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giovedì 5 luglio 2012
Coltivare l'anima, tutta la vita
Dev'essere la canicola di questi giorni, fatto sta che sono solo le 22.30 ma a me sembrano le quattro del mattino. Oggi, nella piccola città in cui sono venuta a vivere ormai oltre sette anni fa, è ricominciato il mercatino del giovedì, pieno di cianfrusaglie, vestitini, orecchini (ci sono anche le due belle ragazze da cui prendo qualcosa ogni anno: fanno collane di stoffa e perline davvero molto graziose) e fumetti.
E io, naturalmente, ho già comprato. Parlo di un Dago vecchio con i disegni di Alberto Salinas, il primo (vero) disegnatore del giannizzero nero, del rinnegato veneziano con il corpo scultoreo segnato da ferite non solo fisiche. E pure una pizza fritta (rigorosamente salata) accompagnata da una birretta.
Però ero disorientata: quest'anno è letteralmente volato: come dicono quasi tutti gli adulti e immagino ancora di più gli anziani, dopo una certa età gli anni accelerano. Non so perché, parlando con Teresa e Piergiorgio, il secondo incontrato per caso (ma chissà), è venuto fuori l'argomento morte e il nonsenso sotteso, soprattutto per atei/agnostici come me (e forse anche loro).
Teresa ricordava la rabbia della sua adorata figlia Lisetta, oggi più che adulta, quando realizzò che sì, accidenti, un giorno sarebbe diventata polvere anche lei come tutti gli altri, come i morti ammazzati dalla daga di Cesare Renzi, condannato a non trovare pace per la strage dei suoi cari e costretto per via della stessa a errare ramingo per tutto il mondo, con un grumo nero al posto del cuore.
Sentendola raccontare l'aneddoto, mi è tornato in mente quando è successo a me di prendere consapevolezza del nostro destino inevitabile, una sera tardi, guardando la tv. Atterrita, sono corsa da mia madre e ne ho cercato l'abbraccio con occhi persi: "Dobbiamo morire", le dissi. Non credo che potrò mai dimenticare la serietà della risposta, priva di retorica e di facile rassicurazione. Da quel momento in poi, credo, è finita definitivamente la mia fanciullezza.
Poi, certo, si ritorna a vivere giorno dopo giorno, dimenticandosi dell'orologio (pure di quello biologico nel mio caso), però da allora mi è rimasto da sempre un fondo di malinconia misto a irrequietezza per il non compiuto, il non risolto, il non pieno nelle mie giornate. Ed è anche un po' per questo che detesto perdere tempo. Ogni minuto, ogni incontro, ogni esperienza significativi vanno presi al volo. E non per un superomistico bisogno di superare se stessi, bensì per il motivo contrario: un giorno non potremo più farlo e allora a cosa è servito rinunciarvi in partenza?
Molte volte mi sono rimproverata di aver avuto paura della vita, del successo, della carriera. In parte lo credo tuttora, ma non m'importa più. Almeno, non quanto m'interessa essere in grado di riconoscermi nello specchio, nonostante il tempo e i segni che vanno sedimentandosi sul mio corpo.
Quel che conta di più, però, è la mia anima e la mia volontà di lasciarla libera di esprimersi. E mi conforta assai constatare che quasi allo scadere del quarantesimo, tolto il sonno che mi sta vincendo, mi sento addosso un'energia mai provata prima. Più matura, forse, più consapevole, meglio, comunque con un qualcosa che mai avrei immaginato in quei caldissimi giorni di inizio luglio di un anno fa, quando mi aggiravo con la Nikon sulle spiagge facendo finta di essere una reporter.
Ma ora è il caso di farla finita qui: prima di passare al delirio pre fase rem (?).
Buonanotte.
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