Diceva il saggio che bisogna piangere solo se stessi quando si è causa del proprio mal.
Non esiste frase più appropriata di questa per commentare le due inutili ore che ho trascorso ieri sera davanti alla tv, a guardare che cosa? "Ricordati di me". E dire che ormai, in certi ambienti, quelli più radical-snob, si usa proprio citare i film di Muccino per descrivere situazioni inverosimili o surreali riferite, naturalmente, sempre a qualcun altro. Perché nella nostra vita quotidiana, consideriamo, quando mai ci sono capitati fatti anche solo lontanamente simili a quelli rappresentati sullo schermo?
Quel che mi fa più tristezza, però, è che temo che da qualche parte, al contrario di quanto sosteniamo noi, "fini intellettuali" (veri) proletari, vicende similari a quelle raccontate dal nostro italico regista, succedano davvero.
Sì, perché le famiglie con madre e padre professionisti, una bella casa e figli adolescenti dall'encefalogramma piatto, esistono sul serio. Esistono ancora. Altrimenti, non si spiegherebbero neanche "Un posto al sole" o il redivivo "CentoVetrine", quest'ultimo in particolare capace di farmi sganasciare dalle risate per quanto è brutto. E però, le soap opera non hanno la pretesa di proporsi come cinema d'autore e hanno il pregio della brevità, un elemento che rende davvero spassosi i pochi minuti che ogni tanto trascorro nell'annotare per l'ennesima volta l'improponibilità delle loro sceneggiature e le canidiche interpretazioni.
Nel caso di Muccino, invece, quel che mi turba è che lo si spacci per buon cinema italiano. "Il" buon cinema nazionale, anzi.
Ora, siccome so di essere tremendamente selettiva, per una volta, devo essermi detta, proviamo a vedercelo questo Muccino (lì per lì pensavo fosse Virzì, a dirla tutta): magari mi ricredo. Magari mi convinco anch'io che sì, Muccino è davvero un grande e io sono la solita rompipalle altezzosa.
Il risultato? Sono andata a dormire con un fastidio in tutto il corpo e pure con una leggera nausea.
Mi sono ricordata di quando, da ragazzina, ho passato qualche tempo a leggermi un racconto d'amore su "Intimità della famiglia", una rivista che circolava a casa mia, quando mia madre aveva, credo, all'incirca l'età che ho io adesso. Era terribile, anche se adesso non rammento più di che cosa trattasse. Ho solo ancora nella memoria quel certo abbrutimento che si prova quando si passa del tempo in un'attività oziosamente dannosa.
Ecco. Ieri sera mi è successo qualcosa del genere. E pensare che avevo un bel libro da leggere, magari cullata da un piacevole sottofondo musicale. Da dove viene tanto masochismo? E' anch'esso un retaggio dell'educazione cattolica che a volte mi appesantisce passo e pensieri? Chi lo sa.
Se però ho deciso di fissare questi rovelli sulla carta, è proprio per cercare un antidoto alla mia connaturata tendenza a farmi del male.
Meglio, di gran lunga, qualunque telefilm americano (ma pure una fiction tedesca, all'occorrenza) di un "buon film" italiano. Se poi, per pura casualità, dovessi incapparne in uno decente, non mancherò di riportarlo.
Ma per il momento, direi che ho già dato.