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giovedì 19 ottobre 2017

George Winston, i gatti e la vita


E alla fine il posto in prima fila ce l'hanno sempre loro: gli amici a quattro zampe.
Sono mesi che non aggiorno il blog e non credo che tornerò a farlo in modo regolare, però ho proprio avvertito l'esigenza di ripassare di qua dopo aver letto un articolo dedicato a George Winston, pianista americano noto (soprattutto) per aver riarrangiato la musica di Vince Guaraldi da quest'ultimo composta per i film sui Peanuts.

Ignoravo quale ruolo avessero giocato i gatti nella vita di questo musicista, autore di un cd di commovente bellezza, intitolato Spring Carousel.

Nell'articolo si spiega come e dove l'abbia realizzato, ossia di sera nella sala musica dell'ospedale nel quale Winston era ricoverato dopo un serio intervento chirurgico.

Non so se questo pianista dal viso etereo e il sorriso rasserenante abbia sconfitto definitivamente il male, ma di sicuro i ventidue gatti che ha incontrato durante la sua esistenza dall'infanzia a oggi l'hanno aiutato a elevarsi al di sopra di ogni dolore.

Basta sentire la sua musica per capire di cosa sto parlando.
Ho corso con i brani di Spring Carousel nelle orecchie durante l'ultima dieci chilometri che ho affrontato in buona parte da sola. Era la prima volta che l'ascoltavo e ne ignoravo la genesi.
Eppure.

L'album è dedicato alla primavera, racconta sempre il musicista nell'intervista, ossia il periodo della sua convalescenza in ospedale.

Un'analoga primavera si è portata via mia madre, ma io non ho smesso di amarla, come stagione, né ho smesso di credere nel potere curativo dei gatti (ma anche dei cani, per chi li ha), che pure lei ha imparato a conoscere a partire da un certo momento della sua vita.

C'è qualcosa in queste creature che ti costringe alla contemplazione. La grigia che vedete sopra sulla radio, per dire, tutte le mattine mi miagola fortissimo finché non mi costringe a sedermi e a tenerla in braccio.
Non crediate che lo faccia per affetto: sono certa che voglia solo scaldarsi un po', ma non nascondo che il suo opportunismo mi piaccia davvero molto, perché è come se mi spingesse a fare altrettanto.

Molla gli ormeggi, biondina, sembra voglia dirmi, intiepidendomi le cosce.

Uno dei brani dell'album di Winston porta il nome di uno dei gatti più importanti nella sua vita (si chiama Pixie #13 in C - Gobajie).
L'intervistatore lo giudica particolarmente ispirato e in effetti ha ragione, forse anche perché anticipa bene i pezzi conclusivi dedicati all'amore, in tre diverse declinazioni, difficili da descrivere con le parole.

Se proprio devo sforzarmi, direi che nei brani di Winston (anche in quelli dedicati ai Peanuts) c'è sempre qualcosa che ti invita a lasciarti andare, esattamente come fanno i corpi di questi animali quando dormono.

Al contempo, una musica di così immensa grazia richiede un ascolto attento, così come fa la gatta grigia, quando mi assale con i suoi miagolii finché non mi trasformo nel suo scaldino.

Durante la corsa c'eravamo solo io, le mie gambe e le note di questo straordinario personaggio. Sono arrivata al traguardo quasi riposata. Qualcosa del genere mi capita dopo una seduta con la gatta sulle gambe, tolti gli scricchiolii delle giunture e lo stiramento sonoro molto poco felino.

Sono momenti di presente assoluto e di nostalgia.

Chissà se capisce quello che le dico. Perché, naturalmente, con i nostri piccoli amici si parla. In particolare, arriva sempre un momento in cui muovo un arto preceduto dal mio: "Ok, adesso è ora di scendere, forza". Di solito alza prima mezzo orecchio e solo al secondo o terzo micro movimento salta giù con un vago senso di fastidio. I cuscini umani non valgono una cicca, penserà.

La seduta mattutina mi costringe ad accettare lo scorrere del tempo, a spurgarmi, a volte, dai sensi di colpa per la mia protratta inattività.
La musica di Winston si adatta perfettamente a questo stato d'animo.

Intuisco la grandezza del privilegio che mi è capitato in sorte proprio durante attimi del genere.

Dov'è andata la rabbia? Perché, anzi, ero arrabbiata prima?

Poi, certo, il cd finisce e la gatta si accoccola nell'angolo del divano sulla sua copertina.

Io sono ancora in pigiama o in tuta, non ho nemmeno messo la crema sul viso e non so bene che cosa sarà della mia giornata, ma non è il caso di preoccuparsi.

La vita va avanti lo stesso.
E qualcosa accadrà.
Fino alla prossima seduta musico-felino-terapeutica.

martedì 26 gennaio 2016

Adottare un quattrozampe? Una scelta "pesante"...


Deve essere un po' come succede con i figli. Voi madri e padri, semmai, smentitemi, ma se lo fate, per piacere, siate sinceri come sto per esserlo io.
A volte gli amici a quattrozampe sono pesanti. Lo diceva spesso pure la mia, di madre, riferendosi alle buonanime di Sancio e Stino (detto Fausto), che le stavano sempre addosso.

Bice la grigia (immortalatami in grembo giusto stamattina) è capace di andare avanti minuti, buoni quarti d'ora, a tallonarti miagolando, con modulazioni dell'ugola da cantante lirica, finché non ti siedi da qualche parte e non le permetti di impastare (fare la pasta, fare ron ron, o come dite voi in altre parti d'Italia).

Certe volte, obiettivamente, mi verrebbe da sbalanzarla da un'altra parte (mi viene il dubbio che il verbo della prima coniugazione in -are da me succitato non esista nella lingua di Dante. Pazienza. Tanto si capisce. Credo).
Ma poi, come (immagino) facciano anche le brave mammine con i loro adoratissimi pargoli, mi piego e lascio che mi martirizzi. Perché certe volte mi fa pure male con quelle unghiette fini fini ma affilatissime. La pretesa, infatti, non si esaurisce con l'innalzamento delle temperature, ma se hai una maglietta fina, la zampetta unghiata trapassa, eccome se lo fa.

Detesto essere considerata una gattara. Non lo sono affatto. Almeno, non nel senso classico del termine.
Per un breve periodo, quando abitavo in cima al colle del Girfalco, ho rischiato di diventarlo: ne vedevo così tanti, in massima parte neri, sulle scale dell'hotel anni Cinquanta tuttora in disuso, da non riuscire a ignorarne il destino. Certe sere, quando tornavo dalla palestra in auto, mi venivano incontro in diversi, quasi tutti ancora cuccioli, sperando che lanciassi loro qualche croccantino.

Ho cominciato a evitarli dopo che ho dovuto (meglio: voluto) raccattare il corpo senza vita di un povero gatto sbilenco, al quale mi ero un pochino affezionata. Dopo quella volta, no, no, no, non vi guardo: un'altra fregatura no.

Ho anche tentato, ve l'assicuro, di dissuadere mio marito dall'adottare i nostri due attuali coinquilini, ma lui, niente, si era fissato e quindi ok al ritorno dei gatti nella mia quotidianità.

Siamo partiti malissimo. Il povero Chet-Ciccio ha fatto la fine che sapete (se non la sapete, di certo non ve la somministro). Non contenti, abbiamo perseverato e zac, gabbati doppiamente dalla teppaglia minuscola che ci costringe a queste sedute di human-therapy (a suo assoluto vantaggio, per intendersi) e da Nino, il gatto tonto dalla pelliccia obiettivamente eccezionale (crociato come un antico combattente in Terra Santa), che, peraltro, mi ignora quasi totalmente.

Ogni tanto (ogni tanto?) quest'ultimo vomita: giusto oggi appena dopo pranzo, nella fase più delicata della digestione (di noi umani: stavamo per prendere l'orzocaffè), tiè, sul copridivano. E dire che l'abbiamo portato dalle veterinarie, abbiamo cominciato a comprare croccantini di classe A++, ma niente, soprattutto il maschio, con una certa frequenza, sente l'impellente bisogno di sporcare qualche copertura anti-felino. Spero, con tutto il cuore, che non lo faccia mai nel letto, altrimenti è la volta buona che lo libero sulla spiaggia.

Oh, raga, sto esagerando: mi ci vedete voi ad abbandonare un animale? Suvvia. Voi genitori siate onesti e ammettetelo: una bella colonia rieducativa per i vostri innocui piccini non l'avete mai sognata?

Il problema, però, resta.
Certe volte ho come l'impressione che noi umani abbiamo bisogno di legacci per sentire di avere un ruolo. Peggio: per dimostrare a noi stessi che per qualcuno siamo importanti.
Poi, però, che cosa accade? Che importanti lo diventiamo davvero e allora sta' cosa del dominatore e del dominato, da porno soft per le moderne casalinghe (oh, tra parentesi, non sapevo neanche che ieri mandassero il film delle sfumature di grigio, di cui a giorni esce un'altrettanto orribile parodia), ci sta un tantino scomoda.

Allo stato attuale, Bice e Nino non potrebbero mai cavarsela all'aperto, ne sono più che certa. Per loro sarebbe come passare dal Grand Hotel alla Siria.
D'altronde, quale umano vorrebbe essere nella seconda, ora come ora?
Ed è ben per questa ragione, umanitaria più che umana, in sostanza, che quei due mi tollerano ancora come loro compagna di casa.

E dire che li accarezzo spesso, che parlo loro con le vocine sceme come si fa con i poppanti, ma niente: se potessero, mi ci manderebbero eccome sotto una tenda militare.

Tanto, hanno Paolo, il loro Vate, il loro nume tutelare. Quello che la mattina, il 99% delle volte, si alza elargendo loro l'attesa porzioncina di sfilaccetti senza salsa (l'unica edibile per i signori), quello che, pur detestandoli a tratti molto più di me, si scervella con estenuanti ricerche su internet da cellulare, per cercare altri alimenti anti-vomito. Quello che dispensa loro bacini facendo intenerire persino un cuore di pietra come me.

Sarà per questo che gli inquilini baffuti non mi considerano molto? Eppure, vorrei dire loro, pure io vi svuoto la lettiera (almeno rimuovo i solidi quando devo buttare la spazzatura), anche io ho voluto il grattatoio a torre per la signorina grigia, pure io, spesso, vi cambio la ciotola d'acqua... insomma esisto!

Niente. Per Bice, al limite, posso andare ancora bene come stuoino scaldasonno; Nino, ogni tanto, mi concede di grattargli la pancia appesa. Ma niente più.

Mi fanno compagnia? Il livello del mio stress sarebbe molto maggiore se non ci fossero?
Non saprei. Certo, le ultime analisi erano particolarmente buone, ma temo che dipenda più dal fatto che non ho niente da fare. Esattamente come loro, con l'importante differenza, manco a dirlo, a loro assoluto vantaggio, che quei due là non hanno (ma proprio per niente) ansie da prestazione e possono (ooooh) dormire buona parte della giornata, senza ricevere i fastidiosissimi messaggini di Infojobs che ti rammentano la triste y sfigata realtà.

Insomma, è bello avere animali? No: la domanda è mal posta.
Arrivo alla risposta girandoci intorno. Così.

E' come stare costantemente dentro a una puntata di Superquark e rendersi conto di che merdine siamo noi a due zampe. Davvero. I gatti scelgono chi amare senza inutili sensi di colpa: Nino mi tollera, tutto sommato, ma non mi pare afflitto dal fatto (oggettivo, ve l'assicuro) di non provare nulla di più.
Bice mi dà più valore (sarà che vede che sono poco più grande di lei e che ogni tanto, per blandirla vergognosamente, le allungo anche qualche pezzettino dei miei pasti, decisamente più interessanti di qualsiasi croccantino extralusso), ma non si pente neanche per un istante quando salta giù dal mio grembo senza neanche dirmi "grazie per il tuo tempo".

Diciamo, in definitiva, che convivere con gli animali è istruttivo.

E che quando non li vedo per un po' di giorni, ne sento la mancanza.

Incatenata a vita. Capito?

Quindi, voi che non ancora li avete, pensateci bene.

venerdì 18 ottobre 2013

Dall'incidente al Festival del Selfpublishing di Senigallia... che salto!


Ho usato per un po' la foto che vedete sopra come mio profilo di Facebook.
Sulla t-shirt, è evidente, compare la copertina del mio libro, e l'ho ricevuta in dono per l'anniversario di matrimonio. Di lì a qualche giorno avrei infatti partecipato al mercatino estivo del giovedì di Fermo, un evento che anima le belle serate estive di questo angolo delle Marche da oltre trentun anni. Perché la ripubblico in questo contesto? Per raccontare insieme due differenti fatti.
Il primo è personalissimo e riguarda proprio l'autore del molto gradito regalo, ossia mio marito.
Ieri è stato sbalzato via dalla sua vespa rossa, che adesso staziona tutta accartocciata nel garage del padre di mia cognata (o qualcuno a lui molto vicino), mentre il Bipede (mio marito), per fortuna, è di là sul divano a riposarsi. I medici del pronto soccorso che l'hanno trattenuto (direi sequestrato, visto il numero di ore che abbiamo passato in ospedale) per accertare le sue condizioni, gli hanno prescritto relax e antidolorifici in caso di bisogno. Conoscendolo, sapevo già che non ne prenderà uno, ma intanto io ho fatto scorta di farmaci che onestamente spero finiscano per scadere quasi del tutto intonsi, come i molti che ho buttato (nell'apposito contenitore) giusto la scorsa settimana.
Tant'è: sempre meglio poter raccontare cose del genere con un po' di ironia che tacere per sempre.
Vado al secondo motivo.
Domani e dopodomani (ossia il 19 e il 20 ottobre) arriva finalmente a Senigallia il primo festival internazionale del SelfPublishing, dedicato principalmente a chi si autopubblica e-book, ma anche agli incoscienti come me che hanno scelto la strada del cartaceo.
Come già precisato più volte anche su Minime Storie, a mio modestissimo avviso, un libro fotografico va stampato, ma spero di scoprire in questi due giorni strade alternative economicamente (in tutti i sensi: pure quello green) praticabili.
A leggere il programma ufficiale, il Festival sembra molto stimolante e lo immagino affollato di gente curiosa e interessante. Tra gli appuntamenti che mi hanno colpito di più, ci sono i dibattiti con Antonio Tombolini, il fondatore di Narcissus, l'editrice della piattaforma di ebook più utilizzata in Italia, ossia Simplicissimus, previsti all'apertura e alla chiusura del festival. Poi mi aspetto utili dritte da Cristiana Giacometti, che alle 17.45 di domani parlerà di come trasformare il proprio libro in audiolibro. In più vorrei tentare di carpire qualche informazione preziosa dai grossi big dell'editoria che si confronteranno con i selfpublisher più agguerriti, nel dibattito previsto sempre domani alle 18. Infine vorrei godermi qualche momento più rilassante con Matteo Caccia e il suo programma trasportato da Radio24 a Senigallia e anche con Alessandro Bergonzoni, che non rivedo dal vivo da tempo immemorabile. Prevedo di riparlare del Festival anche al ritorno dalla bella cittadina di mare della provincia di Ancona, ma prima di chiudere questo post, sarà opportuno che aggiunga un ultimo dettaglio.
Domenica mattina alle 11.30 prenderò parte anch'io all'evento: chi vorrà sapere qualcosa di più di Che gatti e di me, mi troverà a quell'ora allo spazio chiamato dagli organizzatori Pickwick Club. Anche a me, ovviamente, hanno dato solo un quarto d'ora per dare le 5 W sul mio libro, ossia perché-dove-cosa-chi-quando (e la sesta how-come!) ho deciso di buttarmi nell'autoproduzione.
Confesso di essere un pochino emozionata, ma in fondo neanche troppo.
Mi spiace, questo sì, che il Bipede, al quale ho rubato una frase per usarla come prologo di Che gatti, non possa essere presente.
Prometto comunque di impegnarmi come cerco di fare sempre per trarre il massimo da questa esperienza.
Ringrazio da adesso gli organizzatori dell'Ispf e del contemporaneo concorso Storie da biblioteca al quale dovrei partecipare solo per la sezione fotografia. Temo di non essere più nello spirito, anche se deciderò domani il da farsi.
Fatemi, fateci anzi, l'in bocca al lupo.
Mentre scrivevo, il Bipede si è messo a letto: vicino a lui si è piazzato il gatto caffellatte.
Quando si dice pet-therapy...

mercoledì 24 luglio 2013

D'estate, il vuoto, almeno per un po'


Con l'arrivo di Caronte, o come diavolo hanno chiamato l'incombente ondata di calore di fine luglio, personalmente mi preparo a chiudere i battenti. Di che cosa? Ma di casa mia, naturalmente.
Non avendo un "lavùr d'uffessi", come si augurava Marisao per i suoi figli, ne ho creato uno, piuttosto improvvisato e incasinato, nell'abitazione che condivido con il Bipede fumatore di pipa e i nostri due gatti (che a proposito: in questo momento stanno dormendo sotto le coperte, immuni, evidentemente, all'innalzamento ancora in corso delle temperature).
Nel giro di una settimana, la zona "studio" (uso le virgolette malamente e di proposito) diventerà un forno, per cui, alla faccia dell'unico 2012 (quel che stato è stato, del resto) e di quello non credo molto più ricco che ne seguirà, a breve spegnerò tutto e andrò al mare, o al limite a riposare sotto una fresca pianta (devo però ancora cercarla: quelle del duomo mi hanno un po' rotto le balle).
Più invecchio e più mi convinco, infatti, che bisogna bandire dalla nostra coscienza (ammesso di averne una) onerosi sensi di colpa e attivismi privi di scopo.
A patto, naturalmente, di essere capace di restarmene tranquilla, nella mia pseudo condizione di vacanza.
Direte voi: e che ci vuole? Dipende. Da che dipende? Dal nostro Dna, temo.
Se, per dire, siamo abituati a essere sempre "proattivi" (altre virgolette volute, per sottolineare la bruttura della parola utilizzata), qualche rottura di balle ci sarà di sicuro: ce la saremo, anzi, procurata con le nostre stesse manine.
La consapevolezza di essere una spugna delle altrui lagne me l'ha data il sempre più cinico Bipede Paolo che non me ne fa passare una. Nell'ultimo periodo, per esempio, mi fa il verso parafrasando l'orrida pubblicità dell'otto per mille della Cei, dicendomi: "hai un problema inesistente? un manoscritto da correggere, un'angoscia da placare, un concorso inutile da segnalare? chiedilo a..."... a me, denominata in questo contesto "piccì", perché anche noi non sfuggiamo ai nomignoli che ci si affibbia quando si sta in coppia.
Il problema, però, non è di chi mi passa testi, incombenze, sfighe etc etc: il problema sono io e il mio dannato ottimismo. Sì, perché, regolarmente, io mi presto, dispensando consigli, sorrisi e ringraziamenti. E invece dovrei dire no, grazie, lasciate perdere. Lasciatemi perdere, che ce la fate anche da soli, esattamente come ce la farei io se fossi in grado di liberarmi dal senso di colpa di non essere sufficientemente d'aiuto se non mi sbraccio con veemenza e non mi perdo in infinite e dettagliate spiegazioni, un aspetto del mio carattere ereditato dalla buona educazione ricevuta, ma ormai impastato nella mia stessa essenza.
Come dice un vecchio adagio, tuttavia, non si cava sangue da una rapa, cioè a dire: non essendo in grado di dire no a chicchessia, non mi resta che usare una strategia meno diretta, ma per qualche tempo abbastanza efficace. A breve comincerò a sbandierare la prossima partenza per la mia terra natale e i miei impegni di zia e di figlia devota. Tutto vero, intendiamoci, ma anche affettuosi capri espiatori anti-prestazioni/consigli/sollecitazioni esterne, che in questo momento dell'anno mi pesano più che mai.
Voglio fare vuoto. Ne ho un bisogno vitale. In barba alla società del sempre pieno e alla mondanità forzata.
Sono sorridente e ottimista, sì, ma anche una testa dura d'abruzzese. Quindi ce la farò.
Però accidenti che fatica sfaccendarsi davvero.
Per entrare nello spirito giusto, comunque, ho deciso di sospendere le lezioni di inglese per un mesetto, anche se continuerò a leggere il libro di Jason e altre cosette che ho ricevuto in regalo.
Domani, poi, dico addio (o arrivederci, chi lo sa) al mercatino di Fermo, un'esperienza assolutamente positiva (ma che mi richiede un livello di interazione veramente da guinness...). Sbrigherò quindi le ultime incombenze di lavoro e burocratiche e via, alla conquista del vuoto. 
Più o meno...
Buona estate a tutti.

giovedì 30 maggio 2013

Alla corte della regina Vicky, sperando di resistere

 
 

Ho scattato questa foto l'altro ieri, nel primo pomeriggio inondato dal sole. Uno dei pochissimi di questa bizzarra primavera, perfettamente in linea con il periodo più strano che mai mi sia capitato di vivere credo a questo punto da sempre. Vittoria-Vicky è la gatta che si aggirava nel giardino della cattedrale di Fermo, il colle del Girfalco per chi conosce la zona, fino all'inverno scorso. Giusto poco prima che arrivassero le piogge monsoniche del lunghissimo periodo di maltempo di questi primi cinque mesi del 2013, mio cognato Massimo ha preso l'iniziativa di portarla a sua madre, la star del mio blog, Marisao. La  decisione è arrivata all'indomani della faticosa convalescenza che la suddetta ha dovuto affrontare per via della frattura dell'avambraccio destro. "Un gatto la distrarrà sicuramente e la tirerà su", sosteneva mio cognato. Non potevamo che essere d'accordo, suo fratello ed io, dal momento che erano già almeno due mesi che avevamo preso a preoccuparci del suo destino. Ed è così che, tra alterni umori, Vittoria-Vicky è giunta a casa di Marisao, installandosi come una vera sovrana nella sua nuova dimora di mattoni e cemento. Tolti i primi tempi di disorientamento, non ha infatti mai mostrato particolare nostalgia della sua vita raminga en plain air. Addirittura, anzi, esce sul balcone giusto per rotolarsi un po' al sole (quando c'è) senza mostrare alcun interesse per moschini e insetti vari né tantomeno per le piante di geranio che Marisao cura con tanta dedizione. Curava. Perché in quest'ultimo periodo, me ne sto occupando io, con assai meno sicurezza (ho un passato da rasa-piante un po' inquietante), aiutata per tutto il resto (che è moltissimo) dalla carne della carne di Marisao, nuovamente infortunata. A rompersi stavolta sono stati il femore e il polso sinistro, con conseguente operazione chirurgica per fortuna andata a buon fine. Attualmente mia suocera sta facendo la riabilitazione nella clinica geriatrica della città, con buoni risultati, sembrerebbe. Ne siamo molto contenti, innanzitutto per lei, che temeva di non guarire più, ma anche per noi, che facciamo da spola tra casa nostra, casa sua e ovviamente l'ospedale. In quest'ultimo, a dire il vero, vanno più spesso i figli, mentre io ho assunto a pieno titolo un ruolo quanto mai delicato: la cat sitter. Sto scherzando, ma vi assicuro che quando abbasso le tapparelle e chiudo la porta di casa alle mie spalle, mi sento prendere dall'ansia. Come passerà le lunghe ore di solitudine e di penombra questa magnifica gattona nera striata di chiaro? Il giorno dopo come ritroverò lei, la lettiera e il resto della casa? Al contempo, mi domando, che cosa faranno i mici nostri, certo più abituati di Vicky a non stare in compagnia di noi umani tutto il giorno? Prima del secondo infortunio di Marisao, infatti, l'ex randagia passava praticamente quasi tutta la giornata con questa donna alta e ordinata che di certo avrà qualcosa da ridire sulla conduzione della sua abitazione di queste lunghe settimane di convalescenza, una volta che vi avrà fatto ritorno.
I sensi di colpa conditi dall'ansia, insomma, si moltiplicano. E poi mi domando: ma se avessi avuto un lavoro dipendente (e continuativo) come avrei fatto? Come avremmo fatto?
La scelta di non portare Vicky a casa nostra è stata ragionata: di sicuro Bice e Nino non avrebbero preso molto bene l'arrivo dell'ingombrante (Vicky è il doppio del maschio, che a sua volta è quasi il doppio di Bice) felina né quest'ultima avrebbe fatto altrettanto (la sera dell'incidente di Marisao, mio cognato ha provato a condurla a casa sua e c'è mancato poco che la regina nera tagliasse la gola ai suoi pacifici Nerino e Camillone). Insomma: sarebbe stato ancora più complicato.
Io, però, nonostante tutto, mantengo un grosso spirito pratico ed è così che ho deciso di ricaricare la mia internet key, fruendo peraltro di un'offerta vantaggiosissima (il primo mese: ma spero onestamente di non averne bisogno oltre metà giugno) e di venire a lavorare qui dove mi trovo in questo momento, mentre aspetto che passi il temporale.
Sapete che vi dico? Oggi sono particolarmente dissociata, forse per colpa degli ormoni, ma tutto sommato non è poi così male prendere l'autobus, confondendosi con badanti, studenti e qualche sparuto impiegato dotato di abbonamento, in orari di inizio o fine lavoro e in abiti finalmente civili.
Lavorando prevalentemente in casa, infatti, mi ero un po' dimenticata del mondo dei pendolari da mezzo pubblico e in generale delle abitudini di quelli che si spostano da un luogo all'altro per motivi professionali, per fare shopping o per altre ragioni.
Forse, giusto un pochino, mi mancherà questa fase quando tutto tornerà più o meno alla normalità.
Certo, spero che non duri troppo a lungo, altrimenti la mia faccina da scimmietta diventerà sempre più giallastra (come gli autobus urbani) e comincerò a confondere le stanze dei due appartamenti, andando a sbattere più di quanto non faccia già normalmente quando mi alzo di notte per fare pipì.
Tutta questa storia, insomma, ha anche una morale: mai dare nulla per scontato, di noi, dei nostri ritmi, dei nostri bisogni. Sperando di averne sempre di nuovi e stimolanti, oltre le rogne e la noia.
E in definitiva: w Vicky e tutti gli altri felini.

martedì 23 aprile 2013

Allo Schiantatino


Schiantatino non c'è più. Qualcuno gli ha fracassato la testa facendo marcia indietro con l'auto.
So che è una frase cruda, ma questa è la realtà. Il dipinto che vedete sopra è stato realizzato nel 1975, l'ho trovato cercando su google l'immagine di un siamese. Gli somiglia moltissimo.
Non era di razza pura, ovviamente, e l'avevamo chiamato in quella maniera, con un "lo" davanti, per via della colonna vertebrale un po' ricurva, chissà se conseguenza di una prolungata malnutrizione nella sua prima infanzia. Gli ex gestori dell'hotel in cui continuava ad albergare, insieme con altre quattro o cinque creature della sua stessa specie, mi avevano detto, qualche mese fa, che nonostante l'aspetto un po' malmesso, in verità stava bene, era forte. Io non so dire se fosse vero, anche perché quella gente là mica mi convince fino in fondo. Niente mi toglie dalla testa, infatti, che avrebbero potuto trovare una soluzione diversa per quei poveri animali che hanno subìto come loro lo sfratto esecutivo. Nonostante tutto, certo, hanno continuato a portar loro del cibo (spesso, non sempre), ma si sa che gli animali che si abituano alla presenza dell'uomo non vogliono più solo quello.
Schiantatino ci veniva incontro tutto miagolante, la schiena più ricurva di quanto già non fosse, pronta ad accogliere carezze e paroline rassicuranti. Non voleva solo il patè, che spesso gli abbiamo portato, voleva proprio un padrone. Noi non potevamo diventarlo. Prima di lui, avevamo notato la gattona nera con le striature chiare. La bellezza ha sempre la meglio, inutile fingere che non sia così. E infatti alla nera-grigia siamo riusciti a dare una casa, costringendo (letteralmente) l'anziana madre di mio marito a tenerla con sé (anche stamattina al telefono ci ha ricordato "quanta merda" fa). Lo Schiantatino, invece, è rimasto lì, sulle scale del malandato hotel, sugli scalini sbrecciati, tra i fiorellini nati per sbaglio tra una crepa e l'altra.
Nei giorni di pioggia e vento, numerosi, lunghissimi, ho avuto pena per lui, ma l'unica azione che mi sono limitata a compiere è stata portargli da mangiare, sperando che la dura legge di natura non l'avesse nel frattempo spazzato via.
Una mattina ho anche incontrato una signora che andava via in auto, la quale, vedendomi scendere gli scalini dell'hotel con una scatoletta vuota, mi ha suggerito di chiamare la Asl per segnalare la presenza della piccola comunità in semi-abbandono. Da brava italiana, non l'ho fatto, e anche se mio marito mi ha detto che avrebbe potuto farlo anche lei, visto che sosteneva di amare tanto i gatti e in particolari i siamesi, noti per la loro indole pacifica, io so di avere sbagliato. Avrei dovuto far venire la Asl e farli portare via tutti. Non prima, certo, di essermi assicurata del luogo in cui li avrebbero condotti, perché da quel che si dice in giro non tutti i gattili sono l'eden. Ed è qui il problema: non ho avuto il tempo né forse abbastanza motivazione per prendere il maggior numero di informazioni possibile sui gattili attivi da queste parti. In fondo, mi dicevo, quelle bestiole sono abituate alle auto e in genere se ne tengono ben lontane. Purtroppo, non è sempre vero. E se sono doppiamente contenta di averne salvato almeno uno da un quasi certo destino, e se sono altrettanto contenta di avere al mio fianco due mici felici e amati, mi dispiace assai per lo Schiantatino, dagli occhi azzurri azzurri tutti cisposi, il musino simpatico e quel modo di strusciarsi davvero irresistibile.
Quando Paolo mi ha avvisato di averlo trovato riverso sul ciglio della strada, sono scesa giù, munita di guanti, giornale e una busta di plastica. Ne ho scelta una bella, con un fiore disegnato sopra.
Ciao, Schiantatino, e se puoi scusa noi umani per la nostra inadeguatezza.

venerdì 22 giugno 2012

Contro il rammollimento W Zygmunt Bauman


Difficile non smarrire la motivazione, con questo caldo, poi.
Per fortuna ho giornate piene, anche di idee. Poi domenica dovrei mostrare a Daniele e Demetrio il mio lavoro su Nino e Bice, di cui lo scatto scartato sopra è una traccia.
Sto diventando una maga nel lavoro gratuito e volontaristico. E d'altra parte non vedo che cos'altro potrei fare, a parte scendere in spiaggia e andare a nuotare.
Come invidio i nostri gatti, anche se l'afa ha rammollito anche loro un pochino.
A proposito di rammollimento, sarà il caso che mi alzi da questa postazione e vada a fare qualcosa di pratico, tipo buttare la spazzatura, comprarmi il giornale e il thè verde. Poi stiro i vestitini che avevo a Bibbiena, gli stessi che probabilmente sfoggerò per la prossima recita sociale.
Però che bello ascoltare il pianoforte a coda, ieri sera, e cogliere nel mio obiettivo gli sguardi concentrati delle musiciste. In quei momenti, non m'importa di nulla, ma solo di scattare al momento giusto.
E' proprio così che bisognerebbe vivere: in un eterno (anche se illusorio: quanto m'è piaciuta l'intervista a Zygmunt Bauman sul Venerdì della scorsa settimana) presente pieno di significato.
Nonostante tutto, non dispero, perché ho l'impressione di aver fatto qualche progresso, almeno nella maggiore capacità di evitare molestie e inutili contrattempi. Speriamo bene, va.