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mercoledì 14 gennaio 2015

Il notturno di Alcmane e il Suonno di Paolo Conte, meravigliose furfanterie



Giorni fa la mia amica grafica Maria Loreta Pagnani mi ha chiesto un piacere: le occorreva qualche riferimento letterario per un lavoro che sta per intraprendere. Ringraziandola per la grande fiducia riposta nelle mie antiche reminiscenze scolastiche, le ho detto che ci avrei provato.

Sarebbe stato bello se avessi avuto il tempo, la scorsa settimana, di risfogliare i miei testi di scuola, ancora in bella evidenza su uno degli scaffali ricolmi di libri di casa dei miei. 
E invece mi sono ritrovata a farlo qui, nella torre fermana (il corpo irrigidito dal freddo), davanti al pc. Pazienza. Forse non mi sarebbe venuto in mente con altrettanta immediatezza il collegamento che ho fatto appena qualche minuto fa tra la canzone di Nelson che riporto sopra (ovviamente del mio Maestro astigiano) e il Notturno di Alcmane che sono andata a ripescare compulsando il Web.

Riporto qui sotto la versione accreditata come la più corretta da una rivista di dotti grecisti che ho pescato per caso surfando:

"Dormono le cime dei monti e le gole, i picchi e i dirupi, e le schiere di animali, quanti nutre la nera terra, e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api e i mostri negli abissi del mare purpureo; dormono le schiere degli uccelli dalle ali distese".


Si tratta - dicono i suddetti grecisti - della traduzione curata da "A. Garzya, Napoli 1954", che differisce non di poco per esempio da quella offerta da Giovanni Pascoli e da altri poeti che - scusate la mia abissale e purpurea ignoranza - io proprio non conoscevo.

Trovate le varie versioni nel link che ho riportato sopra, compresa quella di Mauro Pagani in genovese, di cui ho giusto adesso recuperato il link alla versione cantata presumo sempre dal musicista amico di Fabrizio De André.

Bella, eh, però, manco a dirlo, io preferisco l'Avvocato. E in particolare Suonno e' tutto o suonno, non so bene perché, mi è sorta spontaneamente alla memoria non appena ho riletto i versi di Alcmane. Versi che al liceo mi piacevano moltissimo.

Leggiucchiando qui e là su altri siti di dotti grecisti, ho scoperto che quel tipo di poetica discende pari pari dalla lirica di Omero. E del resto, da quel poco che rammento, il creatore degli immortali Iliade e Odissea (sempre che siano entrambi tutti suoi), aveva attinto a piene mani dalla tradizione orale precedente.

Com'è antica la nostra cultura, accidenti.
Inconsapevolmente, siamo tutti ladri di questa gente qui, pure il mio Avvocato lo è (mi perdoni, lui sa - e come no - quanto mi abbia avvinta per sempre). 
Il collegamento che io colgo tra questa splendida ballata cantata nel suo goffo piemontese-napoletano e i versi di Alcmane è insomma frutto di secoli, millenni anzi, di connessioni precedenti tra una generazione e l'altra di aedi, di musicisti, di poeti e di scrittori.

E' tutto molto affascinante e insieme così lontano dall'attualità.
Le poche volte che me ne faccio travolgere (com'è successo con Charlie Hebdo), dopo sento un forte bisogno di purificazione.
Il presente mi fa veramente troppo arrabbiare e/o deprimere.

Solo di notte, quando tutto è suonno, sento che i sogni non sono finiti e anch'io, come le fiere abitatrici dei monti o gli uccelli dalle ali distese, chiudo gli occhi e attendo la prossima preda che prima o poi riuscirò a bramire, balzando da un cespuglio o piombando da una cima.

Al risveglio, poi, è tutt'un'altra storia, ma che importa. La notte è promessa, incantatrice e tentatrice. Lo confermano il violino e il flauto di Conte e quel leggero sintetizzatore che accompagnano la fusione tra il cielo di lui e di lei.

Grazie, Maria Loreta, per avermi fornito questo gancio.
A voi tutti, buone furfanterie azzurre.

mercoledì 29 ottobre 2014

Paolo Conte e le ore lievi (grigio-celesti) di cui abbiamo bisogno



Giornata grigiastra, com'è piuttosto frequente in questo periodo dell'anno.
L'aggettivo declinato in "stro/a", mi fa sempre pensare a Paolo Conte, come consideravo l'altro giorno con una cara amica del Nord. Nelle parole e negli atteggiamenti di quest'affascinante donna, ci vedo molto del Maestro astigiano, "even though", sebbene, lei e lui abitino in due zone del Settentrione d'Italia molto diverse.

Quanto vorrei andare nell'Astigiano, la terra di nascita dell'avvocato baffuto. Nelle sue canzoni, infatti, oltre agli zzzarazz e alle note alla Duke, ci vedo tanta nebbia ghiacciata e lunghe notti brumose.
Dicevo sempre all'amica contiana nell'anima, che in Snob, il nuovo album dell'amato artista piemontese, non ci sono brani che mi abbiano più di tanto commosso. Il che non significa affatto che non mi sia piaciuto.
Come ho scritto nell'altro post che gli ho di recente dedicato, l'ho solo trovato più leggero, come se l'avvocato, lavorando di gomma, abbia volutamente sfrondato le sue note e le sue parole di tutto ciò che potesse risultare troppo enfatico.

Non siete d'accordo? Pazienza, me ne farò una ragione.
Però, se ci pensate un attimo, prendete, per esempio, Tra le tue braccia, da Nelson, e L'amore che da Psiche. Entrambe, nella costruzione della melodia e nei testi, vorrebbero spingerti a esacerbati sospiri d'amore, seguiti da lacrime di disperazione amara.
In Fandango, invece, quel "non mi guardare, non farmi pensare più a te", assecondato (anzi: affiorato sul) dal tema musicale prescelto, sembra dirci l'esatto contrario.
Basta lacrime, basta lacerazioni del cuore, voltiamo pagina.

Snob, in definitiva, lascia le emozioni forti sullo sfondo, preferendo tinte pastello sfumate, celestino-grigiastre, per l'appunto. Su tutto, mi pare proprio di vedere il sorriso da gatto di Conte, che deve averne viste talmente tante da desiderare solo l'armonia.

Snob è dunque, per me, un disco dispensatore di pace, anche esteriore.
Mi fa sorridere, sognare, a tratti persino ridere.
Tutt'altre sensazioni ho provato al contrario con canzoni come Gioco d'azzardo, Come mi vuoi?, Elegia (una delle più belle scritte dal Maestro) e qualcun'altra.

In Snob ci vedo tracce di Stai seria con la faccia ma però (Wanda, per farla breve), di Via con me, pezzo perfetto e immortale, e pure di un po' di "napule" sabauda che tanto mi diverte.
L'unico brano che, forse, potrebbe alla lunga farmi scendere qualche furtiva lacrima è Tutti a casa, un walzer (almeno penso sia un walzer!) che mi dà una nostalgia per un'Italia che non ho mai vissuto che davvero non saprei spiegare. Parlo dell'Italia dei film di Don Camillo, di Totò, delle cucine povere come quelle di mia nonna, il riscaldamento precario (come il mio di adesso...) e cose così.

C'è infine una canzoncina tenera che sembra parlare direttamente alla sottoscritta, come di sicuro penseranno molte signore e signorine innamorate della musica del Nostro.
Parlo, per l'appunto, di Signorina saponetta, allietata dal ticchettio della macchina per scrivere, una Olivetti, come c'è scritto nelle note del disco, chissà se proprio la stessa che aveva anche mio padre, sulla quale mi dilettavo da bambina.

Anche in quel caso niente lacrime, solo occhi che si illuminano, alla Amelie che, ahimè, sono stata per davvero.
Che cos'altro posso aggiungere?
Meno male che ci sei, Maestro.
Di ore lievi abbiamo bisogno. Di evasioni innocenti pure (Battisti era un altro che la sapeva lunga).
Per sopportare meglio le pesantezze del tempo, troppo spesso privo di "ore inglesi".

Di nuovo buon ascolto, amici.