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giovedì 19 ottobre 2017

George Winston, i gatti e la vita


E alla fine il posto in prima fila ce l'hanno sempre loro: gli amici a quattro zampe.
Sono mesi che non aggiorno il blog e non credo che tornerò a farlo in modo regolare, però ho proprio avvertito l'esigenza di ripassare di qua dopo aver letto un articolo dedicato a George Winston, pianista americano noto (soprattutto) per aver riarrangiato la musica di Vince Guaraldi da quest'ultimo composta per i film sui Peanuts.

Ignoravo quale ruolo avessero giocato i gatti nella vita di questo musicista, autore di un cd di commovente bellezza, intitolato Spring Carousel.

Nell'articolo si spiega come e dove l'abbia realizzato, ossia di sera nella sala musica dell'ospedale nel quale Winston era ricoverato dopo un serio intervento chirurgico.

Non so se questo pianista dal viso etereo e il sorriso rasserenante abbia sconfitto definitivamente il male, ma di sicuro i ventidue gatti che ha incontrato durante la sua esistenza dall'infanzia a oggi l'hanno aiutato a elevarsi al di sopra di ogni dolore.

Basta sentire la sua musica per capire di cosa sto parlando.
Ho corso con i brani di Spring Carousel nelle orecchie durante l'ultima dieci chilometri che ho affrontato in buona parte da sola. Era la prima volta che l'ascoltavo e ne ignoravo la genesi.
Eppure.

L'album è dedicato alla primavera, racconta sempre il musicista nell'intervista, ossia il periodo della sua convalescenza in ospedale.

Un'analoga primavera si è portata via mia madre, ma io non ho smesso di amarla, come stagione, né ho smesso di credere nel potere curativo dei gatti (ma anche dei cani, per chi li ha), che pure lei ha imparato a conoscere a partire da un certo momento della sua vita.

C'è qualcosa in queste creature che ti costringe alla contemplazione. La grigia che vedete sopra sulla radio, per dire, tutte le mattine mi miagola fortissimo finché non mi costringe a sedermi e a tenerla in braccio.
Non crediate che lo faccia per affetto: sono certa che voglia solo scaldarsi un po', ma non nascondo che il suo opportunismo mi piaccia davvero molto, perché è come se mi spingesse a fare altrettanto.

Molla gli ormeggi, biondina, sembra voglia dirmi, intiepidendomi le cosce.

Uno dei brani dell'album di Winston porta il nome di uno dei gatti più importanti nella sua vita (si chiama Pixie #13 in C - Gobajie).
L'intervistatore lo giudica particolarmente ispirato e in effetti ha ragione, forse anche perché anticipa bene i pezzi conclusivi dedicati all'amore, in tre diverse declinazioni, difficili da descrivere con le parole.

Se proprio devo sforzarmi, direi che nei brani di Winston (anche in quelli dedicati ai Peanuts) c'è sempre qualcosa che ti invita a lasciarti andare, esattamente come fanno i corpi di questi animali quando dormono.

Al contempo, una musica di così immensa grazia richiede un ascolto attento, così come fa la gatta grigia, quando mi assale con i suoi miagolii finché non mi trasformo nel suo scaldino.

Durante la corsa c'eravamo solo io, le mie gambe e le note di questo straordinario personaggio. Sono arrivata al traguardo quasi riposata. Qualcosa del genere mi capita dopo una seduta con la gatta sulle gambe, tolti gli scricchiolii delle giunture e lo stiramento sonoro molto poco felino.

Sono momenti di presente assoluto e di nostalgia.

Chissà se capisce quello che le dico. Perché, naturalmente, con i nostri piccoli amici si parla. In particolare, arriva sempre un momento in cui muovo un arto preceduto dal mio: "Ok, adesso è ora di scendere, forza". Di solito alza prima mezzo orecchio e solo al secondo o terzo micro movimento salta giù con un vago senso di fastidio. I cuscini umani non valgono una cicca, penserà.

La seduta mattutina mi costringe ad accettare lo scorrere del tempo, a spurgarmi, a volte, dai sensi di colpa per la mia protratta inattività.
La musica di Winston si adatta perfettamente a questo stato d'animo.

Intuisco la grandezza del privilegio che mi è capitato in sorte proprio durante attimi del genere.

Dov'è andata la rabbia? Perché, anzi, ero arrabbiata prima?

Poi, certo, il cd finisce e la gatta si accoccola nell'angolo del divano sulla sua copertina.

Io sono ancora in pigiama o in tuta, non ho nemmeno messo la crema sul viso e non so bene che cosa sarà della mia giornata, ma non è il caso di preoccuparsi.

La vita va avanti lo stesso.
E qualcosa accadrà.
Fino alla prossima seduta musico-felino-terapeutica.

martedì 26 gennaio 2016

Adottare un quattrozampe? Una scelta "pesante"...


Deve essere un po' come succede con i figli. Voi madri e padri, semmai, smentitemi, ma se lo fate, per piacere, siate sinceri come sto per esserlo io.
A volte gli amici a quattrozampe sono pesanti. Lo diceva spesso pure la mia, di madre, riferendosi alle buonanime di Sancio e Stino (detto Fausto), che le stavano sempre addosso.

Bice la grigia (immortalatami in grembo giusto stamattina) è capace di andare avanti minuti, buoni quarti d'ora, a tallonarti miagolando, con modulazioni dell'ugola da cantante lirica, finché non ti siedi da qualche parte e non le permetti di impastare (fare la pasta, fare ron ron, o come dite voi in altre parti d'Italia).

Certe volte, obiettivamente, mi verrebbe da sbalanzarla da un'altra parte (mi viene il dubbio che il verbo della prima coniugazione in -are da me succitato non esista nella lingua di Dante. Pazienza. Tanto si capisce. Credo).
Ma poi, come (immagino) facciano anche le brave mammine con i loro adoratissimi pargoli, mi piego e lascio che mi martirizzi. Perché certe volte mi fa pure male con quelle unghiette fini fini ma affilatissime. La pretesa, infatti, non si esaurisce con l'innalzamento delle temperature, ma se hai una maglietta fina, la zampetta unghiata trapassa, eccome se lo fa.

Detesto essere considerata una gattara. Non lo sono affatto. Almeno, non nel senso classico del termine.
Per un breve periodo, quando abitavo in cima al colle del Girfalco, ho rischiato di diventarlo: ne vedevo così tanti, in massima parte neri, sulle scale dell'hotel anni Cinquanta tuttora in disuso, da non riuscire a ignorarne il destino. Certe sere, quando tornavo dalla palestra in auto, mi venivano incontro in diversi, quasi tutti ancora cuccioli, sperando che lanciassi loro qualche croccantino.

Ho cominciato a evitarli dopo che ho dovuto (meglio: voluto) raccattare il corpo senza vita di un povero gatto sbilenco, al quale mi ero un pochino affezionata. Dopo quella volta, no, no, no, non vi guardo: un'altra fregatura no.

Ho anche tentato, ve l'assicuro, di dissuadere mio marito dall'adottare i nostri due attuali coinquilini, ma lui, niente, si era fissato e quindi ok al ritorno dei gatti nella mia quotidianità.

Siamo partiti malissimo. Il povero Chet-Ciccio ha fatto la fine che sapete (se non la sapete, di certo non ve la somministro). Non contenti, abbiamo perseverato e zac, gabbati doppiamente dalla teppaglia minuscola che ci costringe a queste sedute di human-therapy (a suo assoluto vantaggio, per intendersi) e da Nino, il gatto tonto dalla pelliccia obiettivamente eccezionale (crociato come un antico combattente in Terra Santa), che, peraltro, mi ignora quasi totalmente.

Ogni tanto (ogni tanto?) quest'ultimo vomita: giusto oggi appena dopo pranzo, nella fase più delicata della digestione (di noi umani: stavamo per prendere l'orzocaffè), tiè, sul copridivano. E dire che l'abbiamo portato dalle veterinarie, abbiamo cominciato a comprare croccantini di classe A++, ma niente, soprattutto il maschio, con una certa frequenza, sente l'impellente bisogno di sporcare qualche copertura anti-felino. Spero, con tutto il cuore, che non lo faccia mai nel letto, altrimenti è la volta buona che lo libero sulla spiaggia.

Oh, raga, sto esagerando: mi ci vedete voi ad abbandonare un animale? Suvvia. Voi genitori siate onesti e ammettetelo: una bella colonia rieducativa per i vostri innocui piccini non l'avete mai sognata?

Il problema, però, resta.
Certe volte ho come l'impressione che noi umani abbiamo bisogno di legacci per sentire di avere un ruolo. Peggio: per dimostrare a noi stessi che per qualcuno siamo importanti.
Poi, però, che cosa accade? Che importanti lo diventiamo davvero e allora sta' cosa del dominatore e del dominato, da porno soft per le moderne casalinghe (oh, tra parentesi, non sapevo neanche che ieri mandassero il film delle sfumature di grigio, di cui a giorni esce un'altrettanto orribile parodia), ci sta un tantino scomoda.

Allo stato attuale, Bice e Nino non potrebbero mai cavarsela all'aperto, ne sono più che certa. Per loro sarebbe come passare dal Grand Hotel alla Siria.
D'altronde, quale umano vorrebbe essere nella seconda, ora come ora?
Ed è ben per questa ragione, umanitaria più che umana, in sostanza, che quei due mi tollerano ancora come loro compagna di casa.

E dire che li accarezzo spesso, che parlo loro con le vocine sceme come si fa con i poppanti, ma niente: se potessero, mi ci manderebbero eccome sotto una tenda militare.

Tanto, hanno Paolo, il loro Vate, il loro nume tutelare. Quello che la mattina, il 99% delle volte, si alza elargendo loro l'attesa porzioncina di sfilaccetti senza salsa (l'unica edibile per i signori), quello che, pur detestandoli a tratti molto più di me, si scervella con estenuanti ricerche su internet da cellulare, per cercare altri alimenti anti-vomito. Quello che dispensa loro bacini facendo intenerire persino un cuore di pietra come me.

Sarà per questo che gli inquilini baffuti non mi considerano molto? Eppure, vorrei dire loro, pure io vi svuoto la lettiera (almeno rimuovo i solidi quando devo buttare la spazzatura), anche io ho voluto il grattatoio a torre per la signorina grigia, pure io, spesso, vi cambio la ciotola d'acqua... insomma esisto!

Niente. Per Bice, al limite, posso andare ancora bene come stuoino scaldasonno; Nino, ogni tanto, mi concede di grattargli la pancia appesa. Ma niente più.

Mi fanno compagnia? Il livello del mio stress sarebbe molto maggiore se non ci fossero?
Non saprei. Certo, le ultime analisi erano particolarmente buone, ma temo che dipenda più dal fatto che non ho niente da fare. Esattamente come loro, con l'importante differenza, manco a dirlo, a loro assoluto vantaggio, che quei due là non hanno (ma proprio per niente) ansie da prestazione e possono (ooooh) dormire buona parte della giornata, senza ricevere i fastidiosissimi messaggini di Infojobs che ti rammentano la triste y sfigata realtà.

Insomma, è bello avere animali? No: la domanda è mal posta.
Arrivo alla risposta girandoci intorno. Così.

E' come stare costantemente dentro a una puntata di Superquark e rendersi conto di che merdine siamo noi a due zampe. Davvero. I gatti scelgono chi amare senza inutili sensi di colpa: Nino mi tollera, tutto sommato, ma non mi pare afflitto dal fatto (oggettivo, ve l'assicuro) di non provare nulla di più.
Bice mi dà più valore (sarà che vede che sono poco più grande di lei e che ogni tanto, per blandirla vergognosamente, le allungo anche qualche pezzettino dei miei pasti, decisamente più interessanti di qualsiasi croccantino extralusso), ma non si pente neanche per un istante quando salta giù dal mio grembo senza neanche dirmi "grazie per il tuo tempo".

Diciamo, in definitiva, che convivere con gli animali è istruttivo.

E che quando non li vedo per un po' di giorni, ne sento la mancanza.

Incatenata a vita. Capito?

Quindi, voi che non ancora li avete, pensateci bene.

lunedì 29 luglio 2013

Umani e quattrozampe, chi si rapporta a chi?

La gatta Indiana sul mio libro (foto di Silvina Petterino)

Molto gentilmente, la mia amica Silvina Petterino mi ha mandato la foto che vedete sopra. La sua gatta Indiana ha colori molto simili al nostro Nino, ma ho l'impressione che abbia un carattere molto diverso.
Giovedì scorso, all'ultimo mercatino di Fermo cui ho deciso di prendere parte (per chi fosse interessato, l'evento prosegue ogni settimana anche ad agosto), sono rimasta paralizzata davanti alle considerazioni che una signora faceva con una sua amica, mentre sfogliava Che gatti, il mio libro autoprodotto che, volendo, potete acquistare anche da qui, cliccando sulla fotografia della copertina a destra. "Ha preso un secondo gatto - osservava - ma dice che il primo non è capace di rapportarsi con il secondo. Capisci? Non si sa rapportare... manco fosse una persona!".
Terminata la frase o forse dopo averla ripetuta un paio di volte per rafforzarne l'enfasi, ha chiuso il libro e se n'è andata.
Fino a quel momento ero sempre stata in grado di intervenire nelle conversazioni cui ho assistito seduta accanto al mio banchetto. Quella volta, invece, non mi è uscita nemmeno una parola, forse perché attendevo di capire dove volesse andare a parare, con quel "non si sa rapportare". Sembrava infatti che volesse comunque comprarne una copia per regalarla - ovviamente - alla sua conoscente gattara, per cui mi pareva poco educato interromperla in quella specie di dialogo interiore alla presenza di una silente accompagnatrice.
Una volta dissoltasi nella folla dei visitatori, però, mi è rimasto un po' sul groppone il fatto di non averle detto almeno una frase, e cioè: i gatti, come tutti gli esseri viventi (piante comprese) si rapportano eccome agli altri, che siano umani, felini, canidi e così via. Non c'è da farne una questione di filosofia o, peggio, non serve umanizzare i nostri piccoli amici per capirlo.
A dirla tutta, anzi, non è raro che a non essere capaci di rapportarsi a loro siamo proprio noi bipedi, incapaci di accettare che ci portino in omaggio le loro prede dilaniate o che ci lascino qualche graffietto in ricordo delle lotte che fanno abitualmente tra loro, nelle quali vogliono coinvolgerci proprio perché persuasi che siamo parte anche noi del loro branco.
E però avere a che fare con un animale non è per tutti, quindi è piuttosto probabile che un pistolotto così non avrebbe sortito effetto alcuno. Quindi ok, vada pure per la sua strada, signora mia, e auguri a lei e tutti quelli che ancora continuano a credere nella superiorità dell'uomo, nonostante le ripetute prove della nostra umana molto umana imperfezione.
Del resto, non potevo sperare di riscuotere un successo assoluto con il mio piccolo omaggio agli amici felini: c'è anche chi mi ha detto che avrebbe preferito che avessi parlato dei cani e chi mi ha chiesto se avevo "altri libri" oltre a quelli sui gatti (l'anno prossimo mi attrezzo con uno sulle bisce, così numerose nelle nostre campagne).
Molti altri, invece, mi hanno raccontato le loro storie di amicizia/soggiogamento/amore verso altrettanti piccoli amici e una ragazza in particolare mi ha mostrato, allungandomi il cellulare, anche il muso del suo cavallo.
Ho scoperto, insomma, che la comunità di chi prova a rapportarsi con uno o più animali è molto varia e trasversale. Poi, certo, il mio libro attira persone ben determinate, disposte a mettersi in gioco, magari attente ai dettagli e disponibile a lasciarsi intenerire. Queste caratteristiche, però, non sono fortunatamente classiste, ma al contrario uniscono persone che diversamente non si sarebbero mai parlate. Agli amanti degli animali, insomma, succede un po' come alle famiglie con i bambini piccoli: chi li spedisce agli asili o scuole pubbliche ha modo di incontrare persone di altra razza, religione, ceto e stile di vita, ampliando non di rado i propri orizzonti esistenziali.
Una giovane e carina ragazza rumena, per dire, mi ha dato una lezione che difficilmente dimenticherò: adorava letteralmente il suo gatto, purtroppo finito in malo modo sotto un'auto; da allora non è ancora riuscita a prenderne un altro quasi per paura di tradirne il ricordo. Aveva uno sguardo sincero e sognante e mi ha rammentato lo shock che abbiamo subito Paolo ed io per il micio che tuttora ho sul desktop del mio cellulare. Un gatto buonissimo, molto (molto!) diverso dai due protagonisti di Che gatti... poco fa, per dire, ho dovuto dare la rucola alla grigia altrimenti ci avrebbe perseguitato tutta la mattina. Che viziata.
Chi non ha confidenza con gli animali, in definitiva, non può capire fino in fondo chi ce l'ha né quanto possa essere di conforto mostrarne le foto, condividerne le gesta e sì, prendersi anche in giro per essersi un po' rimbecilliti a forza di soddisfarne i continui capricci.
Perché quelli là sì che sanno come tenerci in pugno.
Nel prendere la rucola dal frigo, sollecitata dai miagolii di Bice, per dire, ho rotto un coperchio di vetro.
Accidenti a lei.
Che trappola l'amore.
Ai visitatori del mercatino (e in generale a chi leggerà il mio libro), grazie e buona e lunga vita con i vostri quattrozampe.

giovedì 30 maggio 2013

Alla corte della regina Vicky, sperando di resistere

 
 

Ho scattato questa foto l'altro ieri, nel primo pomeriggio inondato dal sole. Uno dei pochissimi di questa bizzarra primavera, perfettamente in linea con il periodo più strano che mai mi sia capitato di vivere credo a questo punto da sempre. Vittoria-Vicky è la gatta che si aggirava nel giardino della cattedrale di Fermo, il colle del Girfalco per chi conosce la zona, fino all'inverno scorso. Giusto poco prima che arrivassero le piogge monsoniche del lunghissimo periodo di maltempo di questi primi cinque mesi del 2013, mio cognato Massimo ha preso l'iniziativa di portarla a sua madre, la star del mio blog, Marisao. La  decisione è arrivata all'indomani della faticosa convalescenza che la suddetta ha dovuto affrontare per via della frattura dell'avambraccio destro. "Un gatto la distrarrà sicuramente e la tirerà su", sosteneva mio cognato. Non potevamo che essere d'accordo, suo fratello ed io, dal momento che erano già almeno due mesi che avevamo preso a preoccuparci del suo destino. Ed è così che, tra alterni umori, Vittoria-Vicky è giunta a casa di Marisao, installandosi come una vera sovrana nella sua nuova dimora di mattoni e cemento. Tolti i primi tempi di disorientamento, non ha infatti mai mostrato particolare nostalgia della sua vita raminga en plain air. Addirittura, anzi, esce sul balcone giusto per rotolarsi un po' al sole (quando c'è) senza mostrare alcun interesse per moschini e insetti vari né tantomeno per le piante di geranio che Marisao cura con tanta dedizione. Curava. Perché in quest'ultimo periodo, me ne sto occupando io, con assai meno sicurezza (ho un passato da rasa-piante un po' inquietante), aiutata per tutto il resto (che è moltissimo) dalla carne della carne di Marisao, nuovamente infortunata. A rompersi stavolta sono stati il femore e il polso sinistro, con conseguente operazione chirurgica per fortuna andata a buon fine. Attualmente mia suocera sta facendo la riabilitazione nella clinica geriatrica della città, con buoni risultati, sembrerebbe. Ne siamo molto contenti, innanzitutto per lei, che temeva di non guarire più, ma anche per noi, che facciamo da spola tra casa nostra, casa sua e ovviamente l'ospedale. In quest'ultimo, a dire il vero, vanno più spesso i figli, mentre io ho assunto a pieno titolo un ruolo quanto mai delicato: la cat sitter. Sto scherzando, ma vi assicuro che quando abbasso le tapparelle e chiudo la porta di casa alle mie spalle, mi sento prendere dall'ansia. Come passerà le lunghe ore di solitudine e di penombra questa magnifica gattona nera striata di chiaro? Il giorno dopo come ritroverò lei, la lettiera e il resto della casa? Al contempo, mi domando, che cosa faranno i mici nostri, certo più abituati di Vicky a non stare in compagnia di noi umani tutto il giorno? Prima del secondo infortunio di Marisao, infatti, l'ex randagia passava praticamente quasi tutta la giornata con questa donna alta e ordinata che di certo avrà qualcosa da ridire sulla conduzione della sua abitazione di queste lunghe settimane di convalescenza, una volta che vi avrà fatto ritorno.
I sensi di colpa conditi dall'ansia, insomma, si moltiplicano. E poi mi domando: ma se avessi avuto un lavoro dipendente (e continuativo) come avrei fatto? Come avremmo fatto?
La scelta di non portare Vicky a casa nostra è stata ragionata: di sicuro Bice e Nino non avrebbero preso molto bene l'arrivo dell'ingombrante (Vicky è il doppio del maschio, che a sua volta è quasi il doppio di Bice) felina né quest'ultima avrebbe fatto altrettanto (la sera dell'incidente di Marisao, mio cognato ha provato a condurla a casa sua e c'è mancato poco che la regina nera tagliasse la gola ai suoi pacifici Nerino e Camillone). Insomma: sarebbe stato ancora più complicato.
Io, però, nonostante tutto, mantengo un grosso spirito pratico ed è così che ho deciso di ricaricare la mia internet key, fruendo peraltro di un'offerta vantaggiosissima (il primo mese: ma spero onestamente di non averne bisogno oltre metà giugno) e di venire a lavorare qui dove mi trovo in questo momento, mentre aspetto che passi il temporale.
Sapete che vi dico? Oggi sono particolarmente dissociata, forse per colpa degli ormoni, ma tutto sommato non è poi così male prendere l'autobus, confondendosi con badanti, studenti e qualche sparuto impiegato dotato di abbonamento, in orari di inizio o fine lavoro e in abiti finalmente civili.
Lavorando prevalentemente in casa, infatti, mi ero un po' dimenticata del mondo dei pendolari da mezzo pubblico e in generale delle abitudini di quelli che si spostano da un luogo all'altro per motivi professionali, per fare shopping o per altre ragioni.
Forse, giusto un pochino, mi mancherà questa fase quando tutto tornerà più o meno alla normalità.
Certo, spero che non duri troppo a lungo, altrimenti la mia faccina da scimmietta diventerà sempre più giallastra (come gli autobus urbani) e comincerò a confondere le stanze dei due appartamenti, andando a sbattere più di quanto non faccia già normalmente quando mi alzo di notte per fare pipì.
Tutta questa storia, insomma, ha anche una morale: mai dare nulla per scontato, di noi, dei nostri ritmi, dei nostri bisogni. Sperando di averne sempre di nuovi e stimolanti, oltre le rogne e la noia.
E in definitiva: w Vicky e tutti gli altri felini.