Fin dentro all'anima |
Nel profilo di Blogger ho scritto, già tempo fa, di essere una "paolocontiana di ferro". A parte la cacofonia della definizione, resta però vero che lo sono. Altro che se lo sono. E mi stupisco anche di scoprire sempre nuovi dettagli sul percorso musicale del Maestro astigiano che me lo rendono ancora più simpatico.
Per la precisione: più mi accorgo delle analogie tra il suo modo di suonare e quello di Duke Ellington e più capisco quanta strada sia passata sotto i sandali della sua vita.
Pur essendo cresciuto a pane, latte e jazz, infatti, il Paolo per eccellenza non si è mai considerato un purista del genere, al punto che agli esordi, anzi, tutto si sarebbe detto fuorché che jazzava.
O meglio: jazzava assai al liceo e nel tempo libero, ma al grande pubblico si è mostrato innanzitutto come cantautore. L'ennesimo, aggiungerei, com'era costume a cavallo tra i Sessanta e i Settanta.
Poi, però, la fama è arrivata e con essa la possibilità di fare sempre di più come gli pareva.
Se mai virata più decisa verso il Cane giallo della musica c'è stata, forse la si può ravvisare nell'album "Novecento", il secolo nato insieme con il jazz, per così dire.
E tuttavia, conoscendolo almeno un po', sono sicura che continua a non sentirsi affatto uno jazzman, bensì, forse, "uno che suona" e "che canta" alla maniera degli stralunati chansonnier di Francia, alla Gainsbourg più che alla Aznavour, direi, visto quanto il Maestro stesso ha dichiarato in più di un'intervista.
Ma com'è che m'è venuto in mente tutto questo?
Perché in questi giorni ho realizzato una piccola, artigianale, ma molto partecipata galleria fotografica sul saggio di Sfaccendato e i suoi compagni di Accademia musicale. Come colonna sonora, ho scelto vari brani del Paolo nazionale e uno di Tom Waits, che, guarda caso, può ricordare il primo (la Russian dance che ho usato come commento alle fotografie del sosia sangiorgese dell'artista americano non è troppo diversa da Ludmilla, a pensarci bene).
E poi, la notte della notte bianca, non potendo dormire, mi sono messa ad ascoltare in cuffia Gong-oh, l'ultima raccolta del Nostro, come spesso faccio quando voglio rilassarmi.
Ed ecco che si è compiuto l'ennesimo incanto: ho capito, più profondamente, "Una faccia in prestito", il brano dell'album omonimo degli anni Novanta, in cui il Maestro si approssimava all'età anziana.
"Ho nostalgia di un golf, di un dolcissimo golf di lana blu", dice a un certo punto.
Per la prima volta ho visto quel golf e ho sentito tutta la malinconia della vita che se ne va e del futuro in scadenza.
E tuttavia non ero triste né forse lo era, almeno non del tutto, il Maestro che infatti nel testo aggiunge "Non piangere coglione, ridi e vai".
Quel maglione non c'è più né mai ci sarà, ma starsene dietro le quinte "ingolfato di swing e di lacrime" a qualcosa gli è servito: da quel giorno niente è più stato lo stesso e Paolo lo sa.
Niente resta uguale, ma tutti i tasselli, prima o poi, tornano al loro posto.
Perciò niente lacrime, almeno non troppe.
Rido, sì, e vado.
A Francavilla al Mare, tra i cafonacci, ma per una buonissima (e dolcissima) causa.
Buoni giorni d'estate a voi e buon ascolto: