magari sparlare di uomini o di noi stesse.
Non lo sono neanche Annalisa e Simona, la prima in passato spesso spugna dei miei sfoghi, la seconda una straordinaria fonte di energica intelligenza, ma come me poco incline agli slanci emotivi.
Trovo però talmente miracoloso che abbiamo ancora così tante cose da dirci, nelle non frequenti occasioni in cui ci ritroviamo, da non importarmi più che non ci sia tra noi quel tipo di confidenza così comune tra tante donne. Per me, è un dono rivederle, tanto che sarei persino capace di non parlare affatto pur di stare in loro compagnia.
Qualcosa del genere, anche se con pathos lievemente minore, dovuto al fatto che si tratta di amicizie nate in età più adulta, mi capita anche con Simona S., Claudia e Marta, quest'ultima per me identica, nel carattere e nelle movenze, all'Olimpia di "Fisica o chimica".
Con loro è ancora più facile esporre la mia faccia buonista e mondana, disponibile allo scherzo e all'ironia. Lo è ancora di più adesso che non viviamo insieme; ai tempi della nostra convivenza, invece, inevitabilmente, ogni tanto erano costrette ad assistere alle mie crisi nevrotiche. E quanto mi pesava mostrare la mia fragilità, quanto avrei voluto sparire in quei momenti.
Non posso dimenticare Ketty, l'unica, forse, con cui, per un breve periodo, ho intrecciato un rapporto più tipico tra due donne-sorelle. Di Ketty amo soprattutto il suo calore siciliano, la sua spontaneità nel dispensare complimenti ed epiteti affettuosi. Però anche con lei, alla fine, non sono andata oltre e l'ultima volta che l'ho vista, analogamente a quanto mi capita con le amiche milanesi, ho mostrato la faccia da donna di mondo, un po' svagata-ma-serena.
Resta Roberta, la mia ex amica, cui avevo, effettivamente, cominciato a mostrare il mio cuore. Che bruciante delusione è stata accorgermi del suo opportunismo.
So di avere qualche responsabilità anch'io se mi ritrovo, periodicamente, con le amicizie più recenti, a sentirmene tradita: puntando troppo spesso sull'amabilità, finisco per lasciar credere di essere sempre disponibile, leggiadra e leggera. In questa maniera, attiro gente che ha bisogno di piaceri, di massaggini dell'ego e simili, ma non di persone davvero disponibili a mettersi in gioco.
Ma io mi metto in gioco davvero? E' proprio questo il punto.
Credo di no. Credo di essermi talmente imbozzolata da non lasciarmi conoscere davvero, se non da chi già sa da dove vengo, come la mia cara amica Annalisa, e da pochi, sporadici, nuovi incontri.
Il dolore mi spaventa, il mio più di quello degli altri, che sono in grado di accogliere e di assorbire.
Preferisco insomma mettermi in ascolto piuttosto che mostrare chi sono, o almeno quella parte di me, la più disperata e "munchiana", seppellita sotto strati e strati di petali. Di carciofo, magari, ma comunque petali, perché mi basterebbe in fondo non molto per non fingere più. Mi basterebbe giusto sentirmi veramente accolta, veramente amata, senza doppi fini e urgenze (altrui) di vario tipo.
Forse, legami così complessi sono possibili solo in casi rarissimi e magari non con un'amica, bensì con un compagno di vita. Può essere. Però nel rapporto di coppia non esiste gratuità o, perché esista, bisogna avere un livello di maturità esistenziale difficilmente raggiungibile.
Fatto sta che un po' me ne dispiaccio, perché sento di averne bisogno.
Magari, potrei cominciare io a essere più diretta, a rispondere con il massimo di sincerità possibile alla domanda, generica e di circostanza, "come stai"?
Come sto oggi? Riflessivamente quieta. E pure un po' inquieta.
Come inizio può andare?
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