giovedì 11 ottobre 2012

E se fossi un musicista? Scoprilo con il metodo BrainArm di Guido Mallardi!



Ho sempre amato il pianoforte, l'unico strumento capace di produrre, almeno per le mie orecchie digiune da nozioni di armonia e solfeggio, rimbombi carichi di poesia.
Rammento ancora con molto piacere il saggio di musica di Valentina, una delle mie più care compagne di scuola. E dire che lei non era affatto contenta di esibirsi in pubblico. Invece io ho amato ogni singola nota partorita dalle sue mani e da quelle degli altri allievi, pure le più incerte.
Sensazioni simili a quel lontano pomeriggio della mia prima adolescenza sono riaffiorate quasi identiche durante le prove di mio marito e degli altri iscritti all'Accademia professionale di musica di Guido Mallardi, in vista del saggio di fine anno che si sarebbe tenuto da lì a pochi giorni.
Seduta sullo strapuntino di un piccolo divano pieno di spartiti e altri oggetti vari, a pochi passi dall'imponente pianoforte marrone al quale si avvicendavano gli allievi, mi sono sentita completamente a casa. Rispetto all'esperienza di molti anni fa, avevo in più il privilegio di poter osservare assai da vicino i volti concentrati dei pianisti (e di una giovanissima bassista). Ero talmente partecipe del loro sforzo esecutivo da sentirmi praticamente al loro posto. Da lì la mia idea di fotografarli durante il saggio, sempre, naturalmente, che ne fossero contenti sia il titolare dell'Accademia sia gli altri partecipanti. Ricevuto l'ok, ho tentato il più possibile di non disturbarli durante le prove e soprattutto nella prima serata ufficiale e ho scattato, scattato... Tempo fa ho pubblicato le piccole e amatoriali gallerie che raccontavano a modo mio entrambe le serate concertistiche (e parte delle prove generali).
Oggi sono lietissima di diffondere i video ufficiali prodotti direttamente dall'Accademia professionale di musica con il contributo di una piccola fetta delle mie fotografie (com'è giusto che sia) e qualche nota (nel secondo video, quello più breve) di "Pollini", la composizione del mio Sfaccendato preferito...
Quei giorni d'inizio estate sembravano promettere nuovi percorsi con l'autunno tornati a essere alquanto nebulosi. Eppure: niente è perduto, soprattutto quando nasce dal talento più puro.
Se poi quest'ultimo è accompagnato da grande serietà e impegno, i frutti sicuramente arriveranno.
L'ultima frase è dedicata in particolare a Guido Mallardi e alla sua brava e simpatica moglie, Elisa Campofiloni, insegnante di propedeutica musicale per i bambini dai 2 ai 7 anni.
Nonostante tutto, bisogna crederci, con forza e bastevole incoscienza.
A voi e a tutti quelli che verranno a provare il metodo Brain Arm pubblicizzato negli spot sopra riportati, grazie di cuore, per la musica che riuscirete a far sgorgare dalla vostra essenza e per l'effetto rinvigorente che procurerete a chi verrà ad ascoltarvi!

mercoledì 10 ottobre 2012

AAA cercasi lavoro... usando l'inserzione di un altro

Immaginate di stare sfogliando la settimana enigmistica.
A un certo punto vi si parerà davanti il solito gioco delle differenze, stavolta però leggermente diverso.
Ai solutori si chiederà di scovare le differenze tra i due seguenti testi:

PRIMO TESTO
43enne dipl. rag.  esperienza quinquennale ausiliario socio assistenziale si offre per varie mansioni (assistenza di base, pulizie domestiche, spesa a domicilio, accompagno, piccoli lavori casalinghi,  disbrigo pratiche burocratiche, segretariato, servizio dog-cat sitter, cura del tempo libero, ecc.) . Non è servizio sostitutivo di badante, semmai un valido aiuto per piccole ma indispensabili attività quotidiane rivolto a soggetti in temporanea o duratura difficoltà.
Max serietà offerta e richiesta. Paolo


SECONDO TESTO
48enne diploma rag. esperienza ventennale, si offre per varie mansioni (assistenza di base, pulizie domestiche, spesa a domicilio, accompagno, piccoli lavori casalinghi, disbrigo pratiche burocratiche, segretariato, servizio dog-cat sitter, cura del tempo libero, ecc.) in zona fermano-maceratese disponibile a piccoli trasferimenti. Non è servizio sostitutivo di badante, semmai un valido aiuto per piccole ma indispensabili attività. Max serietà offerta e richiesta. Stefano

Capita anche questo agli Sfaccendati: di inventarsi un annuncio e di vederselo riprodotto pari pari (tolte le debite differenze che di certo avrete notato) sul medesimo sito di annunci economici.
Come commentare?
Rivendicare il copyright è non solo ridicolo, ma anche inutile.
Trovo tuttavia davvero triste che ci si debba scippare pure la patente di sfigato nonché attempato ricercatore di lavoro.
A questo punto non so se augurare al 48 enne ragioniere con esperienza ventennale di avere più fortuna dell'autore dell'annuncio da lui copiato-incollato (ebbene sì, copiato-incollato) di soli cinque anni più giovane.
Se mai (quindi mai) dovesse leggere questo mio post, lo pregherei di farmi sapere se è riuscito almeno lui a cavare un ragno dal buco. Lo rassicuro: non c'è pericolo che Sfaccendato man gli faccia concorrenza. Quest'ultimo, infatti, ha ricevuto un certo numero di visite all'inserzione numero uno, pubblicata ormai più di un mese fa (mentre quella di Stefano è fresca fresca... di copiatura), ma mai nessuno l'ha contattato.
Oltretutto Sfaccendato ha provato a riproporlo anche da altre parti d'Italia, caso mai ci fossero più chance da qualche altra parte.
Per ora tutto tace.  E qualcosa mi induce al pessimismo.
Di recente, però, mi si è fatto notare che essere troppo realisti (leggi pessimisti, per alcuni) finisce per bloccare quei meccanismi positivi che a volte riescono a sbloccare pure le situazioni più pantanose.
In nome di questo principio, che in fondo in fondo condivido (è così facile illudersi), non aggiungo ulteriori lamentazioni.
Mi limito giusto a una chiosa finale: come pensiamo di risollevarlo questo Paese se continuerà a ingrossarsi la schiera dei quarantenni a spasso?
Ne ho già parlato, ma ribadirlo non fa male: la guerra generazionale è più che mai aperta, non solo verso i vecchi che non se ne vogliono andare, ma purtroppo anche verso i giovani assunti (quando capita) non perché più dinamici o più hi-tech, ma esclusivamente perché più economici.
Tutti gli altri (cinquantenni compresi: il dramma per loro è forse anche maggiore) possono scordarsi una seconda opportunità.
E però ogni tanto qualche segnale in controtendenza arriva: finalmente c'è qualcuno che ha capito che, anziché ricandidarsi, è meglio "occuparsi della formazione dei giovani" (non oso pensare come).
Sull'altro fronte, invece, c'è chi dice che si sente ringalluzzito e rimotivato a non schiodare pur di contrastare l'ascesa del rottamatore fiorentino.
Pur non avendo particolari simpatie per Matteo Renzi, ammetto che alcune sue uscite sulle differenze d'età tra lui e il grosso dei politici tuttora in auge mi hanno fatto molto ridere. Sottolineo però un fatto: Renzi non è giovane, bensì è un adulto con un ruolo pubblico di un certo rilievo.
Del resto, non scordiamocelo, siamo in Italia, dove non si è mai abbastanza vecchi per avere ruoli di comando (a patto di non essere stati imbucati da qualcuno), ma neanche abbastanza giovani per poter ricominciare daccapo. Con umiltà, sì, ma anche con dignità.
Sì, dò il mio in bocca al lupo a Stefano e a tutti gli Sfaccendati d'Italia.
Però, per piacere, usate un po' più di fantasia, una qualità che, magari, vi aiuterà anche a ritrovare una strada adatta al vostro sacrosanto desiderio di riscatto.

venerdì 5 ottobre 2012

Dedicato a Linda... sperando che l'emergenza passi in fretta!

Continua il periodo brazileiro, forse alimentato anche da un lentissimo (e crudelissimo) cambio di stagione. Dedico il post a mia sorella che in questo periodo sta combattendo con una bizzarra vicenda che mi ha riportato decisamente indietro nel tempo. Preferisco non spiegare di che si tratta per una questione di privacy, ma al momento opportuno saprò ricavarne uno scritto degno dell'episodio.
Posso soltanto aggiungere che, come direbbe mia madre, "non è male che ci canta li previti", mia libera trascrizione dal dialetto natìo.
La canzone mi è nota da tempo, per ragioni ovvie a chi conosce me e mia sorella, ma in questo caso posso anche specificarlo: il suo nome è Linda, per me il più bello che ci sia, prescindendo dall'adorazione dalla sottoscritta nutrita per colei che è stata il mio modello di tutta l'infanzia e buona parte dell'adolescenza.
Praticamente non abbiamo mai litigato: c'è stato un solo episodio in cui mi sono sentita mortificata da lei. Ero salita a casa della sua amica che aveva dato un party presumo pomeridiano o poco più. Linda doveva aveva circa quattordici anni e giocava a fare la grande. Ero salita giusto per avvisarla che l'aspettavamo in auto, mio padre ed io. Che onta per una dura come lei. Mi cacciò via con stizza. Una volta a casa, però, davanti alle mie lacrime (non le rammento, ma ci posso scommettere: sono sempre stata una piagnona) e al rimprovero di nostra madre, Linda si scusò. Eravamo distese nei nostri lettini paralleli, le luci delle abat-jour ancora accese prima della notte ormai fonda.
Per il resto, tra noi ci sono state molte risate e originalissimi giochi in comune, in un clima di reciproco scherno sempre affettuoso che ancora oggi contraddistingue i nostri rapporti.
Ed è ben per questo che le dedico la versione più moderna della canzone resa celebre da Caetano Veloso, per renderle più lievi questi giorni di tregenda... sanitaria! Ho scelto appositamente la versione 2012 per stare giusto un po' più al passo con i tempi: oggi l'ancora affascinante Caetano esibisce una folta chioma bianca e sembra divertirsi un mondo in quella che sembra una sorta di domenica in brasiliana:


A Linda in bocca al lupo... e dacci sotto con la bonifica!

martedì 2 ottobre 2012

Tutto scorre, pure l'amicizia

Non so il portoghese, ma conosco il testo di Tempo Rei di Gilberto Gil da moltissimi anni.
Ho notato che soprattutto quando mi sento uno straccio (la cenciona del precedente post), ricorro alle musiche brazileire per cercare di tirarmi su. Sono consapevole della doppiezza di quei ritmi, insieme caldi e nostalgici, e forse è proprio per questo che li faccio suonare sullo stereo o direttamente nelle mie orecchie come in questo momento.
Questa canzone, in particolare, è sempre stata il simbolo del mio modo di vedere la vita, però ho appena scoperto che non ne avevo capito il titolo.
"Tempo rei", letteralmente, significa "Tempo sovrano", ossia che tutto dipende dallo scorrere di quelle clessidre che determinano il nostro essere su questa terra.
Del resto, anche il modo fantasioso in cui l'avevo tradotto nella mia testa non era poi così errato, dal momento che mi ha sempre ricordato il famoso "panta rei" di scuola greca, ossia "tutto scorre", dai fiumi che mi fermo troppo spesso a guardar passare, ai nostri giorni.
Non mi illudo, come canta il grande Gilberto, che tutto possa restare così com'è né, d'altra parte, lo voglio. Detesto anzi la stasi e mi sento vera e in pace con me stessa più spesso nelle fasi di passaggio da un luogo a un altro che non quando sono arrivata a destinazione. Meno che mai quando sono a casa. Ma questo penso di averlo già scritto.
Su un aspetto, però, sono molto brazileira anch'io, o per lo meno con l'idea assolutamente superficiale che ho di quel Paese: ho nostalgia delle persone che hanno rappresentato qualcosa nella mia vita e non riesco facilmente ad accettare che ciò che mi aveva unito a loro non ci sia più.
Naturalmente, quando ne prendo coscienza, reagisco in maniera differente a seconda del grado di confidenza e affetto che mi legava a ciascuno dei tanti persi per strada. Per alcuni ex colleghi, per dire, provo più o meno una sorta di cameratismo da compagni di scuola di verdoniana memoria. In altri casi, invece, sentirsi scaricati del tutto fa male.
Mi è successo giusto ieri, un'altra volta. E mi succederà di nuovo, lo so.
Dev'essere la mia immagine accogliente e apparentemente svagata che spinge gli altri a vedermi sempre nello stesso modo. E del resto, nessuno di noi ha voglia di dare ascolto a un musone problematico: ci piace pensare che il nostro interlocutore sia sempre sorridente e rassicurante esattamente come appare.
E io sono una campionessa della rassicurazione.
Sto scrivendo frasi oscure perché non voglio fare nomi e cognomi (non è necessario), ma comprendo con chiarezza via via crescente che nella fase due della mia vita di donna che si avvia alla maturità dovrò abbandonare una buona volta comportamenti e aspettative antiche.
L'amicizia è una perla rara, rarissima, possibile solo tra chi non si aspetta nulla dall'altro, né rassicurazioni a buon mercato né consigli pratici. Gli amici veri si mandano anche a quel paese, ma non si mascherano. Parlo anche di me, che pur di non soffrire di solitudine o per vigliacco bisogno di sentirmi accettata, ho spesso scelto di fare la buffona o la finta cinica oppure, al contrario, mi sono calata nei panni della crocerossina bonaria un po' distaccata dalle passioni del mondo.
Nessuno di questi comportamenti ha spostato di una virgola ciò che gli agognati amici pensavano di me. La loro distanza è rimasta la medesima e in certi casi si è pure allargata.
Per guarire dall'ennesima frattura, insomma, sto scrivendo queste righe ascoltando uno dei grandi classici della mia prima giovinezza.
Dopodiché, però, uscirò dal blog e da questa guazza depressiva.
Il tempo è sovrano, il tempo scorre: non conviene buttarlo dietro a illusorie nostalgie per giorni e persone che non torneranno più. Possiamo solo andare avanti. E io, come tutti, lo farò.

venerdì 28 settembre 2012

Cencioni sì, ma di gran classe

Lorenzo Viani, Famiglia di poveri

Da qualche parte devo aver già parlato dello strazzer evocato spesso nella famiglia di mio marito. Si trattava di un tal Masagnana, che dio l'abbia in gloria, trasformato in nomignolo da mia suocera Marisao, quando vuole sottolineare l'ineleganza (vera o presunta) dei figli.
Non mi pare invece di essermi mai soffermata sulla versione chietina/abruzzese dello stesso concetto.
Cengione o cingiune, a seconda della maggiore o minore abilità glottologico-fonetica nel pronunciare il dialetto natìo, è colui o colei che si abbiglia male per ragioni innanzitutto economiche. Ma non solo.
Può infatti essere definito tale anche chi, semplicemente, non conosce le regole del buon vestire, per le fattezze nonché la qualità dei capi prescelti, oppure per una precisa scelta ideologica.
In quest'ultimo caso, però, ci si candida a venir annoverati tra i zezzone, altrimenti chiamati, dalla schiatta generata da Marisao e i loro conterranei padani, vunciùn.
Mi sorge però una domanda, stimolata dal dialogo avuto con mia madre giusto ieri pomeriggio. Quest'ultima ha infatti attribuito a un oggetto le caratteristiche sopradette, lasciando intendere che la medesima parola si presti a più utilizzi. Insomma: si può essere cingiune non solo nell'aspetto personale, ma anche negli oggetti che usiamo nella nostra quotidianità.
L'aggettivo, in definitiva, individua una precisa condizione del vivere; di più: è la sintesi di una vera e propria ontologia, altrimenti detta filosofia di vita. Se si è cingiune d'aspetto, insomma, è facile che siano tali anche le nostre cose; ma potrebbe essere vero anche il viceversa.
Una volta (questo lo ricordo) ho parlato della differenza tra accricco e accrocco.
In un certo senso, entrambi possono far parte della sopra detta ontologia, però è meglio non addentrarsi troppo in queste sottigliezze perché allora dovrei introdurre anche la parola bandone, che indica un oggetto grosso, sgraziato e soprattutto mal funzionante, come ad esempio una vecchia automobile. La nostra Micra è sicuramente l'una (cingiune) e l'altra (bandone), ma immagino che un vecchio materasso non possa essere giudicato anche con il secondo aggettivo. Ed è proprio un materasso che, per l'appunto, mia madre ha apostrofato così.
Il che mi fa pensare che anche quando lo si riferisce a un oggetto, si resta comunque nella sfera intima. Sì a dirlo di una maglietta (o una mutanda) senza elastan, no ad affibbiarlo a un ferro da  stiro o ad altro malandato accricco.
Resta comunque il fatto che quando lo si dice di una persona, nello specifico di noi stessi, fa molto più colpo. In questi giorni, per esempio, Sfaccendato e io siamo due cingiune all'ennesima potenza, visto il raffreddore da fieno che ci siamo passati a vicenda. Anzi, per la precisione: io l'ho passato a mio marito.
Oggi tocca a lui non mettere piede fuori di casa, abbigliato come si confà a un masagnana afflitto da voce nasale. A mia volta, anch'io non sono esattamente chic, con la mia tuta cinese e la magliettina non proprio linda.
E tuttavia, per fortuna, non mi sento cingiune nella psiche, riscossa probabilmente da un istinto di sopravvivenza più testardo di qualunque sfiga, interna o esterna.
Forse il secondo tempo sta cominciando.
L'importante è crederci, nonostante l'atmosfera di un presente,  non solo personale, che più cencioso non si può. 

mercoledì 26 settembre 2012

Da Jane a Cita, in attesa che cominci questa benedetta seconda vita



Il precedente post deve aver scatenato la ubris divina: "Pensi di somigliare, tu o tua madre, a Jane Fonda?", si sono detti gli dei di qualche incerto Olimpo, "E allora beccati una para-influenza rammollente".
Così è stato. Se lunedì decantavo i prodigi psicofisici delle mie insegnanti di aerobica-step-gag-squat etc etc, oggi mi sento come se mi avesse schiacciato un caterpillar.
Passerà (per forza), però lo stato di abbattimento e il ronzìo delle orecchie mi ha portato all'ennesima amara riflessione sul mio stato di non-lavoro, meglio, di non-disoccupazione assoluta.
Ogni tanto rilancio gli appelli dei colleghi precari che stanno ancora in qualche modo a galla, ma in verità mi sento sempre più lontana da un mondo del quale, alla fin fine, ho fatto parte solo per pochi anni. Su New Tabloid, il mensile dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, c'era un interessante primo piano sull'uso di Twitter per i giornalisti. I più bravi, pare, sono definiti "twitteri". Al di là della forma, leggiucchiando (mentre mi misuravo pateticamente la febbre che non ho) oltre, mi sono vista allo specchio: sono Cita non solo nel fitness (almeno per questa settimana non credo che riuscirò a tornare in palestra), ma ancora di più mi sento e temo mi sentirò (purtroppo non solo per sette giorni) una specie di australopiteco dell'informazione, per la mia distanza sempre più marcata dai nuovi media. Non che non li bazzichi, ma sinceramente non riesco a vederne il risvolto pratico per la mia vita e quindi per il mio status di pennivendola poco venduta.
Non è una lamentela da canto (diurno) di venditore d'acqua calda di bracardiana memoria. Temo sia la realtà dura e cruda. Non sono mai stata una che sta sul pezzo, nel senso moderno della brutta espressione gergale. Il punto è che - probabilmente - non mi va neanche di esserlo, se questo significa cinguettare tutto il giorno o anche solo seguire compulsivamente tutte le news.
Oggi sono rientrata sul mio profilo Twitter (sul quale mi limito a rilanciare i post che scrivo sui miei blog o al limite le boiate che pubblico su Facebook), ma mi sentivo spersa, un po' come la nostra gatta che non ha ancora capito di essere stata adottata.
Sono una specie di Heidi anch'io, ma in fondo lo sono sempre stata.
Per combattere la sindrome dello spaesamento, mi servirebbe - ne sono consapevole - un ambiente fertile e stimolante intorno a me, ma tolte le esperienze preziosissime che continuo a cercarmi come l'aria, poi me ne ritorno qui e la mosciaggine si reimpossessa di me.
So bene di essere condizionata dallo stato di salute attuale, però ho bisogno di uscire, da questa casa, ma ancora di più da un guado che mi fa piangere di amarezza quando mi capita, come m'è successo giusto qualche giorno fa, di ritrovare vecchi esercizi di stile decisamente buoni, rimasti lì a impolverarsi insieme con il mio primo, più che obsoleto portatile.
Mio padre me ne ha da poco regalato uno nuovo: per la precisione è il terzo che mi elargisce.
Quanto vorrei che mi servisse a buttarmi per davvero, o almeno a togliermi quel senso forse molto più antico di me di fallimento che mi ha fatto fuggire da luoghi più faticosi, ma decisamente più vivi di quello in cui ho scelto di rifugiarmi.
Mi scuso per il tono di autocompatimento di queste ultime righe, anche perché so mi scuoterò (in fondo l'ho sempre fatto), però non ho voglia quasi mai di sterili rivendicazioni. Ho talento, di questo sono sempre stata convinta, ma non sono un genio e se anche questi ultimi fanno fatica nel nostro Paese, figuriamoci quanta ne fanno quelli come me anche con un pizzico di fiducia e di incoscienza in più di quanta ne abbia mai avuta io.
Il tempo, comunque, non scorre mai invano. Mi fa soffrire, ma sono contenta per lo meno della mia consapevolezza.
E poi la vita non è finita. Magari sta solo per cominciare un secondo tempo.
Basta solo aspettare. E tornare in palestra per allenarsi ad affrontarlo con i muscoli ben caldi.

lunedì 24 settembre 2012

Come Jane Fonda... più o meno


Oggi, purtroppo, ho la febbre. Un febbrone da cavallo, penserete voi. Per quanto mi riguarda è proprio così, dal momento che mi ammalo molto raramente. Ho... trentasette e uno, udite udite, ma è come se fossi a un passo dal delirio. Temo peraltro di esserlo già abitualmente, ma lasciamo andare.
La foto che vedete in alto, del resto, potrebbe già bastare a capire in che condizioni sono.
Tempo addietro ho realizzato che tra mia madre e la Jane Fonda regina del fitness degli anni Ottanta c'era una certa somiglianza. Chi mi conosce superficialmente ravvisa a sua volta una certa comunanza tra la prima e la sottoscritta (e d'altra parte sono figlia sua e a chi altri potrei mai rassomigliare?).
Sillogisticamente, credo, ho anch'io qualcosa della Jane. Preciso subito che non si tratta delle gambe (le mie sono, diciamo così, più forti e un tantino più corte).
Quel che più ci accomuna, in ogni caso, è proprio la passione per la ginnastica, rinvigoritasi in me da quando vivo nelle Marche, dopo una lunga fase di stop che mi aveva appesantito nel fisico e nell'anima, e via via mai più lasciata. Da un paio d'anni, in particolare, frequento la palestra simil-comunale di Fermo (la cosiddetta palestra del Coni, anche se in verità è gestita da una cooperativa che mi ha dotata persino dell'asciugamano "aziendale"), che mi piace assai per l'ambiente assolutamente nazional-popolare.
A frequentare i corsi di ginnastica, siamo donne di tutte le età e immagino ceto sociale, dai 14 anni alla sessantina e passa. La frequenza scema con l'avvicinarsi della bella stagione o del Natale, però le assidue come me restano comunque numerose.
Non so spiegare perché, ma quando sono lì che salgo e scendo dallo step o dopo, quando guardo le forti luci al neon mentre ci massacrano con gli addominali, è come se vivessi un processo mistico, come se finalmente uscissi da me stessa per diventare tutt'uno con il tappetino, confortata e stimolata dalle tante gambe all'aria che vedo intorno a me.
Mi piace mescolarmi alla massa di donne in tute da ginnastica e osservare, tra una pausa e l'altra, il gruppo delle ragazzine del liceo, le più carine del corso, che chiacchierano tra loro canticchiando le brutte canzoni dance che ci danno il ritmo degli esercizi e poi conversare di inezie con una giovane laureanda con cui abbiamo stretto una forma di amicizia da quando ci siamo accorte di essere tra le poche fanno la doccia lì.
Insomma: aspetto di solito con grande entusiasmo le ore di ginnastica settimanali, che si tengono il lunedì, il martedì (giorno dell'accumulo maggiore di acido lattico, per via dei circuiti della tostissima insegnante sessantenne... altro che Jane Fonda) e il giovedì.
Oggi, ahimè, sono costretta a saltare (il lunedì c'è Tiziana, la bionda energetica insegnante con una inesauribile fantasia per le coreografie), ma spero proprio di rimettermi in fretta.
C'è infatti una sensazione davvero impagabile che provo solo alla fine, quando, dopo la doccia e la parziale (accidenti a me) asciugatura dei capelli, mi rimetto in macchina e percorro i pochissimi chilometri che mi separano da casa. In quel breve tratto, mi sento completamente in pace con me stessa, pronta ad affrontare qualsiasi sfida, in una sorta di limbo psicofisico carico di benessere.
Ecco. Sarà questa la vera ragione che ha spinto la Jane a darsi all'aerobica. Ancora adesso (almeno fino a un paio d'anni fa sicuramente) insegna ginnastica agli anziani a distanza, con quel sorriso tipico delle vere maestre del muscolo tonico, capaci di farti sentire più magre e più flessuose già dopo una sola sequenza di glutei o di squat.
E se davvero (ma sarà vero?) che un po' le somiglio, mi auguro soprattutto di conservarne lo spirito. A differenza sua, infatti, non credo che potrò (né forse vorrò, ma mai dire mai) ricorrere al chirurgo estetico, al momento del prolasso inevitabile.
Ma qui posso dirlo: mia madre è ancora piuttosto piacente (checché ne dica lei), quindi se è vero che buon sangue non mente...
La vedremo. Per forza. Il tempo corre. Accidenti se lo fa.