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venerdì 11 dicembre 2020

Melisa Erkurt e il futuro dei giovani austriaci di origine straniera



Come si vive in Austria? Tolti quelli che la confondono con la Svizzera, agli altri non saprei sinceramente cosa rispondere.
Di sicuro, un'idea di come si vive a Vienna ormai me la sono fatta, ma se proprio fossi costretta a dire qualcosa, vi esorterei a rivolgervi a chi l'ha scelta come patria definitiva
Mi riferisco agli immigrati di prima e seconda generazione, adottati dalla capitale asburgica in particolare. Una di loro è Melisa Erkurt, la giornalista autrice del libro di cui vedete sopra la copertina.

La storia di questa giovane donna, nata ventinove anni fa a Sarajevo, è emblematica. 
Praticamente ancora in fasce, è arrivata a Vienna con sua madre, in fuga dal terribile conflitto della Bosnia Erzegovina, una delle guerre della ex Jugoslavia scoppiata poco dopo la sua nascita.

Il più grande torto subito da chi lascia il proprio Paese è non potervi più tornare, se non un domani come turisti, alla ricerca di qualche traccia delle proprie radici.

Di un viaggio del genere parla per l'appunto Melisa Erkurt nel suo libro, dedicato alle ragazze e ai ragazzi con "Migrationshintergrund", ossia con origini migranti, alle prese con il difficile compito di diventare adulti in una terra straniera, frequentando scuole spesso non adeguate a comprendere i loro reali bisogni.

Del libro della giornalista che ora lavora per la Orf, l'equivalente della nostra Rai, ho parlato durante la mia presentazione al corso di tedesco (la trovate qui), uno dei molti offerti dall'Arbeitsmarketservice (AMS) ai migranti che vogliano inserirsi meglio (almeno si spera) nel mercato del lavoro austriaco. 

Ai tempi ne avevo sentito parlare leggendo un articolo sul Wiener Zeitung, il primo quotidiano che ho sfogliato praticamente già appena sbarcata dal treno due anni e passa fa, senza capirci granché. 
Inevitabile rimanerne colpita, considerando anche i magnifici occhi chiari su capelli corvini di questa giovane collega, che illuminano di forza e determinazione tutta la figura. 

I suoi primi anni qui non devono essere stati facili: in alcune pagine del libro, mi è parso di risentire le parole di una mia compagna del corso precedente, di origine afgana. Dal suo Paese Marzia, così si chiamava la mia ex compagna, è arrivata in Europa a piedi. Con lei c'erano il marito e i figli, che oggi le stanno dando tante soddisfazioni con la scuola e il lavoro. "Non avevamo niente", mi ha raccontato: una volta qui, organizzazioni caritative li hanno aiutati con vestiti e altri beni di prima necessità. 

La comprensibile gratitudine per chi ti ha salvato la vita, indirizzandoti verso un futuro migliore, può tuttavia confondere le acque.

Mi piacerebbe infatti parlare con i figli della mia ex compagna per sapere se hanno vissuto, o stanno ancora vivendo, le esperienze che racconta Erkurt nel libro, ossia le piccole e grandi discriminazioni subite dai nuovi austriaci di nome Mohammed (un capitolo si chiama proprio "Muhammed ist ein Urteil", ossia "M. è una sentenza", o qualcosa del genere). 
Per chi porta quel nome, oppure per le ragazzine che girano con il capo velato, la vita scolastica, e non solo quella, è sicuramente più dura, sostiene la giornalista.

Particolarmente problematica è la quotidianità delle giovanissime musulmane, che non di rado scelgono il velo per sottolineare la propria diversità, per darsi, anzi, un'identità. 
Proprio per questa ragione, sottolinea l'autrice, non ha senso, a suo giudizio, proibirne l'uso a scuola: finirebbe per alimentare il sentimento di separazione tra gli studenti con o senza pedigree.

Semmai, propone apertamente alla fine del libro, bisognerebbe rifondare daccapo il sistema scolastico, affiancando agli insegnanti tout court, altre figure, dal mediatore culturale allo psicologo, per favorire il dialogo tra docenti e discenti e tra i ragazzi stessi, in modo da prevenire e risolvere eventuali conflitti prima che sia troppo tardi.

Troppo tardi per cosa?, direte. Innanzitutto per completare gli studi fino in fondo e con successo. Ancora troppi ragazzi di origine straniera - precisa la giornalista - si fermano all'istruzione dell'obbligo o tutt'al più si avviano alla formazione professionale per accedere prima possibile al mondo del lavoro. I posti ai quali questi ragazzi aspirano sono perciò, nella maggior parte dei casi, di livello più basso, come se, detto in altri termini, tra loro (tra le ragazze in modo particolare) non ci fosse nessuno portato per mansioni più qualificate.

E dire che Melisa Erkurt di giovani donne capaci come lei ne ha viste diverse. Prima di diventare una giornalista, ha infatti studiato Pedagogia, lavorando, dopo la laurea, come insegnante
Il suo testo prende spunto proprio dall'esperienza didattica, raccontata con grande passione, in una miscela perfetta con i suoi ricordi personali, che ne agevolano la lettura anche a chi (come me) non ha una conoscenza avanzata del tedesco.

Per come la vedo io, insomma, sarebbe interessante tradurre "Generation Haram" anche in italiano, perché immagino che anche da noi si siano affacciati, ormai da anni, problemi di integrazione analoghi a quelli descritti per l'Austria.

Prima di chiudere la mia sghemba recensione, mi soffermo sul titolo e sul sottotitolo, sperando con questo di invogliare qualcuno ad approfondire l'intera faccenda.

La parola "haram", spiega l'autrice, si riferisce ai temi tabù per la maggioranza delle ragazze e dei ragazzi di origine musulmana. Su tutti, facile intuirlo, c'è la sessualità, un argomento trattato piuttosto male, rimarca Erkurt, anche nei corsi organizzati a scuola.
 
A saperne poco, d'altra parte, sono pressoché tutti gli adolescenti, precisa l'autrice, che spesso nascondono la loro inesperienza dietro eccessivi moralismi o atteggiamenti machisti (nel caso dei maschi), tipici in quella fascia d'età a prescindere dalle proprie radici. 

A maggior ragione, ribadisce Erkurt, diventa perciò essenziale che la scuola "impari a dare una voce a tutti", come recita il sottotitolo del suo libro. 

Perché se è vero che storie di successo come la sua già di per sé testimoniano che la direzione giusta sia stata già imboccata, è purtroppo ancora vero che molti di questi giovani di origine straniera rappresentano una "generazione perduta"

A ripeterlo piuttosto spesso, in vari capitoli, è sempre l'autrice, che nella quarta di copertina però precisa come la medesima generazione finalmente sia "pronta a parlare!", scritto proprio così, con il punto esclamativo, assai utilizzato in Austria anche dalla pubblica amministrazione. Ogni volta che ne vedo uno, a dirla tutta, mi viene l'ansia.

Stavolta, invece, auspico davvero che la personale biografia di questa giovane donna non sia un "Ausnahme", un'eccezione, come è scritto sempre nella quarta. 

A mio modesto avviso, di generazioni perdute ce ne sono state già troppe, a partire dalla mia, la mitica nata tra i Seventies e gli Eighties, come sostenne un po' di anni fa un illustre ex premier italiano.

Rimanendo nell'ambito della politica, segnali confortanti, almeno qui in Austria, si vedono in Alma Zadic, la ministra della Giustizia del secondo governo Kurz, nata in Bosnia, come Melisa, nel 1984.
Anche di lei la giornalista parla come di un'eccezione, dotata com'era di un talento straordinario per gli studi e lo sport.

D'accordo, due eccezioni non fanno la regola, però aiutano. 
La terza, per me destinata a confermarla, è l'apparizione della giornalista in un calendario dell'Avvento interattivo, dove anima una delle 24 finestrelle, insieme con altri Vip austriaci. 
Il suo volto, per la precisione, è comparso il 6 dicembre, il giorno di Nikolaus, il vescovo barbuto che nelle terre teutoniche lascia frutta e dolci nelle scarpe dei piccini. In sintesi: un giorno importante per i nativi di sangue bianco rosso, come i colori della bandiera nazionale.

Non casualmente, Melisa consiglia tre libri, il primo dedicato al tedesco, il Deutsch, che lei parla e scrive meglio della sua lingua madre. Lo afferma nel libro, ma lo si intuisce sentendo a quale velocità lo parla.

Grazie alla sua competenza linguistica, rivela peraltro, non di rado ha aiutato i genitori con documenti e burocrazia varia (un vero incubo per tutti gli Ausländer, ve l'assicuro).
E dire che a suo padre non sembrava poi così importante che continuasse a studiare: per lui era essenziale che invece si rendesse autonoma prima possibile.

Considerando l'età che ha e dove si trova, direi che, beh, in fondo non ha affatto tradito le aspettative del papà

Un giorno, ne sono certa, si chiariranno. Suo padre, in particolare, capirà che cosa fa la figlia e ne sarà orgoglioso.
Quando succederà, quel legame interrotto tra generazioni, l'una radicata per forza di cose più nel passato, l'altra proiettata con energia da vendere nel futuro, porterà frutti ancora più abbondanti. 

Un augurio simile lo estendo a tutti i nuovi austriaci, giovani e meno giovani. 
Le generazioni perdute hanno fatto il loro tempo.
Pensiamo adesso a quelle ritrovate. E andiamo avanti insieme. 

sabato 24 ottobre 2020

Vivere all'estero - genesi ed epilogo di un esercizio di tedesco

Lo so, continuo a violare l'Abc della comunicazione online, ma direi che a quasi cinquant'anni me lo posso anche permettere.

Dopo questo incipit garrulamente sarcastico, aggiungo una breve precisazione sull'immagine sopra riportata, fitta di oscure parole germaniche.

Si tratta di un esercizio di scrittura, che mea sponte ho voluto ammannire al prof di tedesco. Mancano ormai poche settimane alla fine del mio secondo e presumo ultimo corso di questo splendido 2020, per cui ho deciso di farlo fruttare finché Corona non ci separi.

Eh sì, perché non è mica detto che riusciremo a concluderlo in presenza, vista la crescita di casi persino nella Felix Austria, dove la gggente ha fatto scorta come ogni fine settimana di birre&carta igienica, felice stavolta di avere un giorno più per sfondarsi.

Mi spiego meglio: qui lunedì è la Festa della Repubblica, ossia tutto chiuso e sbarrato a partire dalle 18 di oggi fino a martedì prossimo, un lungo auto lockdown che farà impazzire di gioia prima i consumatori seriali di lattine, dopo l'efficiente (speriamo) sanità nazionale.  

Scusatemi, ma una volta che mi parte la vena sarcastica, faccio fatica a controllarmi.
Torno al punto. 

In vista della lezione di ieri, il prof ci aveva chiesto di riflettere sul tema "Vantaggi e svantaggi di vivere all'estero". L'argomento era stato scelto democraticamente dalla classe. Ognuno di noi avrebbe dovuto indicare quali fossero i personali Pro e Contro e da lì, sempre secondo il prof, avremmo dovuto "streiten", discutere.

Bene: pur se dotata della vena sarcastica di cui blateravo poco fa, non amo molto i dibattiti, forse per via della mia piccola voce. Perché è sicuro che a un certo punto di qualsiasi scambio di pareri, anche del meno acceso, intendo, finirà per predominare chi parla più forte.

Nella mia classe, ad esempio, c'è un russo, simpaticissimo, brillante e ironico come pochi, che però, ahimè, non è capace di modulare il tono. Il suo banco monoposto (senza rotelle) è nella fila dietro la mia e, a occhio e croce, tra noi ci saranno almeno due metri. 
Eppure: ogni volta che parla, è come se mi condannassero a stazionare nei pressi della mia lavatrice quando parte la centrifuga. Provate un po' voi a sovrastare il suono di una centrifuga rumorosa. Io, di certo, non gliela fo.

Quindi, con sano e demodé spirito pratico teatino, ho buttato giù i miei "Vorteile" e "Nachteile" dello stare in Austria, in maniera anche da avere una traccia scritta, in caso di necessità.

Il russo di cui sopra ha vissuto in vari Paesi, quindi la sua visione non poteva che differire totalmente non solo dalla mia, ma anche dalla maggioranza del resto della classe.

Di certo, ascoltandolo (in silenzio, aspettando che tacesse per potergli fare delle domande senza rischiare di compromettere le corde vocali), ho capito che di sicuro non potrei vivere né in Svezia né in Norvegia. "Troppo freddo, mica come qui a Vienna?", ha detto il nostro biondissimo giramondo.

Insomma, alla fine non c'è stato un vero dibattito: anche se non tutti abbiamo esattamente la stessa idea dell'Austria, ognuno ha potuto raccontare la propria esperienza, in un'atmosfera distesa, benché sottilmente malinconica. 
 
A dirla meglio, ho avuto proprio l'impressione che tutti, compresa io, volessimo farci forza a vicenda ascoltando il racconto dell'altro.

Il vantaggio principale?
Imparare una lingua nuova. E' incredibilmente arricchente e tiene il cervello in allenamento, ha detto mi pare la sveglia giovane mamma rumena. La sua vicina di banco, una dolcissima trentenne di origine bulgara, molto più minuta di me, ha aggiunto che vivere all'estero aiuta ad "allargare gli orizzonti". Gliel'avevo già sentito dire, ma stavolta mi ha fatto ancora più simpatia, perché ho pensato alla fatica che sta facendo per mantenersi, lavorando nella cucina di un pub, tra austriaci che le parlano in dialetto.

"Qui c'è la sicurezza", ha precisato la giovanissima afgana, la mia vicina di banco velata, due occhi da principessa mediorientale, che ha parlato di quanto sia stato difficile all'inizio, circa due anni fa, capire e farsi capire. Nonostante qualche sguardo critico rivolto al suo capo coperto, dice che Vienna le piace perché è piccola (!) e piena di cultura e natura.

Il principale svantaggio?
La distanza dagli affetti, dalla famiglia in particolare, più che dagli amici. Di questi ultimi, la giovane mamma rumena ha raccontato di come i suoi siano spariti, dopo un po' che si era trasferita. "Eppure ci sono le tecnologie, potremmo sentirci facilmente - ha precisato - ma evidentemente non erano interessati davvero a me". 

Per la lontananza dalla famiglia soffre molto la giovane mamma moldava, la Miss della classe, dotata di un incantevole visino di porcellana. Con una voce se possibile ancora più flebile della mia, ha detto che le manca la vita che faceva nel suo Paese (che ho scoperto essere un grande produttore di vino, grazie a un altro esercizio che ci aveva assegnato il prof). Le manca sua madre, ha sottolineato, e poi, povera, l'infanzia che ha trascorso lì.

Per chi ha figli, come lei e qualcun altro, ho l'impressione che possa essere ancora più complicato interagire con i nativi. 
Il vicino di banco della moldava, un cantante lirico rumeno molto amabile e scherzoso, ha parlato dei gruppetti di bambini che giocano rigorosamente divisi per nazionalità, come ha potuto osservare quando accompagna suo figlio al parco. 

Razzismo in Austria? Il tema è stato solo sfiorato, ma nessuno, in effetti, ne ha parlato apertamente, forse perché è sempre troppo vivo in tutti gli Ausländer, che cercano di costruirsi una nuova vita, il ricordo delle file dal Magistrat per farsi rilasciare i documenti, la scortesia di alcuni impiegati, i controlli di polizia, presumo più severi per i non europei. 

Tutto liscio, nessuna polemica? Direi di no. C'è stato però un solo intervento, quello del giovane istruttore subacqueo egiziano, che ha asserito, piuttosto lapidario: "Integrazione? No, grazie: non ne ho bisogno". 

Che cosa voleva dire?
Nulla, o per meglio dire, tutto.
Quando era ancora al Cairo, ha raccontato, si è sentito non di rado un "Außerseiter", ossia uno che stava da un'altra parte, uno fuori dal coro. 

"Anziché parlare di come gli austriaci vedono gli stranieri, ognuno di noi si dovrebbe chiedere: ma quando vivevamo a casa nostra noi personalmente quanti stranieri conoscevamo?", ha sottolineato, "quanti, voglio dire, erano nostri amici intimi? E non parlo solo degli stranieri, ma anche degli altri 'diversi', omosessuali, trans e via dicendo. Che cosa vuoi che conti la razza? Wir sind alle Tiere!".
Che significa: "siamo tutti animali". 

Il giovane egiziano ha due occhi neri neri e una parlantina molto vivace. 
Non è felicissimo dell'Austria, me l'ha detto a parte una volta, durante una pausa, ma evidentemente l'origine del suo scontento non ha niente a che fare con la razza, la sua e quella di chi ci ospita. 

E in effetti, riflettendoci, gli dò ragione.

Se dovessi riassumere in una parola qual è il sentimento che accomuna tutti noi espatriati, userei spaesamento.

Prima o poi lo proviamo tutti. Per qualcuno non va via facilmente, altri lo mettono a tacere pur avvertendolo sempre almeno un po'. Altri ancora, i più fortunati, dal mio punto di vista, smettono di soffrirne. 
E si sentono finalmente a casa.

Non so dirvi se mai succederà anche a me, tenendo conto anche delle ragioni che mi hanno spinta fin qui. 

Però, come ho scritto nell'esercizio, sufficientemente diplomatico per essere diffuso nell'universo telematico (per chi riuscirà a decifrarlo: apropos, riporto la versione corretta dal prof. Se ci sono errori residui prendetevela con lui!), sono curiosa di vedere che cosa mi riserva il futuro.

Ma la cucina austriaca non mi piacerà mai! 
 
Scommettiamo?
;) 

domenica 19 gennaio 2020

Lavorare a Vienna? Non a Radio Max



PREMESSA 

Non dovrei scrivere questo post nel giorno del funerale di zia Zita, o forse è proprio la giornata adatta, visto che non posso essere lì con la mia famiglia a salutarla.

Nel 2018 mi sono trasferita a Vienna per lavoro. Gli amici transitati da qui, naturalmente, lo sanno.

Il testo che state leggendo, però, è destinato, potenzialmente, anche a chi non mi conosce.

Ho maturato la decisione di scriverlo già durante i lunghi giorni del licenziamento. Lunghi, metaforicamente parlando, e non solo.

Ho finito di lavorare per Radio Max il 15 dicembre scorso, ma di quello che mi sarebbe successo un mese fa sapevo già da metà ottobre.

Prima di scrivere il seguito della storia accennata nel mio precedente passaggio sul blog, volevo trovare la chiave giusta da dare alle mie parole.

Desideravo che emergesse non tanto, o non solo, la rabbia provata quando ho capito che mi stavano buttando fuori, quanto essere utile ad altri che per qualche ragione abbiano deciso di trasferirsi all'estero, spero non per lavorare a Radio Max.



LA RECLUTATRICE E IL CASTING

Partiamo dall'inizio, ossia il modo in cui ho scoperto l'esistenza di una possibilità di lavoro qui a Vienna.

Intanto: che cosa sarei andata a fare? La speaker per la radio di una catena di supermercati. Si trattava di qualcosa di completamente nuovo per me, ma anche una sfida interessante, all'apparenza, che mi avrebbe permesso di maturare un'esperienza diversa, restando comunque più o meno all'interno del travagliato settore dei media.

A segnalarmi la potenziale grande occasione, una conoscente che aveva a che fare con l'azienda: sulla carta una persona fidata, di cui avevo perso le tracce da molti anni. A dire la verità, l'avevo del tutto rimossa dalla mia memoria. Una volta che mi è sovvenuto di chi si trattasse, mi è sembrato che il casting al quale mi ha fatto candidare fosse l'occasione giusta per uscire dalla cronica precarietà.

Tutto sommato, del giorno del colloquio ho un buon ricordo: prima di allora, mi era stato chiesto di inviare una demo. Sulla base di quanto mandato, mi hanno chiamato a Vienna e mi hanno sottoposta a varie prove, compresa la compilazione di un test di cultura generale (non ricordavo chi fosse il ministro dell'Interno, un errore veniale tutto considerato, vista l'instabilità politica nazionale. Rammento invece di aver trovato un sinonimo di sapore letterario a una parola, che a posteriori immagino non sarà piaciuto). Ultima domanda del mio futuro datore di lavoro: qual è l'ultimo libro che hai letto.

Insomma, sembrava davvero gente seria, tanto più che mi hanno chiesto anche quanto mi aspettavo di guadagnare al mese, illustrandomi poi orario di lavoro e altri dettagli pratici. Poi mi hanno domandato qualcosa dei miei interessi e hanno indagato sulla mia indole: con molta onestà, ho persino ammesso di essere una persona emotiva, ma di aver sviluppato doti di resilienza sempre maggiori anche per via delle mie vicende familiari. 

A fine colloquio, il futuro capo mi dice che mi avrebbe fatto sapere qualcosa a fine mese o poco più. Bene: finisce il mese, ma niente, nessuna notizia. Lì avrei dovuto farmi furba e tentare di prendere qualche informazione in più. Credo di averci provato, navigando su internet, ma dal sito ufficiale di Radio Max si ricavano solo impressioni positive. Non vi dico, poi, che effetto pazzesco fa la sede su gente da secoli adusa ad ambienti di lavoro scalcagnati o alla propria scrivania 012 comprata al Mercatone.


AUF WIEDERSEHEN, ITALIA

Ma andiamo avanti. Saltando qualche passaggio, a inizio luglio 2018 mi arriva la lieta novella. Qualche giorno prima sembrava tutto bloccato, almeno secondo quanto mi aveva riferito la reclutatrice durante una lunghissima telefonata. 

Rammento bene quel momento: ero in bici, cuffie nelle orecchie. Mi sono dovuta fermare per capire bene di che diavolo stesse parlando. Tra le altre cose, mi riferisce che la radio aveva rischiato di diventare automatica. In quella ipotesi, chiaramente, non avrebbero avuto più bisogno di molto personale, forse nemmeno di lei. Invece la reclutatrice mi tranquillizza e mi dice: tutto è stato risolto e ora ripartiremo più forti di prima. E vai.

In una calda giornata di inizio luglio, ero sul balcone (il mio amatissimo balcone) a tentare di finire "Luce d'agosto" di Faulkner (qualche giorno dopo ci sarebbe stato l'incontro con il gruppo lettura di cui facevo parte). 
Mi squilla il telefono: è Vienna! A voce, il mio futuro capo mi comunica che mi vogliono su e mi anticipa il contenuto della mail che mi sarebbe arrivata di lì a poco.

Nel testo della mail, che ho conservato, mi si prospetta un contratto di due anni, con eventuale possibilità di prosecuzione futura, stipendio lordo 2.300 euro mensili, orario giornaliero 7 ore e 45 minuti circa, con turni di cinque giorni a settimana, esclusa la domenica. Tredicesima e quattordicesima inclusi. E mi accenna anche all'esistenza di un costo iniziale per la mia formazione di settemila euro, che si sarebbe ridotto via via con il passare del biennio.

Alla fine mi chiede di comunicare in un tempo congruo quando avrei potuto cominciare e mi offre 15 giorni di permanenza a spese dell'azienda in un hotel nelle vicinanze del posto di lavoro.

Un sogno, praticamente. Mi lancio all'avventura nemmeno un mese dopo, cieca e sorda alle vocine contrarie interiori e di alcuni dei miei affetti più cari.


LEGGI DIVERSE, AHIAI

L'errore più marchiano, lo riconosco, è non essermi informata prima su quali siano le condizioni contrattuali praticate in terra asburgica e su quali siano i documenti necessari per restarci abbastanza a lungo. Ai tempi non pensavo ancora al trasferimento anche del resto della famiglia, anche se era una possibilità concreta di cui chiaramente avevamo parlato.

In ogni modo, la reclutatrice mi aveva assicurato che avrei trovato un ambiente accogliente, familiare, per cui non mi sarei dovuta preoccupare di nulla. Ed io le ho creduto. E sono andata, organizzando prima una festa con le amiche e un pranzo di compleanno con tutta la mia famiglia al mare, dove era venuta anche zia Zita con la sua Princess, la sua bianca cagnolina Sissi.


WILLKOMMEN, FRAU CICALINI

Comincio a lavorare il primo agosto. Mi aspettano alle 9. Nello stesso ufficio del personale in cui un anno e cinque mesi dopo mi hanno fatto vedere la bozza delle lettera di licenziamento, mi sottopongono una versione facsimile in inglese del contratto che avrei dovuto firmare in tedesco. Con quella mi danno anche l'altro foglio, poi consegnatomi in una busta: sopra c'è la dicitura "confidential".

In poche righe, sempre in inglese, sotto le quali incautamente appongo la mia firma, c'era scritto che i miei primi due anni di lavoro erano considerati un "training", una formazione, del valore iniziale di 7 mila euro, che sarebbero andati a scalare man mano che passavano i mesi. Ossia quello che mi era stato anticipato via mail.

Non avevo mai sentito di accordi del genere, naturalmente, ma pensavo, ok, sarà una formalità richiesta dalla legislazione asburgica. Grave, gravissimo errore.

Scopro, peraltro, anche un altro fatto, insieme con il mio ex datore di lavoro (che pare cadere dalle nuvole, ma chissà): ossia che dopo il periodo di prova classico di tre mesi, il mio contratto sarebbe stato a tempo indeterminato. Caspita, mi dico, ho fatto tredici: w la civile Austria, ora sì che si svolta!

E mi butto nella ricerca della casa, assistita da una collega, così collaborativa, dolce e sorridente. Almeno all'apparenza: di lei la reclutatrice mi aveva parlato come di una sorta di "mamma" su cui fare affidamento per tutto. Considerando che ha nove anni meno di me, sarebbe stato ben strano, ma vabbè, crediamoci, mi dicevo.  

Grazie alla collega-mamma, effettivamente, riesco a passare dall'hotel all'alloggio nel quale abito tuttora senza soluzione di continuità (affitto mensile 590 euro, acqua e spazzatura compresi, buono per Vienna, non così poco per una persona che veniva dalla provincia, peraltro libera dal vincolo degli affitti solo da pochi anni).

La mamma putativa mi ha scortata addirittura dagli agenti immobiliari per la firma del contratto e in seguito mi ha anche aiutato con i gatti. Per l'aiuto che mi ha dato, le ho fatto dei regali, sentendomi comunque sempre un po' in debito anche quando ho realizzato che di me e del mio destino, alla fine della fiera, non poteva fregargliene di meno. Era l'azienda la sua vera ragione di vita, in nome del gruppo forse le è stato proprio imposto di dare una mano ai novizi.

In tutti i modi, comincio a lavorare, felice di trovarmi un ambiente giovane, tra ragazzi carini e accoglienti.

Qualche perplessità verso gli asburgici, in verità, la nutro subito, ma l'attribuisco all'incapacità di parlare la loro lingua, aiutata parzialmente dal mio inglese non così terribile, ma nemmeno eccellente.


CHE CI FACCIO QUI?

Con il passare del tempo, però, i dubbi aumentano, non tanto sulle persone (pian piano riesco a comunicare, con qualcuno di più qualcuno meno), ma sul lavoro.

Comincio a trovarlo ripetitivo, anche perché le mie mansioni non sono esattamente le stesse dei miei colleghi, per cui prendo ad interrogarmi sempre più spesso se vada davvero bene per me.

Trascorsi i tre mesi del periodo di prova, comunque, nessuno obietta alcunché, quindi io presumo che vada tutto bene.

E invece non è così, così non è stato. Ma andiamo avanti.


LA FORMAZIONE INFINITA

Periodicamente, ho rivisto qui a Vienna la reclutatrice, titolare della famosa formazione. Ho seguito le sue lezioni, cercando di applicare i consigli che mi ha dispensato per potenziare la voce, alternando il lavoro quotidiano a svariate ore di registrazione, indispensabili, secondo quanto mi era stato detto, per diventare una speaker completa.

Ammetto di non avere nascosto le mie perplessità anche con lei, ma, ripeto, senza mai sottrarmi ai miei compiti. Di sicuro non avrei dovuto parlargliene, conoscendo ormai assai bene il personaggio, ma così è stato. 


IO TI SALVERO' (o l'arrivo di marito e gatti)

Nel frattempo, forte del mio contratto a tempo indeterminato, ho spinto mio marito a raggiungermi, come ho raccontato nel precedente post, dal quale si capisce in quali condizioni psicofisiche versassi proprio in questi stessi giorni di un anno fa.

Abbiamo chiuso la casa al mare, lasciato la nostra macchina per strada, e con i nostri gatti e i suoi pochi bagagli, nel febbraio dell'anno scorso abbiamo ricominciato la nostra vita da qua.

Non si può dire che ci siamo annoiati.


L'INCUBO DOCUMENTI, PARTE SECONDA 

Mentre procedeva il count-down verso il mio licenziamento, abbiamo dovuto affrontare una serie di pastoie burocratiche che neanche Kafka.

Prima di tutto: i documenti di residenza per lui, possibili in quanto familiare ricongiunto e non come lavoratore.

Per averli, bisognava esibire il certificato di matrimonio plurilingue nella versione valida per i paesi teutonici. Facile, direte voi. Come no.

Me lo spediscono via mail con tanto di Pec (in doppia versione, ché non si poteva mai sapere), con quello torniamo dal Magistrat, facendoci una fila da medio ospedale italiano che non avete idea. Nichts, non va bene. Warum? "Noi Folère orighinalen". Ma come? In Italien noi abbiamo la Pec, "Non ci freka niente. Solo orighinalen!".

Richiamo il Comune del matrimonio e me lo faccio spedire. Niente, nichts, non mi arriva. E in questo caso chissà chi è messo peggio, se Poste italiane o Poste austriache: io ho la sensazione che il primato in negativo spetti a noi, ma qualche dubbio ce l'ho, considerato quanto qui siano ottusamente fissati con numeri civici, porte e codici postali.

Per risolvere la faccenda, me lo faccio spedire una seconda volta in Italia da mio padre, che poi me lo rispedisce a Vienna via corriere privato. Documenti completati, il consorte può ottenere "l'Anmeldebescheinung" (la conferma del permesso di soggiorno) che gli dà diritto alla e-card, indispensabile per lavorare e per ricevere l'assistenza sanitaria. Vielen Dank.

All'orizzonte, però, si profila una grana molto più spinosa, stavolta di tipo economico: per la Kranken Kassa lo sciagurato consorte risulta a mio carico fin dal primo giorno in cui sono arrivata io, non dal giorno in cui è arrivato lui, come attestava il suo "Meldezettel", ossia il primo pezzo di carta che ti rilasciano al tuo arrivo  in Austria.  

Orrore e raccapriccio. Anche perché me ne sono accorta tardi, tornando a casa mia dopo mesi: avendo mantenuto lì la residenza, lì arrivano i documenti ufficiali. Quando lo scopro, il debito accumulato per la sua sanità è già piuttosto alto. Adesso non mi ricordo più la cifra esatta, comunque superava i mille euro. Una vera rogna. E adesso come la risolviamo?

Richiedo l'aiuto della collega-mamma, che riesce per lo meno a farsi dare un contatto mail della sanità viennese al quale scrivere per farmi mandare la posta a Vienna e per cercare di rettificare i dati di mio marito. La posta prende ad arrivarmi qui, ma niente, il debito continua a crescere.


Il MITOLOGICO MODELLO E104

Mi decido a scrivere io direttamente alla mail, usando il mio tedesco scolastico, con il supporto di google translator (gli impiegati pubblici sono obbligati a parlarti in tedesco, dimenticavo questo dettaglio abbastanza importante). Tra gli aspetti positivi della burocrazia asburgica, c'è il fatto che ti rispondono sempre. 
Mi dicono che devo rivolgermi alla Asl della mia città di residenza per farmi rilasciare il modello E104, il mitologico modello: basterà che glielo alleghi via mail ed è pace fatta.

Mi metto all'opera. Anche nella provincia italiana (marchigiana) ti rispondono subito, almeno in certi uffici. Durante una breve vacanza italiana, diverso tempo dopo, vado personalmente a ritirare il papier nella Asl di via Zeppilli a Fermo: mi riceve una signora cortese ed elegante, dicendomi anche che è la prima volta che le capita un caso del genere. Di solito le città e i paesi di emigrazione scelti dai locali sono altri. Eh, signora mia, a saperlo mi sarei volentieri risparmiata di essere un'anomalia statistica.

Comunque, anche questa è fatta: a fine giugno o giù di lì ricalcolano il debito per il marito ricongiunto.


AMS, SE LO CONOSCI LO EVITI

Il qual marito, nel frattempo, si è sottoposto alla tortura dell'Arbeit Market Service, l'agenzia austriaca per la ricerca del lavoro, un luogo, una istituzione di sapore paramilitare, che non piace nemmeno ai nativi. Mi domando, sarcasticamente, perché.

Mentre lui si consuma le meningi per imparare i primi rudimenti di tedesco, io riesco a frequentare un corso di un mese con i buoni della Camera del Lavoro. Per riuscire ad averli, mi ci è voluto l'aiuto di una giovane collega di origine bulgara, che parla un italiano praticamente da madrelingua. Come vi dicevo, qualche persona positiva l'ho trovata a Radio Max. E il corso è davvero una boccata d'ossigeno per me. 

MA LA ROUTINE CONTINUA 

Tra pochi alti (la mezza maratona e il concerto di Mark Knopfler il giorno del nostro anniversario) e molti bassi (giornate e giornate di inutili news e oroscopi fasulli, farlocchi esercizi per la voce e registrazioni su registrazioni di simulazione della diretta), passa l'estate.

A settembre rivedo la reclutatrice per le periodiche lezioni formative. Alla fine di una lunghissima giornata, le chiedo, alla presenza della collega-mamma: "Quando vado in onda?". "Dipende da te", la sua risposta, e mi fa capire che, comunque, ormai ci siamo. Manca pochissimo, pochissimissimo.  E mi dà un'altra serie di esercizi per migliorare le mie performance vocali. Soprattutto, i famosi "scarti di tono" che non sto qui a spiegarvi. Ingoio il rospo e ricomincio a farli. Per fortuna ancora per poco.


COMING SOON 

A grandi passi si avvicina il compimento dello psicodramma.

Il primo segnale si manifesta venerdì 11 ottobre, intorno alle 16.30-17.

Il mio ex capo manda una mail a tutto il gruppo di lavoro, mettendo in copia il direttore di Radio Max e la responsabile delle risorse umane. Ci convoca per una riunione alla quale dovevamo essere tutti presenti, prevista il martedì successivo alle 9.30.

Capisco immediatamente di che cosa si tratti, ma cerco di mantenermi calma. Anche i miei colleghi non sembrano molto tranquilli, vista l'ufficialità del messaggio.

Tra i grandi pregi del mio ex capo, sopra tutti c'è il suo coraggio da leone. Sapete quando ci ha mandato la mail? Un attimo prima di andarsene, diretto all'aeroporto per un breve viaggio di famiglia. Immaginatevi la nostra perplessità quando il lunedì seguente, anziché dirci qualcosa sul contenuto della riunione, ci mostra le foto delle vacanze dal suo telefonino. L'altra sua notevole qualità è l'empatia, d'altra parte.

Un piccolo dettaglio, dimenticavo. In ufficio c'era anche la collega-mamma. Un'altra collega, la bionda palermitana che ha condiviso con me il piacere del licenziamento, le ha chiesto lumi sulla riunione della settimana successiva. Anche in questo caso, coraggio da leone: "Lo scoprirete martedì", dice fissando lo schermo del computer. Il suo imbarazzo, almeno quello, è evidente.

Arriva il famoso martedì.

Stanza del piano superiore, quella delle grandi riunioni.

Presenti la coordinatrice dei programmi, che l'anno prima mi aveva fatto il colloquio con i capi italiani, e la responsabile del personale. Nessuna traccia del direttore di Radio Max.

Sulla parete è proiettata una enorme slide con la scritta "Penny FM 2020".

In tedesco, con la traduzione simultanea della collega-mamma, ci dicono che la situazione economica di Penny Market non è buona e che, nonostante tutti gli sforzi fatti, nel nuovo anno avrebbero dovuto fare a meno di tre di noi. I saltati, però, non dovevano preoccuparsi: per loro ci sarebbe stata una "consistente buonuscita", unita alla possibilità di ottenere una specie di aspettativa di un anno (qui la chiamano "bildungskarenz) percependo un assegno mensile pari a circa l'80% dello stipendio, dietro l'obbligo di frequentare un corso di formazione-riqualificazione e senza diritto alla conservazione del posto di lavoro.

L'altra strada era il licenziamento classico, che in Austria dà accesso all'assegno di disoccupazione della durata variabile a seconda del periodo lavorato, comunque mai al di sotto di un anno, del valore pari a circa l'80% dello stipendio, o poco meno.

La tizia ci dice, naturalmente, di essere dispiaciuta, visto che Penny FM è stata tra le radio fondatrici di Radio Max. Poi aggiunge che di lì a pochi giorni sarebbero cominciati i colloqui per capire chi tra noi fosse interessato a restare e chi no.

Esco da lì ben consapevole che tra tutte la mia posizione era la più debole, visto che non avevo completato la famosa formazione.

Sapevo che la mia testa sarebbe saltata.


I COLLOQUI FARLOCCHI

Il nostro capo ci convoca per i colloqui. Il mio si sarebbe tenuto il lunedì successivo. Quel giorno avevo brigato per organizzare una nostra visita all'ambasciata italiana, per ricambiare quella che l'ambasciatore mesi prima aveva fatto a noi.

Dopo aver saputo quando avrei avuto il colloquio, i miei anticorpi vacillano e mi prendo due giorni di malattia.

Non l'avessi mai fatto. Nell'ordine hanno provato a cercarmi, l'ex capo, la collega-mamma e addirittura, alle dieci di sera, la reclutatrice. Non ho risposto nell'immediato a nessuno, se non alla fine dicendo che, naturalmente, avrei avuto tutto l'interesse a continuare a lavorare. Si quietano. Tanto lo sanno che il mio destino è segnato. Durante il fine settimana mi preparo spiritualmente al colloquio, ripetendomi mentalmente il discorsetto che avrei tenuto quando mi avessero chiesto le mie intenzioni.

Il lunedì mattina del 21 ottobre mi vesto anche "bene", con tailleur nero nuovo, anche in vista della visita all'ambasciata. Dopo le solite news registrate, vado al piano di sopra con il capo. Presenti la bionda coordinatrice del personale e la bionda delle risorse umane.


CICALINI RAUS

La prima non mi dà il tempo di dire nulla e mi comunica in tedesco che è molto dispiaciuta di dovermi dire che devono fare a meno di me. Benservito. Poi mi parlano della bildungskarenz e della "ricca" buonuscita finale (alla fine sapete quant'era? 1.800 euro netti. ESTICAZZI. Ma tanto, ho scoperto dopo, per la legislazione austriaca le aziende non sono tenute a darti un euro: se lo fanno, è pura liberalità).

Esco da lì in trance.

E adesso? Quindici giorni prima mio marito ha cominciato a lavorare: ha un contratto "minore" (geringefugig, come lo chiamano qui), ma è pur sempre un inizio. Bella roba.

Comincia a montarmi la rabbia. Per prima cosa, mi tiro indietro dalla visita all'ambasciata: non ho proprio niente da festeggiare.

Rifiuto subito, mentalmente e in seguito materialmente, la prospettiva della bildungskarenz: posso restare vincolata alla mia età alla frequenza di un corso di un anno in un paese straniero e senza la sicurezza di riuscire in seguito a reimpiegarmi? Cerco allora di capire se la buonuscita mi spetta anche qualora mi faccia licenziare, anche perché, in caso di rientro in patria, sapevo già che avrei avuto accesso all'indennità di disoccupazione solo in questa ipotesi.


ARBEITER KAMMER, AIUTAMI TU

Prima di prendere la decisione finale, scelgo di consultare la Camera del Lavoro di Vienna, la stessa che mi ha fornito il corso di tedesco con i buoni.

Mi fissano un appuntamento quasi quindici giorni dopo, durante i quali prendo tempo con l'azienda, prima di firmare qualsiasi cosa.

Una avvocata molto carina accoglie me, mio marito e una signora italiana conosciuta sul Nightjet con cui ho stretto amicizia, che vive a Vienna da molti anni: le ho chiesto il favore di essere presente per essere sicura di capire bene quello che mi avrebbe detto.

Per prima cosa l'avvocata mi ribadisce che le ferie prenotate a novembre, anche se non ancora maturate del tutto, ormai mi spettano. Poi mi dice che in Austria è molto più facile assumere esattamente come licenziare e che, alla fin fine, per l'uno e per l'altro, almeno inizialmente, basta un accordo a voce.

Poi mi dice un'altra cosa, dal mio punto di vista piuttosto sconvolgente, quando le mostro l'accordo riservato.

Mi dice che la cifra che mi hanno chiesto è eccessiva, mi spiega che me l'avrebbero potuta chiedere solo se l'azienda mi avesse mandato a frequentare fuori un corso, con tanto di attestato finale.

In pratica, l'accordo riservato era carta straccia. Se me ne fossi andata prima della fine dei due anni, non avrebbero potuto richiedermi indietro nemmeno un centesimo. Un penny.

In conclusione, osserva l'avvocata, già con il colloquio del 21 ottobre è cominciato a decorrere il periodo di tempo di sei settimane necessarie al datore di lavoro per mandarmi via. Secondo i suoi calcoli, posso perciò smettere di lavorare il 15 dicembre. Mi prepara quindi il testo di una lettera da spedire con raccomandata e ricevuta di ritorno, per garantirmi di terminare il rapporto in quella data. Mi fa presente che solo così riuscirò ad attivare prima possibile la pratica con l'Ams per l'assegno di disoccupazione, anche perché sotto Natale gli uffici pubblici chiudono, quindi avrei rischiato di dover rimandare tutto a dopo la fine del 2019.

Leggo attentamente la lettera che mi ha preparato, la faccio leggere alla mia amica, la firmo e una volta a casa la spedisco.

Dopo qualche giorno mi arriva la cartolina del ricevimento. E dico: ok, l'incubo sta per finire.

Invece no: l'azienda rifiuta la mia raccomandata, ma alla fine acconsente a farmi andare via il 15 dicembre, anche perché, a pensarci bene, gli costo pure di meno.

Tutto questo lo racconto solo per un motivo: è difficile spiegarsi in un'altra lingua, tanto più che sono costretta a tornare una seconda volta dalla tizia della Camera del Lavoro, stavolta solo con mio marito.


SODDISFATTA E LICENZIATA 

A quel punto ho la lettera di licenziamento in mano e lei mi dice che è tutto in regola. Precisa anche che quell'azienda non è affatto la peggiore tra quelle che di cui le hanno raccontato altre persone.

Con la coda tra le gambe, me ne torno a casa. Sinceramente, se avessi avuto qualche pezza d'appoggio per chiedere una specie di risarcimento del danno materiale e morale, l'avrei fatto. E del resto, durante il primo incontro, la bella avvocata mi ha detto che ogni volta che ha avuto a che fare con gli italiani li ha trovati molto incazzati per le divergenze tra la loro e la nostra legislazione del lavoro.

Ma, appunto, bisogna andare oltre la rabbia e cercare di concludere questo lungo resoconto con il giusto tono.

Prima di iscrivermi all'Ams, cosa che ho fatto l'ultima settimana di lavoro con impressionante rapidità, ho approfondito la trafila italiana.


NON HAI I TUOI CONTRIBUTI? NIENTE INPGI

Prima di tutto, ho chiesto lumi all'Inpgi, la previdenza dei giornalisti.

Nulla da fare: niente sussidio con loro, perché l'azienda avrebbe dovuto "ridarmi" i contributi versati, cosa che farà solo 36 mesi dopo il mio primo giorno di lavoro. Campa cavallo.

Poco meglio mi è andata con l'Inps, la previdenza ordinaria, che mi ha prospettato una indennità per rimpatriati, pari al 30% dello stipendio mensile, da attivare entro 180 dalla data di cessazione del rapporto, al netto di quanto eventualmente percepito qui in Austria. In sostanza, pochi spiccioli.

L'unica strada praticabile, insomma, era l'Ams. Da pochi giorni sono entrata nel fantasmatico mondo dei disoccupati asburgici: se e quando avrò voglia vi tedierò con le cronache dalla stanza 2016, quella in cui c'è la mia "beraterin", la mia tutor, quella dell'altra volta (tale Denise, unghie laccate e sguardo assente) o chi ne farà le veci.

 EFFETTI COLLATERALI 

In tutto ciò, non sono potuta essere a Chieti quando mio padre aveva bisogno, nei giorni di ferie che avevo preso apposta per quel motivo, inchiodata a una surreale trattativa con un'azienda che si presenta bene ma razzola male, malissimo nel mio caso.


VIELEN DANK DALLA MIA AUTOSTIMA

Suppongo che per i due giovani colleghi mandati a casa con me, il ricordo delle gesta di capi e capetti sia molto diverso ed è in fondo comprensibile. Loro almeno andavano in onda, da anni: la famosa formazione, nel loro caso, era completa da un pezzo. Niente spada di Damocle della penale, per loro, e più chance per accedere alla Naspi. Amara consolazione anche per loro, forse, ma tant'è.

Io mi sono beccata anche una lettera di referenze inutilizzabile, visto che hanno valutato il mio lavoro come "sehr gut", poco più della sufficienza, se è vero quello che mi ha detto la collega carina di origine bulgara, ossia che in Austria non si possono dare mai valutazioni negative.

Se ti danno "gut", mi ha spiegato, significa che "hai fatto cagare". Benissimo, la mia autostima vi ringrazia.

Ma andiamo avanti con il racconto.


CHIARIMENTI, PROMESSE, LACRIME

In una torrida giornata estiva, ho voluto incontrare il mio ex capo per esprimergli tutte le perplessità sul lavoro: gli ho detto chiaramente che se non ci fosse stato il vincolo della penale, molto probabilmente me ne sarei andata tempo prima (prima di trascinare a Vienna anche mio marito e i gatti, of course), ma che ovviamente, essendo io una persona seria e responsabile, non l'avevo fatto. 

Avevo invece tutta l'intenzione di andare avanti, visto che ormai la mia vita era qui, ma che era indispensabile per me non essere più trattata come l'asina della classe.  

L'ex capo ha messo su una faccia contrita e stupita, poi se n'è uscito con la solenne promessa che, al rientro dalle ferie, lui personalmente sarebbe venuto con me nello studio di registrazione per aiutarmi a completare la famosa formazione da speaker. Sapete quante volte è venuto? Nemmeno una.

Il giorno seguente ho incontrato la vice, sempre lei, la collega-mamma, e le ho fatto lo stesso discorso: si è fatta uscire pure delle lacrime e poi ci siamo abbracciate come due patetiche adolescenti prolungate. E pure lei mi ha assicurato, intanto, che ormai ero "vicinissima alla diretta" (anche se si è fatta sfuggire un "è colpa tua se non sei ancora andata in onda". Inevitabile la mia reazione: "Non parliamo di colpe, non è proprio il caso", detto con occhi di fuoco) e che tutto stava per risolversi al meglio.

Parzialmente sollevata dalle loro promesse e rassicurazioni, ho festeggiato il mio compleanno in Italia e poi me ne sono tornata qui passando agosto e buona parte di settembre tra news, oroscopi, esercizi e simulazioni. Convinta che ormai la diretta fosse vicina.

Ma ormai tutto questo è storia.

Fuori nevica, mentre a Chieti stanno dando l'ultimo saluto a zia Zita. Ho commesso l'errore di scrivere di lei su Facebook: mi è sembrato di violare la sua privacy, ma posso assicurarvi che il mio dolore è autentico.

Per colpa di questa gente, diciamola tutta, sono qui a scrivere di lei e non al suo funerale.

Non mi era mai capitato di essere trattata così e spero che non mi capiti mai più. 

Ma ora è davvero tempo di chiudere, questo post e questa storia.


UN TAGLIO DOPO L'ALTRO

Giusto una postilla finale: Radio Max ha tagliato personale anche nei gruppi di altri Paesi. Non è la prima volta che agisce così: mi è stato riferito che già due anni fa, o comunque poco prima che io arrivassi, era successo qualcosa del genere. 

Dubito che non sapessero, perciò, che le acque nel mercato della grande distribuzione fossero un tantino agitate anche dopo, ai tempi del mio casting e del successivo trasferimento. 

E del resto si sa che il lavoro può cambiare e per un giovane non è un grosso problema rimettersi in gioco per trovare qualcos'altro.

E poi ero io fuori luogo, ve l'ho detto.

Non avrebbero dovuto assumermi. Tutto qua. 

Ormai è andata, e in fondo, di loro non mi importa più.


VERRA' UN GIORNO 

Una piccola soddisfazione, però, vorrei prendermela.

Lavorando per loro ho scoperto che i bilanci annuali delle aziende, almeno in Austria, vengono presentati a settembre. Se sarò ancora qui per quella data, voglio proprio vedere se il neon luminescente verdognolo sopra il grande portone d'ingresso della magnificente sede sarà ancora acceso.

Se non dovesse esserlo, PROSIT con champagne.

Nella eventualità tragica in cui io sia diventata nel frattempo un caso sociale per l'Ams (entro giugno mi devo ricollocare o ciccia, fine del sussidio), mi accontenterò anche del Tavernello.

Comprato da Interspar o Hofer, la concorrenza. Dove naturalmente vanno anche tutti i dipendenti di Radio Max, salvo nascondere i prodotti incriminati durante qualche visita ufficiale dei super manager.

Ma su questo, in fondo, non c'è di che stupirsi.

E' solo marketing, schoene Leute.