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lunedì 12 gennaio 2015

Alla ricerca dell'ironia perduta, contro i profeti della pesantezza

Sentite, che cosa vi dire? Non ci posso fare niente, ma a me il dibattito di stamattina su Prima Pagina (Radiotre) tra gli ascoltatori e la giornalista di Libero Elisa Calessi (una bella e professionale giovane donna con un accento nordico tutto strittu strittu strittu... brutto anche l'eccesso di romanesco, eh, ma un po' di dizione collettiva non guasterebbe) ha fatto calare il latte alle ginocchia.

Offendere qualcun altro non è mai bello, ci mancherebbe altro. Però insomma, a me il politicamente scorretto spesso piace, soprattutto quando è democratico.
Non sto parlando di quello di Charlie Hebdo o del nostrano Vernacoliere (che pure mi ha strappato più di una risata ai tempi dell'università pisana), ma del buon vecchio Totò.

Prendete per esempio questa scena di Totò Sceicco:




Oppure quest'altra:




O da quest'altro film (Totò Le Mokò):






Beh, sono cresciuta, come molti nell'ex Regno Borbonico in particolare, con i film di Totò e il risultato sapete qual è? Continuano a farmi ridere tuttora. E non credo di essere la sola. Prendete, per esempio, Marco Presta del Ruggito del Coniglio, che nel suo modo di fare ironia ha preso tantissimo dal nostro Principe della risata.

Una risata liberatoria su tutto e tutti, la sua, frutto di un talento naturale difficilissimo da imbrigliare e da replicare (il grosso di queste gag erano improvvisate, come nel jazz). Un genio che, naturalmente, ai tempi non capivano in molti.

Non tutti i film di Totò sono belli, certo, e alcuni sono obiettivamente datati. Ma molti passaggi, soprattutto di quelli in cui il raffinato attore e poeta napoletano era ancora abbastanza giovane, se li guardi, non te li scordi più. Addirittura i miei nipoti, ossia quanto di più distante anagraficamente potrebbe esserci da quell'Italia che neanche io ho conosciuto, ridono di gusto.

E' stata mia sorella a proporgliene qualche pezzetto, da Miseria e Nobiltà, da Totò cerca casa, Totò Le Mokò per l'appunto e Totò Tarzan. In quest'ultimo, per dire, il Principe non risparmia pure qualche battutina sulla evidente femminilità di uno dei personaggi, alla faccia dei codici anti-discriminazione di adesso. 

La vera domanda che mi faccio è quindi la seguente: oggi saremmo in grado di partorire di nuovo un genio così? Se nascesse, saremmo in grado di capirlo o sarebbe uguale a cinquant'anni fa se non peggio? 
Sinceramente, io temo che sia vera la seconda che ho detto.

La generazione dei miei genitori, piena - sicuramente - di preconcetti sul diverso in generale è stata però in grado di crescere persone libere. E con la testa aperta. Non sto parlando solo di me, ovvio; parlo dei molti miei coetanei, etero, gay, trans, bisex, atei, credenti, miscredenti, clericali e anti-clericali, che possono LIBERAMENTE confrontarsi, discutere ed eventualmente accapigliarsi.

In molti di noi, però, vedo troppo spesso un limite, dato proprio dal grande privilegio che abbiamo avuto: l'assenza o per lo meno la carenza dell'ironia, l'unico strumento che ci permetterebbe di sdrammatizzare prima di tutto il nostro ego e poi quello degli altri.

Ve lo dico proprio apertamente: a me tutti sti' giovani barbuti che imbracciano i kalashnikov mi hanno rotto le palle che non ho. E trovo veramente incomprensibile che ci siano delle donne che li adorino, tra l'altro.

Non mi piace però ugualmente la condanna incazzata alla Ferrara e l'evocazione (veramente pericolosissima) della guerra santa con quella gravità da attori di terz'ordine che fa da esatto contraltare alla patetica serietà di quelli che un giornalista del Centro che è diventato il mito personale mio e di mio marito chiama cammellieri.

Perdonatemi, ma sono stanca di tutta questa pesantezza.

Non sono tempi facili, è così banale ribadirlo.
Però che palle, ragazzi.

Assorbito lo shock per la strage di Parigi (e per tutte quelle che succedono tutti i giorni nel mondo, ok, comprese le povere bambine kamikaze. Mamma mia che orrore), dobbiamo trovare la forza per alleggerire il carico, altrimenti come facciamo ad andare avanti?

Ognuno trovi il suo metodo, per carità, però, almeno, proviamoci. 
Lo confesso: io, qualche volta, quando sono particolarmente scornata, guardo i cartoni animati.
Ci sono pure altre attività interessanti che si potrebbero fare per scuoterci di dosso la pesantezza.
Non sto qui a scendere nei dettagli, ma insomma.

Quel che conta è solo questo: non dimentichiamoci di ridere e di auto-prenderci in giro.
Davvero: solo le uniche due armi che potrebbero salvarci, se non dalla bomba o la mitragliata bastarda di qualche idiota con turbante e non, ma almeno dalla morte in vita.

Di zombie in giro ce ne sono già troppi.
Non diamogliela per vinta.

Giusto per inciso, prima di chiudere: Totò, terrone come me, prendeva per il naso pure i suoi conterranei. Quel personaggio da basso avanspettacolo di Salvini è in grado di fare altrettanto?

A voi la risposta. La mia è questa:


martedì 16 settembre 2014

Le fotografie di mia madre e i tratti distintivi del suo carattere


Mia mamma mi ha vista così, credo due anni fa, a giugno. Deduco il periodo dell'anno dal colorito che ho normalmente, prima del breve periodo di rosolatura estiva. Il posto in cui è stata scattata la fotografia mi è molto familiare. E se è crudele passarci tutte le volte, andando e tornando dal mare, lo è stato ancora di più vederlo in immagine.

Ci abbiamo festeggiato così tante riunioni familiari, che dubito che riuscirò a rimetterci piede tanto presto. Anche mio padre sembra pensarla come me, ma d'altra parte poi il tempo passa e ammetto di essere stata contenta che abbia giocato a carte con gli amici della spiaggia, giusto due giorni fa, alla fine di questa estate così triste.

Sfogliando le fotografie scattate da mia madre, però, devo ammettere di aver più volte sorriso.
Abbiamo passato molti momenti felici, naturalmente felici, di quella normalità intima priva di aneddoti rilevanti se non per la stretta cerchia parentale, che tutti meriteremmo di avere.

Guardando i momenti del nostro passato comune resi inconsapevolmente immortali (salvo sbiadirsi negli anni o disperdersi nel cimitero dei byte), capisco ancora di più quanto io sia stata fortunata.
Mi sono rivista mentre giocavo a racchettoni con zio Gigi, mentre prendevo il sole con il quotidiano spaginato sulle ginocchia, con indosso i pigiami vecchi che continuiamo a metterci mia sorella ed io quando andiamo nella nostra casa da ragazze. E poi ho visto gli zii, i cugini, i nipotini prestarsi all'obiettivo con quel misto di ritrosia e vanità che mia mamma stuzzicava sempre quand'era in loro, in nostra, compagnia.

A volte ci fotografavamo vicendevolmente, in un gioco infantile che dava piacere a entrambe.
Ho scovato anche un suo ritratto in cui sfoggiava una parrucca verde fosforescente e sorrideva molto divertita. Ne ho una analoga di me, con un'espressione straordinariamente uguale, solo il colore della parrucca è diverso.

Da lei, credo, di aver preso un po' di spirito canzonatorio.
A fine mese mia zia farà dire una messa dal suo padre spirituale: gli ha passato un po' di parole chiave che vorrebbe che dicesse per ricordarla.
Io ne ho aggiunte due all'elenco per il resto veritiero composto dalla sorella: ironia e fierezza.

Per lo meno, io l'ho vista anche così.

Più passano i giorni e più mi convinco che non avrebbe mai potuto sopportare di diventare un vegetale. Noi avremmo voluto che restasse di più con noi, ma poi, come si dice dei figli, bisogna accettare che le persone che si amano di più prendano altre strade.

Non riesco ancora a provare granché conforto nel saperla sepolta accanto ai suoi genitori, ma al contempo, non posso fare a meno di percorrere il viale di cipressi soffermandomi ad ascoltare il gracchiare dei corvi e di qualche altro uccello a me sconosciuto.

Sei con me, sei con noi, in ogni momento.
Guidaci, se puoi, ancora un po'.
Ciao, mamma. Adesso sono io che vado a guidare: il cambiamento è cominciato dalla macchina nuova. Speriamo che ne arrivino anche altri.

So che tu ci credi. Cercherò di crederci anch'io.

mercoledì 6 giugno 2012

Coming out



E no, che avete capito?
Almeno fino a prova contraria, non ho cambiato preferenze talamiche. E' solo che ho deciso di non nascondermi più, almeno non del tutto. Perché, come sostiene giustamente mia madre, è pur vero che le parole mascherano, assai più di quanto possa sembrare persino a me stessa.
In ogni caso, credo che sia giusto metterci almeno il nome (per la faccia, beh, accontentatevi del disegnaccio nuovo scelto come intestazione e della fotografia di me treenne) soprattutto perché ogni tanto parlerò di cose serie. Perché il non-lavoro, pur se affrontato con scioltezza non pedante, è pur sempre faccenda che fa rabbrividire. In alcuni casi, a dire il vero, fa proprio morire e anche se non ho intenzione di unirmi alle giaculatorie neomelodiche sullo Stato assente e il governo ladro, è pur vero che bisogna avere rispetto di chi soffre per i continui respingimenti oltre i confini delle assunzioni. Un problema che, come ho già avuto modo di dire nel primo post della rubrica "Gli Sfaccendati", non riguarda solo i giovani e i giovanissimi, ma ahimè anche molti quarantenni e cinquantenni. Di qui la mia decisione di non parlare solo dei coniugi Sfaccendati per eccellenza, bensì anche degli altri.
Nelle storie di cui verrò a conoscenza userò naturalmente sempre il mio tipico tono di leggera ironia (beh, certe volte scivolo nel sarcasmo, lo riconosco) verso un Paese tanto bello quanto fragile, in tutti i sensi.
Però di ogni parola che scriverò mi prenderò tutta la responsabilità, per rispetto verso il mestiere che malamente - e raramente - ancora esercito e soprattutto per un senso civico radicato come una quercia secolare. Su quest'ultimo aspetto, peraltro, non ho alcun merito particolare, dal momento che mi è stato insufflato nel sangue direttamente alla nascita. E se non ci credete, beh, provate a seguirmi e ve ne accorgerete.
Alla prossima.