giovedì 28 novembre 2013

The suit di Peter Brook a Fermo... e le coincidenze continuano!


Un momento di The Suit, foto di Johan Persson

Mi ripeterò, ma le coincidenze che mi capitano di continuo stanno diventando davvero troppe perché non debba tornarci su nuovamente.
Che dire, per esempio, dell'approdo al Teatro dell'Aquila di Fermo, i prossimi 3 e 4 dicembre, di The suit, la piéce del regista britannico Peter Brook ispirata al romanzo di Carl Themba, uno scrittore sudafricano morto esule e in povertà nel 1968?
Chi mi segue dovrebbe infatti sapere che sto studiando inglese con l'aiuto di due insegnanti che vivono proprio nella terra martoriata fino a non troppi anni fa dall'apartheid. Da quando li ho incontrati (ahimè solo online) il mio interesse per il continente che si affaccia sulla Sicilia è cresciuto ancora di più.
E insomma: proprio oggi mi è arrivato il comunicato stampa che annunciava l'arrivo di The suit a Fermo, praticamente sotto casa mia, in qualità niente meno che di tappa esclusiva per l'Italia per questa stagione, dopo il debutto, nel giugno dello scorso anno, al Festival del teatro di Napoli.
Prima ancora, la piéce era andata in scena solo a Londra, nel vestito attuale (scusate il gioco di parole), nato sulle ceneri del precedente Le costume, presentato da Brook nel 1999, in francese.
La versione aggiornata, scritta dal regista con l'aiuto di  Marie-Hélène Estienne e Franck Krawczyk,è invece in inglese, con sopratitoli in italiano per i poveracci (come me) che sono più o meno digiuno della lingua anglosassone.
Sì, credo proprio che assistervi sarà un'esperienza interessante, dal momento che gli attori sul palcoscenico (Jordan Barbour, Rikki Henry, Ivanno Jeremiah e Nonhlanhla Kheswa) verranno accompagnati da un gruppo che suonerà dal vivo musiche che spaziano da "Schubert a Miriam Makeba", come riferisce l'Associazione marchigiana attività teatrali (Amat), promotrice dell'evento con il Comune di Fermo.
Di che cosa parla lo spettacolo e il libro dello scrittore sudafricano, riscoperto in patria, come le opere di molti altri suoi connazionali di pelle nera, solo dopo la liberazione di Nelson Mandela?
Di adulterio e di una bizzarra punizione inflitta dal marito tradito alla moglie fedifraga.
Colta in flagranza di tradimento, quest'ultima è infatti costretta a un morboso ménage à trois con il coniuge e il vestito dell'amante, da costui abbandonato su una sedia per via della sua fuga precipitosa dalla finestra.
Si tratta, insomma, di un dramma a tinte fosche, ma credo che le luci, la scenografia e la musica (oltre che l'impegno che ci metterò a capire i dialoghi senza leggere la traduzione italiana) mi trasporterà direttamente a Sophiatown, la città sudafricana nella quale è ambientata la vicenda, in un'epoca che fortunatamente i miei giovani insegnanti di Cape Town e Johannesburg conoscono solo dai libri di storia.
Concludo con alcune piccole informazioni tecniche.
Lo spettacolo comincia alle 21, i biglietti vanno dai 12 ai 30 euro (biglietteria del teatro:
0734 284295).
La compagnia ha vietato foto e riprese (e ha fatto proprio bene: l'altra volta, allo spettacolo di Toni Servillo tratto da Le voci di dentro di Eduardo De Filippo l'attore e regista napoletano se l'è presa non poco per la luce di una fotocamera... ).
La foto che vedete sopra mi è stata gentilmente fornita dall'Amat, che può essere contattata, per ulteriori informazioni, al numero: 071/2072439.
E ora (più meno...) su il sipario!

venerdì 22 novembre 2013

Il valore dell'attenzione: un articolo di Alessandro Bignami

Non so se Carla Bignami, l'anima del Centro donatori del tempo di Como di cui ho parlato qualche tempo fa, mi ha mandato l'articolo che leggerete sotto per via del post precedente che le ho segnalato.
In ogni caso, la ringrazio dal più profondo del mio cuore, perché quel che vi è scritto rispecchia alla perfezione il mio pensiero e forse il mio stile di vita.
Bisogna concentrarsi sulle cose e averne cura: solo così riusciremo a liberare le forze più profonde che albergano dentro di noi. Precarietà o certezze a parte.
Ma lascio la parola ad Alessandro Bignami e al suo articolo, pubblicato sulla rivista Chimica Ambiente, nel numero5, uscito lo scorso settembre/ottobre. A tutti voi, buona lettura.


IL VALORE DELL’ATTENZIONE

 

UN TEMPO FORSE C’ERA LO SPAZIO PER PRENDERSELA CON PIU’ FILOSOFIA,

PER ESSERE MENO PRECISI E DUTTILI. OGGI QUESTO NON E’ PIU’ POSSIBILE, PER COLPA, O PER MERITO, DELLA CRISI.LA COMPRESSIONE DEI MARGINI E LE RISTRETTEZZE IN PERIODI DI SPENDING REVIEW COSTRINGONO A MOLTIPLICARE GLI SFORZI E AD ACCELERARE I TEMPI DI LAVORAZIONE, OLTRE CHE A OCCUPARSI SPESSO CONTEMPORANEAMENTE DI MANSIONI  DIVERSE  E  TALVOLTA NON PROPRIE. QUESTO PUO’ VALERE PER LA MAGGIOR PARTE DEGLI  IMPIEGHI, DALL’OPERATORE FINANZIARIO AL MECCANICO SPECIALIZZATO O AL MANUNTENTORE DI GIARDINI.

LA CONCITAZIONE VIENE ANCHE DALLE NECESSITA’ DI OTTIMIZZARE LA PRODUZIONE, DATO CHE SPESSO DIMINUISCE IL PERSONALE MA NON LA MOLE DI LAVORO DA SMALTIRE, OLTRE CHE  DALLE NORMATIVE SEMPRE PIU’ SEVERE E COMPLICATE. IN QUESTO BAILAMME NON E’ DIFFICILE DISORIENTARSI E PERDERE LA PRESA SUL SENSO DELLA PROPRIA STORIA PROFESSIONALE. E’ UN PROCESSO D’ALTRONDE DIFFICLE  DA INVERTIRE. CIO’ CHE SI PUO’ FARE, FORSE, E’ AUMENTARE L’ATTENZIONE E LA CURA VERSO IL PROPRIO LAVORO.PER I MONACI BUDDHISTI GIAPPONESI CONCENTRARSI SU CIO’ CHE SI STA COMPIENDO E’ UNA VIA PER LA REALIZZAZIONE INTERIORE.

DETTO QUESTO, FARE BENE LA PROPRIA ATTIVITA’ E VEDERNE LA BELLEZZA, E NON SOLO GLI OSTACOLI E I DISSAPORI QUOTIDIANI, PROBABILMENTE NON BASTA A SUPERARE I MOMENTI DI DIFFICOLTA’ ECONOMICA.

CERTO E’, PERO’, CHE QUESTO TIPO DI ATTENZIONE E’ UNA LINFA VITALE PER PROSEGUIRE CON FIDUCIA IL PROPRIO CAMMINO, SENZA CHE I PENSIERI BUI E LE PREOCCUPAZIONI PREVALGANO. UN PO’ COME STARE NELL’OCCHIO DEL CICLONE DOVE, AL CONTRARIO DI QUANTO ACCADE INTORNO, IL CIELO RESTA SERENO E NON C’E’ VENTO.

LA RICHIESTA DI MAGGIORE ATTENZIONE E IMPEGNO NEL PROPRIO LAVORO NON E’ QUINDI SOLO UNA STRESSANTE NECESSITA’ DELLA STAGIONE IN CUI BISOGNA FARE MEGLIO E IN MINOR TEMPO. L’ATTENZIONE CI CONSENTE INFATTI DI “GODERE DI CIO’ CHE SI FA”, ENTRANDO IN RELAZIONE PROFONDA CON LA REALTA’ IN CUI SI OPERA E LIBERANDO LE FORZE NASCOSTE CHE VIBRANO DENTRO SE’.

 

                                                                                                      ALESSANDRO BIGNAMI

giovedì 21 novembre 2013

Diciotto anni per la ripresa in Italia: andiamo oltre la paura

La ripresa italiana secondo Nomisma

Diciotto anni sono una bella età. Si prende la patente, si può votare. Fortunati i bambini italiani che stanno per venire al mondo, quindi. Infatti, se tutto andrà secondo le previsioni di Nomisma, la società di studi economici di Bologna che da oltre trent'anni analizza e documenta le dinamiche di sviluppo locale e internazionale, dalla ripresa effettiva dell'Italia ci separano ancora diciotto anni.
Ai miei nipoti, 6 e 8 anni in questo momento, andrà ancora bene: supponendo che staranno lasciando il mondo dell'istruzione giusto in quegli agognati giorni, dovrebbero riuscire a trovare adeguata collocazione. Si togliessero però dalla testa la prospettiva di un altrettanto adeguato stipendio.
Date un'occhiata al grafico sopra riportato: vedete a destra la cima della linea blu spezzata (per la precisione, precipitata nell'angolo acutissimo giusto nell'anno che si sta chiudendo)? Se ci fate caso, si trova esattamente alla medesima altezza del picco registrato nel 2007.

Come a dire che tra diciotto anni torneremo agli stessi livelli che avevamo quasi sette anni fa. Insomma, stiamo sereni (il bolognese Romano Prodi sarebbe fiero di me): avendo già toccato il fondo, più in basso di così non si può andare.
O meglio, non si dovrebbe.

Sulla crisi oggi sappiamo di tutto e di più e se non siamo completamente sconsiderati, è bene ascoltare le (cosiddette) cassandre che ci consigliano di rispettare i vincoli di Europa 2020.
Solo in questo modo, infatti, riusciremo a evitare ai miei nipoti e quelli che stanno venendo al mondo giusto adesso di fuggire verso lidi migliori, sempre che nel frattempo non li abbiano già trascinati via dall'Italia quelli che li hanno messi al mondo.

Perché, ahimè, per i diciottenni di oggi e per i loro genitori, zii e fratelli maggiori, il presente è davvero drammatico, come hanno illustrato più o meno tutti e quattro i relatori che hanno preso parte alla conferenza inaugurale dell'anno accademico dell'Università del tempo ritrovato e dell'educazione permanente (in sigla, Utete) di Grottazzolina, un ridente paesino in provincia di Fermo.

Il tema conduttore di tutti gli interventi era "Una finestra sul futuro. Il territorio fermano verso Europa 2020" e, tolta la prima mezz'ora dedicata a rivangare i lustri del passato, il resto è stato una sorta di dotto appello alle energie locali e nazionali per una virata decisa verso un ripensamento complessivo del nostro sistema socio-economico.

Gli applausi più vibranti sono andati all'intervento del sociologo Massimiliano Colombi, ma personalmente ho trovato molto illuminante quello successivo di Marco Marcatili, analista economico e project manager di Nomisma, il quale mi ha gentilmente elargito le sue slide.

Amici miei, ha detto fuori dai denti il giovane studioso, di che cosa stiamo parlando quando diciamo che si intravvedono segnali di ripresa? Che cosa ce ne facciamo del + 0,7% previsto per il 2014? E via via dell'1,1 del 2015 e dell'1,4 del 2016, anche considerando che staremo comunque sotto, anche se di poco, la media europea prevista negli stessi anni?

Di quel che accadrà dopo il 2016 ho già accennato all'inizio, ma è chiaro il problema posto da Marcatili: la ripresa attesa di qui a cinque anni non si tradurrà in un miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza delle famiglie italiane né in un aumento di redditività di una buona parte delle imprese nazionali, troppo piccole e troppo poco esportatrici.
Come uscirne? That is the question.

Qualcosa bisognerà pur fare, logicamente.
Per esempio, mettere un po' d'ordine e chiarezza dentro di noi. Un po' come ci succede dopo una separazione non voluta, un lutto o un qualsiasi altro evento che ci ha mandato "in crisi".
Nelle slide che Marco ha mostrato alla platea forse un tantino attonita del piccolo teatro di paese, si leggevano parole come "dai beni privati ai beni di interesse collettivo (commons)", "politiche di sviluppo rivolte ai luoghi che abitiamo", "partecipazione delle comunità (civile e imprenditoriale)", "riscatto della qualità dell'azione pubblica", "città in cerca di economie, ma economie in cerca di città".

Insomma, ha detto l'analista economico, cominciamo intanto con il pronunciare questa serie di paroline magiche come per riabituarci al suono di un diverso modo di fare politica ed economia. Poi andiamo più nello specifico. Come si riporta al centro l'interesse collettivo?

Per esempio, eliminando le barriere architettoniche dalle nostre città, mettendo in sicurezza il nostro patrimonio storico-artistico, curando l'estetica delle nuove costruzioni e di quelle antiche.
In termini ancora più pratici, dove trovare il denaro per ridarci una verniciata (e non solo quella) di credibilità internazionale? Creando partnership pubblico-private, utilizzando un approccio più europeo nelle nostre iniziative, valorizzando le professionalità migliori.

Quest'ultimo aspetto, peraltro, porterebbe notevoli benefici alla marea di bravissimi connazionali che lottano per non andarsene dal nostro Paese: pensiamo solo agli archeologi, da una parte, e agli architetti, dall'altro. Quanti di loro sono pressoché a spasso, mentre potrebbero dare un notevole contributo per la sacrosanta valorizzazione di un patrimonio che tutto il mondo continua a invidiarci?

Le slide passano poi a mostrare una serie di numeri, non tutti intellegibili senza un'adeguata conoscenza economico-finanziaria, ma abbastanza chiari in un punto: se investiamo in risorse energetiche rinnovabili, se abbattiamo, detto diversamente, gli sprechi di calore, acqua ed elettricità, produciamo occupazione e crescita del Pil.

Oltre ai numeri, parlano infine le immagini di un progetto di riqualificazione prospettato per un quartiere di Modena, oggi un ammasso di fabbriche in disuso, domani un luogo pieno di verde e di case a basso impatto ambientale. Perché questa trasformazione sia possibile, però, è necessario il consenso della popolazione che deve andarvi ad abitare, magari attraverso un'adeguata politica di bassi prezzi di compravendita o di affitto. Senza un coinvolgimento della società civile, in sostanza, nessun progetto è credibile: diversamente, continueremo ad assistere alla costruzione di casette (casacce e casone) spesso destinate a restare vuote in zone ad alto rischio idrogeologico, come quelle che si vedono dal treno ahimè ormai su ogni piccolo fazzoletto di costa adriatica.

L'ultima osservazione, naturalmente, era mia, ma davvero, ascoltare l'intervento di Marco Marcatili mi ha fatto scattare qualcosa nel cervello e nel cuore: bisogna fare qualcosa, accidenti.
Bisogna aiutare quelli che verranno dopo di noi a non buttare via l'energia degli anni migliori.
Come?

Intanto, come ha scritto il project manager, ficcandosi bene in testa che l'Ue non è un bancomat e che per non fallire il traguardo del 2020, bisogna fare davvero sul serio. Il che significa che urge impegnarsi nella ricerca di vere alleanze tra i singoli territori, oltre i campanilismi e le recriminazioni localistiche che hanno davvero fatto il loro tempo.

In concreto, ci aspettano due scadenze molto più vicine di quel che sembra: l'Expo 2015, innanzitutto, da vivere non come vetrina per nani (metaforicamente i piccoli paesi che compongono non solo il Fermano) e ballerine (le aziende, pochissime, che danno lustro alle micro-realtà locali), bensì come luogo per catturare flussi permanenti di turisti e visitatori alla ricerca di qualità in ciò che vedono, mangiano, usano e acquistano.
In secondo luogo, il famigerato Ue2020, da prendere come data per suggellare le nuove alleanze strategiche di tipo "glocale", sotto l'ombrello di un'architettura finanziaria sostenibile per tutti.

Quest'ultimo traguardo si realizza tenendo d'occhio la domanda sociale e ponendosi, se si è amministratori pubblici, come "accompagnatori" degli interessi collettivi piuttosto che come "proprietari" degli stessi.
Un discorso simile va fatto anche per le imprese, che devono abituarsi a "co-progettare" la domanda di beni e servizi, anziché utilizzare i propri denari in incupenti colate di cemento.

Ce la possiamo fare?
Secondo me sì, anche se non sarà facile. L'unica arma che abbiamo sapete qual è? La paura della fame, niente affatto metaforica, che potremo fare proprio noi (plurale maiestatis, anche) che non abbiamo goduto, se non nei nostri verdissimi anni, di un benessere che ci meriteremmo, considerato quanto abbiamo studiato e quanto abbiamo investito per essere cittadini, non solo consumatori.

Ho davvero molta strizza, lo ammetto. Ma fare i conti con questo sentimento, impegnandoci oltre ogni ragionevolezza, lo dobbiamo soprattutto alle giovani generazioni, che hanno ancora meno colpa di noi per lo sfascio che stiamo loro consegnando.

Diamoci dentro, insomma.
Grazie a Marco Marcatili e agli altri trentenni come lui per il loro prezioso lavoro.
Il presente è nostro: facciamoci sentire.

mercoledì 13 novembre 2013

Lou! e lo storytelling di me stessa



In attesa di capire se e quando cambierò la natura di questo blog, torno al mio personal storytelling (a proposito: ho finalmente scoperto di che cosa si tratta) per parlavi di Lou! , un fumetto di origine francese che ho scovato del tutto casualmente nella fumetteria di Civitanova Marche. L'unica della cittadina della costa marchigiana, fino a prova contraria.
Le coincidenze sono davvero troppe perché non ne parlassi, almeno un attimo.

Nel numero che ho comprato io la ragazzina bionda, bassina e sognatrice, sta per compiere quattordici anni, ma se ho ben compreso, le sue avventure partono quando ne ha ancora dodici.
Gli album sono realizzati come fossero pagine del suo diario, uno dei molti che ho tenuto pure io più o meno proprio dall'età del personaggio partorito dalla matita (china? pastelli? chissà) di Julien Neel, il disegnatore che ha dato vita - sempre se ho capito bene - a una vera e propria "lou-mania" tra le coetanee in carne ed ossa della ragazzina disegnata. Oltre ai fumetti, sono stati realizzati anche dei cartoon, ma da quel poco che conosco della programmazione tv nazionale dedicati ai bambini, non mi sembra che Lou! sia arrivata anche sui nostri schermi.

Torniamo alle coincidenze. Oltre ai centimetri scarsini (ma Lou potrebbe ancora diventare una stangona, io, evidentemente, no) e ai capelli chiari e lunghi (li ho portati per anni come lei), abbiamo in comune anche il gatto: o meglio, uno dei due gatti, che è grigio come il suo, ma a differenza del suo il mio è femmina e ha anche un nome. Cos'altro ancora?

L'anno prima della storia che ho letto io sembra che abbia avuto una mezza cotta per un coetaneo che si chiama Tristan... ehm, più o meno alla sua età mi piaceva moltissimo un ragazzino che si chiamava CRistian! Nel mio numero, però, sembra essere in dubbio su un tale Paul, che al momento continua a considerare solo un amico... mio marito sapete come si chiama? E vabbè. Ultima analogia: Lou è nata d'estate, anche se non ho idea in quale giorno e mese. Beh. Inserendomi (aprendo, anzi) una lunga schiera di cugini di parte materna e paterna, anch'io sono nata d'estate. Nel cuore dell'estate, per la precisione.

Mi ha fatto poi molto ridere che la mamma di Lou sia una scrittrice di fantascienza un po' (un bel po') svagata, in conflitto con la madre. Quest'ultima, alla fine, si rivela la prima vera promoter del libro d'esordio della figlia, che va a vendere personalmente nella fiera del paese mettendo su, in quattro e quattr'otto, un banchetto. Mia madre sta facendo lo stesso con me, anche se in questo caso la corrispondenza è un tantino stiracchiata.

E insomma: Lou! mi ha divertito, distratto e fatto pensare, giocosamente, a chi ero e a chi sono.
Spero di riuscire a trovare altri numeri.
Dunque che ne dite: vado bene come storyteller di me stessa?
Mumble, mumble, direbbe Lou, mentre cerca di trovare l'ispirazione affacciata all'ultimo piano di un brutto palazzo di periferia.
Quanti pomeriggi ho passato sul balcone dei miei con analogo spirito.

venerdì 8 novembre 2013

L'antimarketing a scuola di marketing con Valentina Falcinelli e gli altri



Come volevasi dimostrare. Valentina Falcinelli mi pareva brava già sulla carta. E' brava anche dal vivo. Conosce bene la sua materia, sa molto probabilmente di marketing 1, 2 e pure 3.0, si mette la giacchetta fucsia come i colori del suo sito PennaMontata e parla pure in un buon italiano.
Non le ho sottoposto i miei esempi di tweet e di post per facebook, perché con il vino io non c'entro nulla. Però mi ha fatto molto sorridere quando ha mostrato a noi che l'ascoltavamo in un'aula un po' buia, ma secondo me accogliente, della facoltà di Economia di Ancona (nella foto, un dettaglio del cortile su cui si affacciavano penso quasi tutte le aule dell'università), la fanpage fb della Pasetti, un'azienda vinicola di Francavilla al Mare, praticamente casa mia, come una delle migliori in circolazione. Massaggiato l'orgoglio per le radici sudiste, ho avuto anche ulteriori conferme sulla necessità di tenere separate le attività di promozione da quelle intimistiche, volutamente anti-marketing.
Di questo aspetto hanno ulteriormente parlato i blogger che ho ascoltato nel pomeriggio, in un'aula ben più grande, anche se non so se magna.
Innanzitutto, con i blog personali non si mangia. Lo ha detto con particolare enfasi Paolo Campana di Bloggokin, un ragazzone con la maglietta di Tintin, che fa anche il grafico e l'illustratore. "Non mi leggevano neanche i parenti", ha specificato a un certo punto. Come lo capisco. "Facevamo la fame", ha rilanciato Simone Sbarbati, l'apparente rasta-blogger di Frizzifrizzi, a mio avviso più quadrato dell'amministratore delegato della Coca cola, oggi a capo di una mini e attivissima redazione, che si può permettere il lusso di restarsene separata dall'area pubblicità.
Molto interessante, poi, la biografia della salernitana oggi groupie torinese, Maria Chiara Montenera, ossia l'anima di thefishisonthetable, facciotta intelligente dietro occhiali neri, amante della buona scrittura e dei ristoranti, corteggiata anche dai giornali mainstream, dai quali però la medesima preferisce restare lontana.
Bravi e competenti anche Massimiliano Levi, che dalla finanza è passato alla comunicazione online dei notai, un mondo all'apparenza così lontano da like e tweet, e delle possibilità di fare impresa per i giovani dai 18 ai 35 anni con il sito larancia.org; e Nicoletta Battistoni, che proprio dalla tesi con cui si è laureata alla Giorgio Fuà ha partorito l'idea del blog saponetteverdi.com che fa le pulci alla comunicazione che si autodefinisce green, riuscendo a ottenere un sacco di visibilità in solo un anno.
Insomma: ho incontrato giovani in gamba, niente affatto depressi e/o schiacciati dalla crisi.
Per quanto possibile, cercherò di seguirli per fissarmi ancora di più la testa qualche strumento tecnico che potrei utilizzare anch'io.
Resta tuttavia una differenza ineludibile tra loro e me, che passa tutta dalla parola comunicazione.
A me hanno insegnato a fare informazione, anche se, naturalmente, quest'ultima è buona quando si trasforma un po' anche nella prima.
Il cittadino comune, per essere più chiari, capisce che cos'è la Trise se si riesce a raccontargliela come si farebbe al bar. Più o meno, ovviamente.
Per poter fare il botto (si fa per dire), insomma, forse dovrei smetterla di parlare di me e invece raccontare di trise-imu o dei prezzi del pane, come ne parlerei alle mie amiche di palestra o alla mia parrucchiera. Rendendo insomma questi argomenti friendly, semplici, dando un servizio a qualcun altro.
Voglio farlo? Non lo so. Oggi non è la giornata migliore per rispondere. Sono francamente un po' confusa.
Però va bene così: rimestando nell'ovvio, la crisi è anche un'opportunità.
Anche.

martedì 5 novembre 2013

Libertà e marketing 2.0, conciliarli è un'arte


Credo che sia la copertina di un disco. Me l'ha passata il "Bipede con la pipa", qui raffigurato in secondo piano, nelle sue vere sembianze.
Non c'entra nulla con quanto sto per scrivere su libertà e marketing 2.0, ma è un'immagine che mi aiuta a tenere a freno l'eccesso di acidità di origine ormonale che imperversa in questo momento nel mio corpo.
Detesto i consigli non richiesti: sono sempre meglio dell'indifferenza, ma comunque mi fanno scaldare come una macchinetta del caffè (da uno) sul fuoco.
Madamatap è nato prima come spazio intimo, privatissimo. All'inizio, su Splinder, l'avevo concepito come blog privato. Poi mi sono detta che senza scrivere per un potenziale pubblico (fosse pure il già citato bipede-con-pipa) non ci sapevo stare. Quindi ho accettato la logica della vetrina. Ricordo teneramente (per non dire altro) il giorno in cui ho mandato una mail collettiva a un po' di amici per avvisarli della mia esistenza virtuale. Quasi tutti mi hanno almeno risposto con un grazie, di quel genere liquidatorio che mi ha rattristato un po'.
In seguito è subentrata la fase più o meno attuale, nella quale rilancio tutto (quasi tutto) con i mezzi che conosco, fregandomene di chi mi segue o meno. Fatta eccezione per alcune persone, con le quali, evidentemente, ho ancora qualche problema di relazione.
Il punto, però, non sono tanto le mie paranoie amicali, quanto il senso che si intende in generale dare a questo nostro stare online.
Ho capito che starci a metà non funziona, ma starci per uno scopo preciso (parlare di porri, di calze o di rimmel) a me non frega nulla.
Madamatap o Balloondevie resta un diario classico, il mio diario, con un po' più di cura nell'uso dei congiuntivi e della lingua in genere, ossia usando rispetto verso chi dovesse passarci anche solo per un secondo, ma non riesco a farlo diventare qualcos'altro. Non riesco, insomma, a specializzarmi.
So bene che nel lavoro contemporaneo e in quello del futuro dovremo (dovranno: dubito che il processo in atto mi riguarderà) essere sempre più "on demand" su una precisa, micro fetta di mercato, ma almeno su questo spazio voglio avere il diritto di fare come mi pare.
Mi condanno, in sostanza, a restare per pochi intimi, ma lo faccio in maniera del tutto consapevole.
Un altro discorso, invece, è il mio libro, per il quale, certo, un po' di promozione ci vuole.
Nell'uno e nell'altro caso, però, voglio decidere da sola, dopo aver preso tutte le informazioni possibili sulle strategie migliori da seguire. Migliori innanzitutto per me. Il che significa che non tutto quel che passa dal favoloso mondo dei social network mi piace, né lo ritengo utile.
E in ogni caso agisco in fretta, tutto considerato. Basta che non mi si facciano pressioni indebite.
Detto ciò, giovedì prossimo parteciperò a un workshop intitolato "scrittura, web e comunicazione", organizzato alla Facoltà di Economia di Ancona, da Pepelab, un laboratorio di creativi che mi ha incuriosito. Sarà dura tenere a bada il mio spirito scettico-polemico, nel caso in cui vengano fuori troppe parole markettare.
Ma in definitiva restare aperti al cambiamento è più importante della cautela.
Dunque andrò e vedrò. E poi probabilmente scriverò.
A modo mio. Of course.