mercoledì 1 luglio 2020

Nuovo curriculum, nuova vita. Si spera. Fortissimamente



Ho svariate foto nuove, a partire dalla prima che avevo scattato all'inizio del lavoro di riscrittura del mio Lebenslauf, parola difficilissima, a un primo (ma anche secondo) sguardo, che significa curriculum vitae.

Sto combattendo contro il fortissimo desiderio di tornarmene in patria, in giacca e/o camicia, oppure direttamente in pantaloncini da corsa e canottiera come in questo momento.

Ma alt, già, non bisogna lamentarsi. "La lamentela puzza", dicono i saggi. E hanno ragione, anche se mi fanno girare lo stesso le balle, come mi capitava da ragazzina, quando sapevo di avere torto, ma me ne andavo comunque in camera mia sbattendomi dietro la porta.

In fondo, adesso ho un "LL" (abbreviazione della parola di cui sopra, qui molto utilizzata) leggibile, oltretutto in ben due versioni: lang und kurz.

Nella prima ho riassunto in poche righe le mansioni svolte nelle vesti di giornalista, freelance in buona parte dei casi, e dipendente, in alcuni. 

E' stata la consulente di un Centro per il lavoro al femminile qualificato (Abz, acronimo di Arbeit Bildung Zukunft, Austria) di Vienna a suggerirmi di specificare meglio che diavolo abbia mai fatto dalla laurea in avanti. 

Sempre lei (un donnone in birkenstock con un solido sguardo su caschetto grigio) mi ha anche suggerito di scegliere una foto migliore di quella che le avevo mandato inizialmente.
Gli scatti che vedete sopra sono i suoi preferiti.

A dirla tutta, la tipa preferisce in modo particolare quella con la camicia. Me l'aveva già detto al telefono, di farmi una foto in camicia, dopo aver visionato la vecchia versione del curriculum.

Immaginatevi la scena: io davanti al pc, con lo scrausissimo cellulare austriaco attaccato all'orecchio, per cercare di capire il più possibile quel che andava dicendo la mia interlocutrice. 

Mi arrivano forti e chiari due concetti:
1) il mio vecchio curriculum era langweilig, che vuol dire noioso;
2) la foto, oddio la foto, ma come ti è venuto in mente di usare quella foto?

Ve la mostro qui, giusto per completezza di informazione: 



Ora, la foto di cui sopra, effettivamente, non era stata scattata all'uopo, ma l'avevo utilizzata per sostituire la precedente che era francamente un po' troppo antica. Mi ero detta: se qualcuno dovesse mai chiamarmi per un colloquio in base alla foto di una decina di anni fa, che colpo si prende quando gli si para davanti, diciamo così, una signora un tantino più agée?

Ricordo tra l'altro anche la circostanza in cui era stata scattata, una volta tanto non il cellulare, ma con mia Nikon che ancora gliel'ammolla. Eravamo in uno chalet a pochi metri dal mare, io e il Bipede, a prenderci  un aperitivo, dopo un pomeriggio di fine maggio, passato a occuparmi delle elezioni amministrative a Lu Portu. Ero piuttosto stanca, ma lo sguardo mi pareva almeno intelligente e niente affatto langweilig.

E però aveva ragione lei: mi si vede persino la bretella del reggiseno, e che diamine. 

Quindi sotto a rifarsi le foto (tralascio le prime, sgorbi irricevibili, scattate da una macchinetta di una squallida stazione della metro).

Il passaggio intermedio era una foto in cui sorrido debolmente. Questa: 

"Besser" (meglio), dice via mail la consulente (notate la camicia country).

Poi però mi vede di persona ed evidentemente capisce che c'è del potenziale comico nella mia figurina, quindi mi suggerisce di sfoggiare il sorriso a trentadue denti (o quanti sono), che in genere salta fuori o quando sono particolarmente imbarazzata, o quando sono molto, ma molto divertita.

Le mostro uno degli scatti che avevo utilizzato per il profilo Facebook: "Viel besser!", dice, anche se lì avevo il mento poggiato sulla mano, quindi un po' troppo amica della porta accanto, per cui gliene mando un'altra, inserendola stavolta direttamente sulla bozza del nuovo curriculum. Questa:



"Viel, viel besser", ma nel frattempo accolgo il suo ulteriore invito ad immortalarmi in differenti outfit, "visto che la fotografia la diverte" (tradotto: "non ci ha niente da fare, si faccia pure altre foto, almeno facciamo vedere che ci stiamo impegnando, tutte e due"). 

E in effetti, la fotografia mi diverte e finché lo Stato austriaco mi paga, tutto sommato, me lo posso anche concedere.

Mi trucco, mi sistemo alla meglio i capelli (che avrebbero bisogno di una "Friseurin" degna di questo nome: Il Milanese Imbruttito mi darebbe della terrona perché c'ho il parrucchiere solo a casa mia. E che ci volete fare?) e procedo.


Sinceramente: tra le due pubblicate a inizio post, io preferisco di gran lunga la foto in giacca e maglia bianca. In quella a destra mi sento una tirolese. Ma d'altra parte lo sospettavo: alla consulente piace di più quest'ultima versione, chissà se per amor di patria.

Sia come sia, eccovi qua il mio LL fresco fresco di correzioni: 



 C'è anche la versione "kurz" ma ve la risparmio, anche perché non si legge niente, lo so. Era solo per darvi un'idea di come ho passato questi ultimi mesi.

Corso di tedesco finito (per ora), Lebenslauf pronto, annuncio generico scritto, prime candidature mandate.

Come concludere?
Mi sento un po' come un pescatore che attende sulla riva, la canna in mano, l'amo a pelo d'acqua.

Non ho niente, caratterialmente parlando, del pescatore, o forse sì, vista la pazienza che ci sto mettendo. 

So di certo che non è finita qua, ma vorrei al contempo evitare ulteriori delusioni.
Sperare va bene, benissimo anzi, illudersi no.

Come fare?
Qualche idea mi frulla per la testa, ma ve ne parlo la prossima volta.

Al momento, continuate a fare il tifo per me.
Danke schön, liebe Leute, dalla tirolese che è in me.

Grazie, dall'italiana sempre più italiana. Ogni giorno di più. 

lunedì 11 maggio 2020

La mia prima intervista da expat? A un'abruzzese come me, natürlich!



Vado particolarmente fiera della pagina che vedete sopra. Mi colpiscono innanzitutto i colori, il rosso su tutti, del cappello e della maglia dell'intervistata, e l'arcobaleno sottostante, diventato il simbolo di questo periodo così assurdo, non solo in Italia.

E' difficile non cedere alla tentazione della retorica, quando si cerca di tenersi a galla in qualche modo. Stavolta, l'impegno è gravoso per un numero di persone maggiore, anche qui, nel primo mondo.

Non so, infatti, se andrà proprio tutto bene, nessuno può dirlo, ma mi piace pensare che l'impegno che noi umani ci mettiamo per risollevarci, prima o poi, sarà premiato.

La storia di Francesca, ricercatrice universitaria incrociata per un colpo magico del destino, al corso di tedesco, è un magnifico esempio di quanto vado farfugliando.

In comune abbiamo la fierezza per le nostre origini, il sorriso vero e l'amore per lo studio. In più, lei ha l'estrema competenza di chi va a fondo delle cose e anche una leggerezza giovane che io temo di avere perso. 

L'intervista sarebbe dovuta uscire l'8 marzo, in occasione della Festa della donna. Quel giorno l'Italia si è fermata. Bloccate quassù in Austria, ci siamo trovate pochi giorni dopo a sperimentare il doppio isolamento di expat e di quarantenate. E l'articolo, naturalmente, è saltato.

Ma io, coccia tosta su statura schiacciata, non l'ho lasciato sfumare. Francesca meritava di ritrovarsi stampata in questo trionfo di colori (il merito del look in perfetto pendant con l'arcobaleno pare sia di suo marito, che così l'ha voluta immortalare). 

Il testo, naturalmente, andava aggiornato, la foto con la mascherina ci stava tutta e io ho molto apprezzato il fatto che lei si sia prestata.

Insomma: sono contenta di non aver mollato e di averla potuta vedere su Lu Centre, il quotidiano abruzzese con cui ho concluso il mio praticantato giornalistico, molti anni fa. 

Sono affezionata a quel giornale, che mio padre continua a comprare tutte le mattine. Ai tempi si ritagliava tutti gli articoli che scrivevo: alla fine me li ha rilegati in un quaderno con le copertine trasparenti che forse ho ancora. Oggi però, per potermi leggere, ha dovuto comprare l'edizione di Pescara: sacrilegio per un chietino. A pensarci adesso, probabilmente è stato costretto a fare lo stesso anche allora, visto che il mio stage si svolgeva sempre nel capoluogo rivierasco e non nella nostra città camomilla.

Ecco: anche questa è una cosa in comune che abbiamo, l'intervistata ed io, ossia l'attaccamento fortissimo per le nostre famiglie d'origine. Legami così ti proteggono a lungo, e ti spingono a rialzarti tutte le volte.

Personalmente nemmeno io so dove sarò di qui a dieci anni. A dirla tutta, non so nemmeno dove sarò di qui a sei mesi un anno. 
Visualizzo però anch'io, come lei, il mare, e quei lunghi pomeriggi in spiaggia con mia sorella, i miei nipoti, e prima ancora nostra madre, che amava restarsene seduta sulla sdraio a godersi le ultime luci.

Più passano gli anni, più mi vedo simile a lei, soprattutto in certe espressioni. 
Legami così vincono il tempo e ti sorreggono anche quando scricchioli. 

Ma ora basta parlare di me. Godetevi l'intervista e la forza quieta di questa giovane mamma.

E imparate a galleggiare con me, verso una ubertosa (ma sì, scriviamolo) e coloratissima nuova riva.