Mi piace godermi il tramonto guardando dalla grande finestra che dà sul giardino.
L'ho fatto dal primo giorno in cui sono entrata in questa casa, quasi un anno fa. Sono esperta di affitti, in fondo.
Quando si è trattato di comprarne una, ho voluto che in più ci fosse almeno un balcone. Tornando a stare in casa d'altri, naturalmente, non potevo avere la stessa pretesa.
Ma mi è andata bene: vivo a cinque minuti dal posto di lavoro e ad altrettanti dal parco di Schonbrunn.
Mi accorgo solo ora che digito finalmente dal mio computer vecchiotto di quanto mi sia disabituata alla tastiera italiana, senza umlaut (i due puntini sopra alcune vocali, per i non cruccofoni) e con una diversa posizione per la z e alcuni accenti.
Da dove scrivo? Dove sono?
A Vienna.
E che diavolo ci faccio qui?
Lavoro.
E dovevi arrivare fin là per lavorare?
Sì e no.
E non vorresti tornare indietro?
...
Domandona.
Mi manca l'Italia, come mai avrei immaginato prima.
Ultimamente sto pensando di meno alla mia casa, quella che ho comprato, con, non uno, ma addirittura due balconi.
Se ci penso, provo una stretta.
L'ho chiusa, l'abbiamo chiusa insieme, il Bipede ed io, a Pasqua e da allora non siamo ancora tornati. Quella volta lì ho dovuto buttare tutte le piante residue ormai defunte, riuscendo (forse) a salvare solo l'ulivo che ho dato alla vicina.
Solo da pochi giorni ho comprato dei vasi nuovi qui. Il bipede mi ha regalato una piantina di lavanda per il nostro undicesimo anniversario di matrimonio.
Bisogna vivere e dare vita a quello che ci circonda.
Almeno, io ne ho bisogno.
Il giardino di fronte a me mi stimola molto.
Una mattina di inizio primavera, quando gli alberi erano ancora spogli, abbiamo avvistato un essere in movimento.
Batteva furiosamente con il suo becco contro la corteccia di uno degli alberi che ora mostra la stessa bella chioma che mi ha accolto lo scorso anno.
Era un picchio che stava preparando la sua tana.
Poi ne sono venuti altri e solo qualche settimana fa ho realizzato che i miei proprietari, che abitano al piano di sopra, hanno riempito appositamente per loro due diversi cilindri traforati, appesi poco sotto la mia finestra, riempiendoli di noci e altra frutta secca.
Ogni tanto si presentano in due: uno prende le noci dal tubo e l'altro, più piccino, aspetta di essere imboccato.
Queste scene da Super Quark sollevano lo spirito. Vederle con il Bipede ancora di più.
In questo lungo primo anno da espatriata, in verità non ancora finito, ho capito alcune cose.
Non mi piace stare da sola.
In verità l'ho sempre saputo, ma ne ho avuto la riprova in un momento piuttosto oscuro e scuro dello scorso inverno.
Voglio fare tesoro di ogni giorno che trascorrerò ancora qui, cercando di prendere il meglio di questo posto.
A cominciare dalla lingua.
Vorrei anche reimparare a rilassarmi per bene, cosa che qui, all'apparenza, mi pare sappiano fare meglio di noi italiani.
O sarà che quando non hai entrate certe, difficilmente ti rilassi per bene.
Però l'Italia è bella, molto bella.
Lavorando con italiani, certo, non ho perso i contatti soprattutto con l'informazione nazionale, ma ogni tanto mi sorprendo a fissare gli sfondi dietro i giornalisti che, magari, stanno raccontando qualche pessimo fatto di cronaca, un pezzetto di piazza, una collina fiorita e i gelsomini, uh, i gelsomini, dietro un intervistato.
Non penso tanto alla mia casa lontana, ma prima mi è venuta in mente la finestra di quella della mia stanza da ragazza. Le nuvole sopra la speculazione edilizia, i profumi diversi nell'aria.
Ho sognato di proporre a una ragazza di fare conversazione in entrambe le lingue. Le parlavo in tedesco, accidenti. Allora è vero che a un certo punto si sogna in altre lingue. Ma francamente in questo caso mi pare prematuro.
Poi mi sono successi due episodi carini comprandomi le scarpe e durante la spesa. Lì ho davvero parlato in tedesco e come nel sogno avevo il mio carrellino lilla, ma a differenza che nel sogno, sono tornata a casa contenta. E sollevata di non sapermi sola.
Ci sono anche i gatti, naturalmente. Loro mi pare si siano perfettamente ambientati. Saggezza felina.
Non so, insomma, come andrà a finire, se a un certo punto la nostalgia ci sovrasterà.
L'ultima cosa che credo di aver imparato è l'essere riuscita ad attaccarmi il più possibile al presente, come una cozza (ah, le cozze dell'Adriatico) con il suo scoglio (madonna che metafora).
Per il resto, mi è mancata la scrittura, mi mancano da morire i giornali italiani (incredibile), ma mi riferisco a quelli di carta, che qui non si trovano proprio, se non in pochi posti e con vari giorni di ritardo (gli austriaci ci cagano solo per la cucina, praticamente).
Insomma, sono una nostalgica signora di mezza età giunta in terra straniera forse per liberarmi del tutto delle illusioni adolescenziali.
Accettare il tempo che passa non è facile, ma come per quella cosa della cozza e lo scoglio, quando cominci a farlo, ti senti meglio.
E corri più forte.
Sorridendo anche un po'.