Cercavo un collegamento tra "La ragazza del mondo", il film di Marco Danieli che ho visto venerdì scorso alla Comunità di Capodarco, per l'apertura dell'Altro festival, e "L'arminuta" di Donatella Di Pietrantonio.
Quando si dice il caso.
L'attrice protagonista che vedete sopra nella foto si chiama Sara Serraiocco ed è di Pescara.
L'autrice del libro che ha per protagonista una ragazza ancora più giovane vive a Penne. Forza Abruzzo, mi verrebbe da dire, ma solo perché sono una senza patria alla ricerca costante delle proprie radici.
Tolto l'orgoglio regionale, comunque, tra i personaggi visti e letti più o meno negli stessi giorni il legame c'è e ha a che fare con l'identità.
"Arminuta" vuol dire "ritornata" ed è il soprannome che viene affibbiato alla ragazzina al centro della storia dagli abitanti del paese nel quale torna a vivere, quando viene restituita alla famiglia biologica da quella adottiva, per ragioni che verranno spiegate durante la narrazione.
La ragazza del mondo è invece ciò che diventa Giulia-Sara, la diciannovenne testimone di Geova, che finisce per essere "disassociata", quando si scopre il suo legame d'amore con un ragazzo "di fuori" dalla comunità religiosa.
Al di là degli aspetti sociali delle due vicende (che pure sono significativi, altrimenti non si capirebbe granché della tensione narrativa che le pervade), sono rimasta colpita dalla forza di queste due giovani donne, capaci, ciascuna a modo proprio, di ricomporsi pezzo dopo pezzo dopo pesantissime fratture.
Alla fine del film (no spoiler, promesso) verrebbe da chiedersi che adulta diventerà Giulia, se riuscirà un domani ad amare nel modo giusto chi è dentro e chi è fuori dal mondo dal quale si è dovuta (o voluta?) allontanare.
Nel caso dell'Arminuta, invece, si sa che la trama si avvia quando la protagonista ha più o meno trent'anni, per cui già si intuiscono i mutamenti prodotti dalla scoperta tardiva di avere due mamme o forse nessuna.
In entrambe le storie, il dolore resta lì, muto e galleggiante, come quando si è smesso finalmente di piangere, ma si è ancora spossati dalle lacrime.
E tuttavia uno spiraglio c'è ed è molto femminile sia per i personaggi che lo rappresentano sia per il modo in cui viene espresso.
Mi colpisce, anzi, a pensarci adesso, che il regista della "Ragazza del mondo" sia un uomo: è proprio vero, allora, che quando ci si mettono quelli che stanno dall'altra parte del cielo sono capaci di grande sensibilità, epurata, direi, dalla retorica in cui spesso, ahimè, noi donne finiamo per cadere.
Donatella Di Pietrantonio, al contrario, sa dare voce anche agli uomini, ai maschi direi meglio, nel modo giusto, ma pure per lei la salvezza della protagonista è declinata al femminile.
Il film con la magnifica Sara Serraiocco e la terza opera edita di una - a mio avviso - delle migliori scrittrici italiane contemporanee non sono perfetti ed è anche questa una ragione della loro bellezza.
L'innamorato di Giulia poteva pure non essere un tossico-spacciatore, mentre qualche dialogo del libro poteva essere ancora meno esplicito di come è stato stampato, per aumentare la meravigliosa asciuttezza della prosa adottata dall'autrice. E tuttavia, ho amato tutti i personaggi principali di entrambe le opere: nel libro mi è piaciuto Vincenzo, il fratello-non fratello dell'Arminuta, e ancora di più la mamma ritrovata, con quell'incapacità apparente di compiere gesti d'affetto.
Nel film, invece, nonostante quello che ho scritto prima, mi sono immedesimata nella disperazione di Libero, il ragazzo di Giulia interpretato da un assai convincente Michele Riondino.
Sono storie alle quali ti affezioni, insomma, capaci di riscuoterti dal torpore di giorni troppo identici a loro stessi. Già solo per questo motivo, non posso che dire grazie a chi ci ha lavorato con tutta la passione e la competenza che ci vuole.
Non basta una vita, probabilmente, per capire chi siamo e che diavolo ci facciamo qui: qualcuno, però, ha almeno il dono di fornire un po' di senso al nostro vagare.
L'umanità ha ancora qualche chance.
Voglio crederci, fatelo pure voi.