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martedì 1 maggio 2012
Dedicato ai "disoccupasoul"
Ancora sotto l'influsso positivo dello scorso sabato, ritengo di avere l'umore adatto per parlare del fumetto di cui riporto sopra la copertina.
L'ho comprato poco tempo fa, in una (ennesima) giornata piovosa in cui abbiamo deciso (con Sfaccendato) che era proprio il caso di uscire.
Mai vista (nemmeno nelle grandi città) una fumetteria più fornita di quella della cittadina adriatica, posta poco più a nord del paesone in cui abitiamo.
Ho deciso di acquistare questo fumetto e un altro che ha provocato il seguente commento del negoziante (un soggetto veramente incredibile): "Di nicchiaaaa!", che però non ho ancora letto. E comunque, anche se l'avessi fatto, dubito che ne avrei parlato per la presente rubrica.
In fatto di originalità, comunque, anche Il disoccupasol non scherza affatto.
Scritto nel 2004 da Laca, pseudonimo di Luca Montagliani, un fumettista-musicista genovese (anche se penso di origine abruzzese... buon sangue non mente!), racconta le strampalate esperienze lavorative del suo alter-ego con il naso a proboscide.
Prima di incamerarlo, ho letto la recensione sull'ultima pagina a cura di un tale Carlo Chendi, a me del tutto sconosciuto, ma immagino abbastanza noto nel mondo dei fumettari under-qualcosa, il quale ne elogiava la sua estrema comicità.
Ecco. A me non è sembrato così, anche se mi ha strappato più di un sorriso cattivello.
Sarà che oggi come oggi, a trovarsi nelle assurde situazioni capitate (sembra) per davvero all'autore o a qualcuno di sua stretta conoscenza siamo sempre di più, ma il pensiero di dover vendere bandierine senza successo (il punto più spassoso del libro) davanti allo stadio o al congresso di un partito non mi rallegrerebbe affatto.
E in ogni caso, concordo con il recensore sul fatto che far ridere sia assai più difficile che far piangere. Sarà anche per questo che, spesso, sbraco un po' verso la lagna.
A riuscirci benissimo, per esempio, erano Renzo Arbore e i suoi amici-colleghi-fratelli con cui negli anni ha creato programmi veramente indimenticabili, da Alto gradimento all'immortale Indietro tutta.
Indietro tutta, caro Renzo, l'Italia è andata davvero, che sia colpa o meno del nano diabolico o (com'è più probabile) del grosso della classe dirigente nazionale, sindacati compresi.
Eppure. Eppure anche una risata amara strappata dalla ferocia linguistico-grafica di un piccolo fumetto come Disoccupasol possono sollevare un po' il tono dell'umore e farci sentire ancora vivi.
Di motivi per tenersi su, a ben guardare, ce ne sono tanti; per paradosso, ad esempio, anche il fatto di non contare nulla, di non aver grandi responsabilità professionali e sociali, possono donare un senso di libertà davvero impagabile. Proprio quest'ultima parola è venuta fuori ieri sera, nello speciale dedicato al grande Renzo foggiano-napoletano, un artista che ha fatto della libertà (niente affatto bossiana!) un vero e proprio stile di vita.
Certo, Arbore ha avuto fortuna, ma accidenti se se l'è meritata e meno male che ho potuto apprezzarlo già da bambina, quando in auto mio padre ascoltava il canto del venditore di acqua calda, sbellicandosi di risate davanti a me e con me, che non capivo ma invece capivo.
Allo stesso modo, anche Laca e il suo omino con il naso lungo e ricurvo mi sono simpatici perché danno l'idea di non dover rendere conto proprio a nessuno. E infatti nessuno si salva sotto la sua china, nemmeno il bambino o l'immigrato venditore di accendini.
Ho provato a cercare notizie sui lavori successivi dell'autore, ma dalla Rete non ho ricavato granché. So che suona in un'orchestra di world music e ho anche ascoltato qualche brano del loro repertorio.
Dubito che abbia fatto i soldi, ammesso che fosse questo il suo obiettivo di vita. Abbiamo la stessa età e da quel che ho capito anche lui è sposato o lo era qualche anno fa. Insomma, nonostante precarietà e lavoretti di varia natura, Laca se la cavava ed è probabile che lo faccia ancora adesso.
E' un delitto non essere noti al grande pubblico? Credo di no. Quel che è grave, magari, è non riuscire a farsi dare i giusti riconoscimenti per quel che si è prodotto. Lo è sempre, che si faccia l'artista o il magazziniere.
Un Paese davvero civile, però, è quello che crede nei suoi talenti e li aiuta VERAMENTE a emergere, dando seconde (anche terze) chance a chi non ce l'ha fatta a venti-trent'anni.
Non parlo solo per me, sul serio: lo dico per i molti "disoccupasol" diventati, probabilmente, "disoccupasoul" per il grosso "blue" che appesantisce loro le spalle e il cuore.
Ecco. Mi sembra questo il giusto messaggio alla nazione (?) per un primo maggio silenzioso e discreto, lontano da palchi, luci e inutili celebrazioni in doppio petto e tailleur.
Ce la faremo.
Ce le dobbiamo fare.
Da parte mia, ci proverò ancora.
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