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sabato 12 luglio 2014

Peperoni rossi dell'amore. Che non finisce


Vi giuro, non avrei mai pubblicato questa immagine solo un giorno fa.
L'ho scelta per il mio desktop perché la trovo così intima e bellissima.
Mia mamma è stata una bella donna, fuori e dentro.
Non lo dico per il legame che c'era tra noi, è un fatto oggettivo.

Ho scattato questa fotografia due anni fa. Ho appena controllato la data di acquisizione sul pc: era il 22 settembre 2012. Non sono ancora due anni. E lei, probabilmente, era già malata, ma non lo sapeva.

Lo avrebbe, lo avremmo, scoperto più o meno un mese dopo, subendo uno shock che può immaginare solo chi ha vissuto un'esperienza analoga.
Di questa brutta malattia si ammalano davvero in troppi e a tutte le età.
Lo diceva sempre lei, che ha affrontato la cura con una forza in fondo prevedibile, visto il suo carattere. La sala d'attesa lassù al quattordicesimo livello era sempre zeppa di gente, soprattutto il lunedì mattina. Io ci sono stata poche volte, esentata, per così dire, dal ruolo di accompagnatrice a favore di mia sorella Linda, più capace di cavarsela con le pastoie burocratiche e di altro genere dell'ospedale.

Arrivavo dopo, a casa, durante i giorni degli effetti collaterali. Sopportati bene, tutto sommato. Fino all'ultimo Natale, anzi, ci eravamo, forse, tutti illusi che sarebbe restata ancora a lungo con noi.
Ancora a maggio pensavamo che davvero sarebbero arrivati "i giorni migliori" che ci aveva prospettato il chirurgo milanese che abbiamo incontrato a Terni. Sono sicura che ne era convinto anche lui (diversamente sarebbe stato uno sconsiderato, come minimo), ma purtroppo non ha avuto ragione.

Non voglio ricostruire minuto per minuto i giorni ancora troppo recenti del distacco, ma ho comunque bisogno di fissare qualche pensiero. Perdonatemi se doveste trovarli troppo tristi.
In questi giorni teatini ho rivisto tre mie ex compagne di liceo, una al giorno, e sono stati tutti incontri molto belli. Molto veri.

Da ognuna di loro ho imparato qualcosa, durante i lontani anni della crescita, ma sono stata davvero contenta di scoprire di poter apprendere dell'altro ancora oggi. Siamo uguali ad allora e insieme diverse. Il carattere non si cambia, ne sono sempre stata convinta, ma la vita ce lo modella. Può peggiorare, certo, ma può anche manifestarsi in tutte le sue potenzialità, rivelando le magnifiche donne che sono diventate.

Mi spiace di non poter condividere con Susi, Simona e Valentina anche l'esperienza della maternità: so che buona parte del loro tempo è occupato dal pensiero dei figli che crescono. Però sono, per fortuna, una zia, quindi conosco, almeno superficialmente, che cosa si prova nel dover uscire da sé per diventare strumento di qualcuno che dipende da te.

Da figlia, inoltre, so quanto sia fondamentale sentirsi amati. Le ammiro, ecco, perché le vedo in grado di svolgere il loro ruolo, rimanendo comunque così simili a come erano quando sedevamo dietro ai banchi della nostra aula lunga e stretta.

Susi mi ha mandato delle foto di quegli anni. Le ricordavo tutte, tranne una di gruppo, a casa di un nostro compagno. Solo qualche tempo fa rivederle mi avrebbe messo angoscia. E invece adesso le ho trovate così lievi.

Ho dimenticato molto di quegli anni, ma so al contempo che la donna di oggi viene da lì, principalmente. Certo, poi, c'è stata l'università fuori casa e tutti gli altri anni di peregrinare in giro per l'Italia, ma quanto sia simile alla ragazza che sono stata me lo ha restituito, in questi giorni, il dialogo con le compagne di liceo.

Chissà che cosa ne avrebbe detto mia madre. Penso che ne sarebbe stata contenta: dentro di sé deve aver almeno un po' patito per la mia insofferenza verso la nostra piccola città. Ma chissà se è davvero così: probabilmente l'ho delusa per non essere riuscita a staccarmene davvero del tutto. Chi può dirlo.

In ogni caso, sapete perché mi piace tanto la foto che vedete in alto? Perché quei peperoni così rossi mi parlano di amore. Dell'amore che passava anche dai piatti che ci preparava, dagli occhi fiammeggianti, dalle battute fulminanti e dalle risate ai danni di papà che tante volte ci siamo fatte insieme.

Il rosso è un colore che mi piace e so che piaceva molto anche a lei.
Un filo rosso mi lega ancora alle amiche di scuola che hanno condiviso con me questi giorni di lutto (è compresa nell'elenco anche l'assente ma sempre presente Annalisa) ed è consolante accorgersene.

Stamattina sono tornata con mio padre al cimitero e lei era lì, nella fotografia che abbiamo scelto per la tomba. Devono essere venuti a metterla forse ieri: lunedì non c'era e poi ci sono stati giorni di pioggia e vento.
Già da ieri, comunque, sentivo di doverci tornare: volevo togliere i fiori che immaginavo secchi o marciti.
Lì per lì non me n'ero accorta, attratta dal rosso del lumino che era stato spostato. Allora, mi sono detta, qualcuno deve essere venuto. E infatti.
Al posto del lumino c'era lei, nell'ovale quasi uguale a quello dei suoi genitori.

Da lontano si vedono solo i suoi occhi leggermente socchiusi per via del sole.
Occhi parlanti. Occhi danzanti.
Ciao, mamma. Tornerò presto a trovarti.
Grazie, amiche.

venerdì 13 aprile 2012

Transito vietato alle piccinerie di provincia


Quando meno la vorresti, eccola là, più puntuale della morte. Sto parlando della molestia, difficile da schivare tanto più se si materializza in un essere umano in carne e ossa, che si fa trovare nello stesso posto e alla stessa ora in cui ci sei anche tu.
L'ho visto già prima di varcare la soglia di un noto negozio di borse & affini del centro storico della mia città natale. Ho anche fatto la tipica faccia di chi non ha voglia di chiacchiere da bar, nell'attimo in cui la molestia personificata guardava verso di me. Purtroppo, non ha sortito effetto né io potevo evitare di entrare, dal momento che ero in compagnia di mia madre, desiderosa di ricevere un mio parere sul regalo alternativo che stava per farsi mostrare.
Così mi sono diretta verso la Molestia con il passo un po' molle di chi va al patibolo.
In un certo senso, però, sapere di avere un luogo in cui avrei successivamente depositato l'inutile dialogo (parola poco calzante, al contrario dell'aggettivo) mi sollevava un pochino dal senso di ambascia.
Ma non facciamola più lunga. Di seguito, le testuali parole dello sgradito scambio di vocaboli:
"Ho versato 21 anni di contributi"
"Buon per te"
"Eh, ma ormai non servono più a niente..."
"?"
"Mi ero già fatto i calcoli: tra 14 anni, a 54 anni, sarei andato in pensione e avrei lasciato il posto a mio figlio che allora avrà 21 anni. Perché anche se non c'è più questa possibilità, poi si sa che si fa lo stesso"
"..."
"Ma adesso, con la riforma... Anch'io dovrò ricorrere a un fondo privato"
"Va bene, dai, magari poi non è detto"
"Comunque adesso mi godo ancora qualche giorno di vacanza e mia moglie, che non vedo mai, e mio figlio"
"Infatti, fai bene. Io invece sono qui con mia mamma che ha appena compiuto 70 anni e..."
"Settant'anni? Ma chi l'avrebbe mai detto? Ma complimenti"
"Del resto è una questione di genetica"
(mi indico sorridendo in modo fintamente mondano)
"E quelli sono i tuoi genitori, scusami, non li avevo visti"
(la madre della Molestia mi si avvicina e molto educatamente mi saluta: mai vista pettinatura più scolpita della sua)
"E lei ha qualche anno più dei settanta..."
"Complimenti, non è cambiata per niente. Anche tuo padre"
Per farla breve, questo mio compagno di classe (perché di ciò si trattava) saluta con la sua tipica galanteria manierosa mia madre e si trattiene ancora un momento con i negozianti per allietarli, probabilmente, con l'illustrazione di qualche piano pensionistico a loro vantaggio (era sabato santo: sai che bellezza passarlo così), mentre mia madre ed io ci allontaniamo allungando l'andatura, io sentendomi un po' come Moretti quando lascia Panarea un attimo dopo essere sbarcato dall'aliscafo in "Caro Diario".
C'è un sottotesto chiaro, probabilmente, solo all'unica persona che legge questo blog che conosce anche la Molestia formato liceo classico: quest'ultima a scuola era una capra, un po' perché non studiava, un po' perché, in fondo in fondo, nutriva un non malcelato disprezzo nei confronti di chi lo faceva, ottenendo, magari, buoni risultati in materie poco pratiche come la storia (peggio, la filosofia: ma ammetto che non ci capivo un'acca neanche io, per quanto mi sforzassi di leggerne l'enigmatico manuale) o l'italiano.
Ai tempi, peraltro, la sua svogliatezza venne ripagata con bocciature in materie veramente improbabili: educazione fisica (giuro!) e storia dell'arte, quest'ultima, devo dirlo, per pura antipatia personale del prof nei suoi confronti del tutto fuori luogo, dal momento che non facevamo assolutamente nulla, il che ha finito per crearmi un forte rimpianto per le lacune mai colmate in una delle materie che amo di più.
E insomma, so per certo che il mio compagno ci teneva a mostrarmi tutti i suoi successi come a dirmi: vedi? tu eri tanto brava e adesso non sei nessuno, mentre io sono ricco e affermato.
No, non è una mia proiezione per via delle solite insicurezze che effettivamente a tratti mi angosciano non poco. Conosco la faccia di questo ex ragazzo imbolsito precocemente e le cattiverie di cui era capace. Le tipiche cattiverie dell'adolescenza che mi sono portata dietro per anni, prima di convincermi che dovevo fregarmene e pure alla grande.
Quel che mi sconcerta è che, nonostante tutti i mutamenti che pure saranno intervenuti nella sua vita, comunque dovesse darsi un tono, buttandomi in faccia la sua infantile rivalsa antropologica.
Davvero, se gli fosse toccato di andare in pensione a 54 anni, come a tanti delle generazioni passate, sarei stata felice per lui, se questo era, è, il suo orizzonte di vita.
Meno capisco il discorso sull'ereditarietà del posto di lavoro. Anzi, direi che un po' mi fa orrore, considerato il modo in cui starà crescendo suo figlio e il "trotismo" dilagante.
E tuttavia, l'aspetto vieppiù triste di questo episodio è il senso d'immobilismo che mi restituiscono persone così, simbolo di una terra, di un paese, ostile al diverso, al nuovo, allo straniero, esattamente come venticinque anni fa, quando ho preso a scalpitare per il desiderio di conoscere il mondo.
Ammetto di non essere andata molto lontano: Molestia, hai ragione tu: non ho combinato granché, ma la testa non si è mai più richiusa né mai sarà possibile.
E se anche un giorno dovessi venirti a chiedere delucidazioni sui fondi pensione, beh, di sicuro troverò un'altra maniera per mettere alla berlina la tua noiosa piccineria di provincia.