Il cielo è sempre più blu, cantava Rino Gaetano, e puntuale come solo i bioritmi sanno essere, oggi è una giornata da schifo. Sono stata peggio e in generale "ci sta sempre chi sta peggio", anzi "ce stha sembre chi stha pegghiu", seguito da fastidioso sgranocchiamento di patatine da sacchetto da parte di un amico del tutto inconsapevole del suo notevole livello di disadattamento.
Decisamente è vero. Penso per esempio che stia molto peggio di me quel povero deficiente (fino a prossima consacrazione nazionale su qualche reality) di no-tav-boy (chiamarlo no global mi fa strano e troppo fascio) che ha dato della pecorella al poliziotto.
Quest'ultimo, invece, ha mostrato grande professionalità, ma spero che, a sua volta, resista dalla tentazione di comparire davanti alle telecamere.
Il fatto è che siamo talmente poco abituati, in questo Paese, alla serietà da scambiare per eroi persone che semplicemente stanno facendo il loro lavoro. Nel caso specifico, non rispondere a idiote provocazioni.
Non sempre, però, si ha la forza morale, psicologica, di sottrarsene e non capita solo da giovani.
Se c'è un tipo di persona che mi fa impazzire (parafrasando Mina) è quella che sottostima le tue capacità/esperienze professionali. Faccio un esempio molto concreto.
"Ti presento tizia... una giornalista freelance, come si dice". Come si dice cosa? Disoccupata, cane sciolta?
Ma questo passi, tutto sommato un po' sfigata lo sono davvero, e pazienza se presentazioni così grevi possono servire per procurarsi contatti per lavorare.
Molto peggio è invece chi non si fida per partito preso solo perché ti vede ancora giovane o ritiene di avere analogo titolo ed esperienza. Quando lavoravo in un piccolo giornale locale, per dire, era la norma avere a che fare con collaboratori abbastanza analfabeti, con esperienze risibili o nulle, ma convinti di essere Montanelli. In quel caso, però, il diverso ruolo e soprattutto la pratica quotidiana li rimetteva velocemente a posto.
Da quando sono, per l'appunto, una freelance, sono ripiombata nell'anonimato che ti costringe a spiegare, puntualizzare, a imporre insomma il tuo saper fare tentando il più possibile di non far caso ai rifiuti, alle mezze risposte, ai consigli non richiesti o poco calzanti o alle frasi sbagliate.
E però a volte non se ne può proprio più. Di recente mi sono sentita piccata per via di una tizia, una cosiddetta collega, che mi ha chiesto notizie di un mio parente acquisito perché desiderava chiedergli un aiuto in qualità di "giornalista esperto". Che sia esperto non ci piove, il problema che mi sono posta era però un altro: perché mai io non avrei dovuto esserlo quanto lui? Solo perché sono più giovane? Solo perché sono meno conosciuta di lui? E poi, per quale ragione avrebbe dovuto saperne più di me di problemi legali? Mica scrive per Top Legal, ammesso che esista ancora? Alla tizia ho perciò puntualizzato qualcosa con educazione forse un pelo stizzita, ma in auto sono letteralmente esplosa con mio marito. Insomma: lei che ne sa delle esperienze che ho avuto io? Perché ha dovuto supporre, in partenza, che non sarei stata in grado di aiutarla? Perché, in definitiva, rivolgersi sempre a qualcuno di "più grande", come se una tua coetanea non potesse darti una mano? Alla fine, comunque, che si cuocia nel suo brodo.
Il problema, però, è più generale e appartiene a tutta la mia generazione: i trenta-quarantenni, mediamente, si comportano come se ne avessero dieci di meno. Una delle cause è sicuramente sociale e legata alla solita gerontocrazia nazionale che non schioda. Ma di questo ho già ampiamente parlato.
Un'altra, più sottile, è invece proprio dentro di noi e delle nostre abitudini da adolescenza iper-iper prolungata.
Un conto è, infatti, restare giovani nella testa, mostrando di saper giocare innanzitutto con noi stessi; un altro è non avere abbastanza fiducia (e palle) per imporre al mondo quel che si fa fare, e anche molto bene, difendendolo da tutti quelli che ci vorrebbero sempre in una condizione di minorità.
Lo diceva Kant e lo ripeto anch'io: lo stato di minorità è imputabile innanzitutto a noi stessi e non esiste "deus ex machina", quello che ho simpaticamente evocato qualche post fa, capace di farci volare in alto se non siamo prima di tutto noi a desiderare di spiccare il volo.
Quindi, niente inutili lamentele né recriminazioni, stop alle relazioni dannosamente deprimenti e assolutamente sì a quelle che ci fanno crescere e diventare (finalmente) adulti.
Non è facile (anzi, è durissima), ma in un mondo che non ti dà niente se non te lo prendi con i canini (e i molari), non abbiamo proprio niente da perdere.
E quell'aquilone volerà. Dovessimo metterci un motore a ciascun piede come Paperinik pur di vederlo sparire all'orizzonte.