Dall'esterno non si capisce bene. O forse sì. Già dalla finestra a sinistra, con il tubo inclinato sottostante, coperto per un pezzetto dall'asciugamano svolazzante, e dalla gemella con le tende incrociate alla meno peggio intorno alla maniglia, si intuisce che lì dentro si svolge una vita piuttosto caotica.
Come posso dirlo con tanta certezza? Semplice: perché quelle sono le finestre di casa mia, compresa la terza, più a sinistra, dietro la quale s'intravede un tendone asimmetrico, usato dalla gatta come liana da circo.
Non ne sono certa, ma credo di far parte di quella categoria di persone incapaci di vivere nell'ordine.
E dire che mi sforzo di togliere i vestiti e le scarpe e di pulire periodicamente (con intervalli, lo riconosco, non sempre della stessa grandezza).
Per essere vere reginette della casa, però, la pulizia e il rigovernamento da gran bazar non basta. Occorre, probabilmente, una predisposizione genetica, e, ancor più, una volontà di ferro.
Invece, la mia indole naturale tende verso altre suggestioni.
Da bambina, quando non volevo rimettere a posto i giocattoli da sola, dicevo che avevo "la mano secca".
Giusto ieri una mia recente conoscenza parlava della cattiva abitudine del figlio piccolo di infilare tutti i giocattoli sotto al letto, quando gli si chiedeva di fare ordine.
Probabilmente facevo cose del genere anch'io. Adesso, butto tutto nell'armadio, tenendo però stranamente fede al doppio scomparto che divide collant e calzini che ho orgogliosamente ricavato nello scatolone dal coperchio schiantato stazionante sotto cappotti e pantaloni.
La sciarpe, invece, si agitano e si riavvoltolano l'una con l'altra, come anime dannate.
Alla destra dello scatolone delle calze, invece, tengo una coperta, nel suo contenitore di plastica, almeno questo sì, sopra alla quale ho deciso che sia bene tenere i regali che devo ancora assegnare, a riparo da occhi indiscreti. Sempre ammesso che non passi troppo tempo, altrimenti c'è il rischio concreto che i suddetti regali scivolino giù, lungo il fianco liscio dell'involucro della coperta e poi vatti a ricordare che li avevo comprati.
Insomma, sono sicuramente una "accrocchista" nata, intendendo con questo neologismo di difficile pronuncia, la mia naturale tendenza al'accrocco. Ma che cos'è un accrocco?
Dicesi tale, mi è stato spiegato, la composizione fatta con oggetti delle più disparate fogge e finalità, ammassati insieme nella convinzione che quella sia la loro giusta collocazione.
Per esempio, nel carrello a tre piani che abbiamo in cucina, sono riuscita a piazzarci dall'alto in basso: due dei tre sacchi per la raccolta differenziata e, appena sotto i medesimi, cinque-sei bustoni per la spesa; al piano di mezzo abitano da un po' le ciotole avanzate dei gatti, infilate in una busta di cellophane per ripararli dalla polvere (mi piace la plastica, sono un'accrocchista figlia della post-industrializzazione); infine, al terzo, ci sono altre buste, quasi tutte di carta, compresa una grandissima che, direbbero i toscani, sbuzza dal ripiano, e non di poco, da entrambi i lati.
E dire che altre buste (mamma mia quante) stanno appena dopo una credenzina cui, appena presa, avevo spezzato un piedino, prontamente risistemato in maniera provvisoria. Ciò vuol dire che non esiste la possibilità di spostarla, causa rischio crollo della struttura tutta, piena di piatti e bicchieri.
Se analizzo, di seguito, gli oggetti che albergano (nell'ottica dell'accrocchista, tutto alberga, non dimora stabilmente) sul comò all'ingresso, che una volta usavo nella mia camera da letto da ragazza, e tutti gli inutili gingilli che affollano la mia scrivania, capisco che non potrò cambiare mai.
Meglio rassegnarsi e mostrare con orgoglio il sacchetto di stoffa appeso alla cyclette dall'estate scorsa, contenente le zanzariere che ho opportunamente lavato (e addirittura stirato!) alle prime piogge d'autunno.
Perché l'accrocchista rispetta i cicli stagionali, l'incedere del tempo e la decadenza.
Anche gli accrocchi, infatti, prima o poi, muoiono. L'importante è sostituirli con altri nuovi, fiammanti, ripromettendosi (falsamente) di scioglierli e assegnarli ad habitat loro più consoni, un giorno o l'altro.
In fondo, ogni illusione è così dolce. Perché privarsene?
Buon anno, amici, e buoni accrocchi creativi, dovunque vi portino.