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martedì 13 ottobre 2020

Auf Wiedersehen, Italia


 

Lo ammetto. Me lo sentivo che stavolta non ce l'avrei fatta, ma evidentemente la vita ha in serbo per me nuove sorprese. Belle, coinvolgenti e concrete sorprese. Voglio crederlo ciecamente.

Sto parlando della preselezione del Concorso Rai, la seconda sostenuta negli ultimi cinque anni. La prima mi era andata meglio: ero riuscita a superarla, piazzandomi alla fine di quella lunga cavalcata 210ma sugli iniziali circa tremila partecipanti.

Stavolta concorrevo per le Marche, quindici erano i posti in palio su circa 270 vincitori da distribuire anche in altre regioni.

Come i partiti di quattro gatti che non riescono a superare la soglia di sbarramento alle elezioni, ecco, stavolta pure io sono stata segata. E il bello che ho anche capito perché, anche se fino a mezz'ora fa ho sperato nella classica botta di deretano imprevista.

Non ho risposto a dieci domande volutamente, perché la risposta sbagliata sarebbe stata valutata negativamente, mentre quella non data avrebbe avuto solo zero. Avevo fatto così anche l'altra volta, solo che l'altra volta, probabilmente, ne avevo tralasciate di meno. 

Che cosa mi ha fregato? La Storia dell'arte, la mia amatissima quanto sconosciuta Storia dell'Arte (due erano di una facilità sconcertante, ma in quel momento avevo il vuoto totale). E poi le altre, paradossali, sul contratto giornalistico 2013-2016.

Quando le ho lette, quasi non ci potevo credere. Mi era balenato il dubbio che me lo dovessi rileggere, ma ripassando per l'ennesima volta tutto il ripassabile, ho ritenuto - errando - che un contratto scaduto già da quattro anni non potesse essere una valida materia d'esame. E invece lo era e io sono una fessa.

Una cosa simile mi era successa all'esame di Diritto Privato all'università. Era il mio terzultimo esame, avevo aspettato a lungo prima di darlo, ma non volevo lasciarlo proprio alla fine per evitare di arenarmi a un passo dalla laurea.

Da brava studentessa avevo frequentato tutto l'inverno il seminario della prof, una specie di Cerbero in gonnella piena di capelli grigi. Facevo anche domande, esattamente come mi succede adesso al corso di tedesco. Ero così "fleißig", come si dice qui dei secchioni.

A ridosso della prova, mi capitano sott'occhio gli appunti su un argomento molto specifico (ricordarselo adesso, quasi trent'anni dopo, sarebbe inquietante) e io mi dico che no, non valeva la pena riguardarselo, figuriamoci se me lo chiedono.

E invece il grigiocerbero lo tira fuori. Ricordo bene le mie gambe irrigidite sotto la scrivania, e, non so perché, totalmente divaricate, in una posizione oserei dire ginecologica. Comincio a rispondere arrampicandomi sugli specchi, aiutandomi con la mia una volta proverbiale memoria fotografica.

Casco argenteo non abbocca, capisce che ce sto a provà e infatti mi fa osservare l'incompletezza delle mie argomentazioni.

E lì viene fuori lo spirito un filino polemico e paraculo che ogni tanto si affaccia sul mio faccino raggrinzito. "In effetti - oso dirle - l'argomento non era molto chiaro neanche durante il seminario".

L'occhialuta creatura dantesca si agita vagamente sulla sedia e ribatte: "Signorina, sia seria, non usi questi mezzucci da leguleio. L'ho vista a lezione, per cui le offro 23. Che fa, accetta?".

Ma certo che accetto. Vielen Dank, professoressa Rottemeier e a mai più rivederci.

Ecco. Se mi avessero dato la possibilità di parlare, avrei fatto notare il paradosso di chiederci qualcosa sul contratto che, diciamolo, è diventato come l'Eldorado per i cercatori di pepite. 

Però, obiettivamente, come l'argomento che non avevo ripassato all'epoca, ci stava qualche domanda sul mezzo con cui, bontà loro, i novanta colleghi cominceranno un domani il loro percorso professionale da Mamma Rai. Sperando, tra l'altro, che nel frattempo lo rinnovino. Finalmente. 

Un po' più paradossali le domande sulle Marche, più adatte - a ridaje il leguleio e i suoi tristi mezzucci - agli studenti di Beni Culturali che a noi (leggi: a me) eruditi a metà.

Insomma, non è andata.

Mi consola, parzialmente, vedere tra gli ammessi molti giovani, gente, intendo, nata tra il 1991 e i secondi anni Ottanta. 

A loro auguro lunghe e felici carriere, sperando che un domani si ricordino di noi vecchietti che abbiamo pagato l'iscrizione all'Ordine, i contributi all'Inpgi2 (e io per brevi, fortunati periodi anche all'Inpgi) per anni, confidando che un giorno il vento sarebbe girato.

E' già da tempo che non credo più che il giornalismo fosse davvero la mia strada. L'ho amato molto, moltissimo, tutte le volte che ho potuto scrivere anche una sola riga e persino in quest'ultimo mese, in cui mi è toccato rispolverare manuali e leggi professionali, come quasi vent'anni fa.

So bene però qual è il motivo che mi ha portato a Vienna e credo di aver fatto la scelta giusta, nonostante la delusione lavorativa iniziale.

E adesso che succederà?

Keine Ahnung. 

O meglio. Intanto finisco il corso di tedesco (apropos, come dicono qui: giovedì ho la simulazione dell'esame finale. Mortaccen, devo studiare).

Dopodiché (direi nel frattempo) continuerò a cercare un lavoro, come fanno tutti, come fa chi sa che, comunque andrà, andrà bene.

Punto e a capo. 

Auf Wiedersehen, Italia. 



mercoledì 21 ottobre 2015

#concorsonerai: riflessioni a margine e poi stop, si volta pagina

La sottoscritta nella foto del cv (e della carta d'identità), anno 2011


Riflessione a margine del #concorsonerai: dopo attento e ponderato ragionamento, sono giunta alla conclusione che l'elenco dei 100 eletti andasse reso pubblico. E pure quello dei non eletti, ma sì. Concordo cioè con quanti sostengono - Usigrai compresa - che la privacy di quei vincitori che vi hanno preso parte pur avendo un contratto a tempo indeterminato da qualche altra parte, in questa precisa circostanza, non c'entra proprio un accidente.

Se si fosse infatti trattato di una selezione privatistica o di autocandidature per altrui lidii (e scrivanie) assolutamente più che legittime (in un mondo normale tutti noi avremmo diritto di cambiare lavoro se e quando ci pare: in altri Paesi, pensate un po', succede ancora che ci si possa licenziare per farsi riassumere altrove), allora ok, la privacy aveva una sua ragion d'essere.

Essendo, invece, un concorso pubblico, allora no, diavolo, tutti noi, cittadini semplici compresi, abbiamo il diritto di sapere chi saranno i 100 nuovi eroi della tv di Stato.
Peraltro, la stessa logica della privacy era stata bellamente disattesa, almeno per qualche ora, con la diffusione sul web del gruppo dei 400 prodi (si fa per dire) di Bastia Umbra, la criticatissima sede della preselezione tenutasi l'1 luglio scorso.

Il mio nome (con relativa data di nascita e sesso, ci mancava solo lo stato civile. Lo aggiungo ora: sono femmina, coniugata, nata il 20 luglio del 1971) è circolato non so più per quanto tempo con gli altri 399 prima che qualcuno rimuovesse il file dalla Rete. 
Ho tra l'altro appena scoperto che la stessa cosa è successa a quello dei vincitori finali (cioè prima reso pubblico e linkabile, poi rimosso), quindi, in verità, chi voleva conoscere i nomi di tutti noi, promossi e bocciati, lo sa eccome. 
Pulcinella con i suoi segreti è proprio un dilettante.

Non voglio tuttavia che si pensi che stia solo rosicando (dopo due giorni e mezzo di lutto, ho capito che è l'ora di farla finita con l'auto-flagellazione). E ribadisco il mio sincero in bocca al lupo ai 100 eletti e a quelli che, eventualmente, dovessero essere via via inseriti).

Dico solo che i tempi in cui viviamo meriterebbero maggiore di trasparenza, a tutti i livelli.
E anche assunzioni di responsabilità.

Comincio io pubblicando i miei voti per esteso:
  • redazione e lettura di un testo giornalistico destinato alla TV: 20 punti (massimo 25 punti);
  • redazione e lettura di un testo giornalistico destinato alla radio: 21 punti (massimo 25 punti);
  • redazione di un “tweet” di 140 caratteri: 3 punti (massimo 5 punti);
  • improvvisazione in video su un tema di attualità: 6 punti (massimo 10 punti);
  • prova pratica volta alla verifica della capacità di utilizzo da parte dei candidati degli strumenti informatici utili all’elaborazione di contenuti audio e video: 3 punti (massimo 5 punti);
  • prova di valutazione della capacità di utilizzo del web: 3 punti (massimo 5 punti);
  • test e colloquio di valutazione della conoscenza della lingua inglese: 6.5 punti (massimo 10 punti);
  • test e colloquio conoscitivo e di orientamento, con valutazione anche del curriculum vitae presentato nel formato standard europeo: 3 punti (massimo 5 punti);
  • colloquio di valutazione della lingua diversa dalla lingua inglese, almeno ad un livello intermedio superiore: 0 punti (massimo 3 punti);
  • valutazione dei titoli: 7 punti (massimo 7 punti) così suddivisi:
    • Laurea Magistrale: 3 punti;
    • Voto di laurea superiore a 105: 1 punto;
    • Master e/o Scuole di specializzazione giornalistiche riconosciute dall’Ordine dei Giornalisti: 3 punti.
  • Punteggio totale: 72.5
Posizione in graduatoria: 210

Ho fatto schifo? Sicuramente sì rispetto ai cento in testa alla classifica.
Non è questo il punto, comunque (e in ogni caso il primo degli eletti ha circa 91, mentre il 100esimo circa 78. Insomma, è come se avessi presi 7- - in bella compagnia, tra l'altro).

Il punto è quello che sto cercando di mettere agli ultimi quindici anni di vita, consapevole (ve lo posso garantire) fino in fondo dei miei limiti, errori, responsabilità e sfighe. Ma anche dei miei meriti.
In cima a tutti, il fatto di essere una brava persona. Non dico onesta, perché sennò faccio la fine di quelli che, in nome dell'onestà, hanno fatto la peggiore delle fini (penso pure alla grottesca vicenda di Ignazio Marino).

Ogni tanto mi incazzo (e pure tanto), l'ho scritto pure nel mio profilo senza usare il francesismo, ma su di me si può sempre fare affidamento.
Quindi?
Quindi nulla.
La vita è breve e, ovviamente, andrò avanti.

Concludo con poche parole sulla scomparsa di Maria Grazia Capulli, un famosissimo volto del tg2, di origine marchigiana, bella di una bellezza che purtroppo non ha fatto in tempo a invecchiare (aveva 55 anni, pensavo fossimo coetanee, anzi, che fosse pure più giovane di me).
Se n'è andata stamattina: l'ho scoperto compulsando pigramente Facebook. Stavo stirando, il Ruggito del coniglio era finito e mi sentivo il morale a terra.
Paradossalmente, leggere della sua prematura morte, mi ha dato ancora di più la misura di quanto questa storia del concorso sia piccola cosa.

Spero per lei che abbia vissuto intensamente ogni singolo istante dei suoi anni.
Con tutta la mia confusione personale e professionale, è quello che cerco di fare ogni giorno.
La vita è più importante di tutto. Ed è - accidenti se lo è - irripetibile ben più di qualsiasi contrattino giornalistico.

lunedì 19 ottobre 2015

#concorsonerai, fuori dagli eletti. Con onore



Vi assicuro, non sono depressa. Incazzata, forse, un pochino sì. Di tutto mi rode di più questa cosa: non essere riuscita a entrare nel gruppo dei 100 giornalisti professionisti che varcheranno i tornelli di Saxa Rubra (e di svariate sedi regionali Rai a partire da Aosta, Cosenza, Campobasso e qualche altra che non ricordo) mi costringerà a fare come sempre. E cioè, mai una cena fuori, pochi film al cinema, pochissimi acquisti (alla crema antirughe, però, non posso rinunciare e nemmeno alla palestra: il crollo è dietro l'angolo e le delusioni di certo non aiutano).

Minchia che vita sfigata. Fortuna che abito sul mare e che, tutto sommato, intorno a me non vedo girare molta gente con i soldi, ma davvero, quello stipendiuccio mensile, pure solo per qualche mese ogni tot, non mi avrebbe fatto schifo.
Invece ciccia, si andrà avanti così. Ho da scoprire ancora molto sulla cura delle piante da balcone (da interno no: sennò la grigia ce le fa fuori tutte. Mortacci suoi).

Ma torniamo un attimo indietro al giorno in cui avevo saputo di aver superato la prima fase del concorsone Rai, era inizio luglio, la pelle non ancora rinsecchita dal sole.
Che botta in positivo per l'autostima, accidenti. E che senso di rivalsa sapere di essere andata lì a farmi largo con il mio metro e cinquantadue tra 2.800 persone, con sole due settimane di preparazione rappezzata alla bell' e meglio, dopo mesi in cui leggiucchiavo pochissimo i giornali, assai ben più attratta com'ero (e come tornerò ben presto ad essere) da libri in lingua inglese (mo' ci metto pure il tedesco, tiè), corsette sul mare e svariati impegni familiari (trasloco compreso).

Da quel momento in poi, però, tutto è cambiato. Ho, per l'appunto, realizzato che mi si dava l'occasione, probabilmente irripetibile, di tornare a fare il lavoro che mi ero scelta quindici anni prima, da una posizione un po' meno marginale di quella che ho avuto negli ultimi dieci, mese/anno più o meno.

Risistemandomi il curriculum, oggetto di valutazione (ho appena visto che ha preso un bel 3 su 5 punti) tra gli altri elementi che hanno contribuito a formare la graduatoria finale, ho riletto la mia vita professionale sotto una luce diversa.
Ho fatto un sacco di cose, accidenti. Anche quelle apparentemente meno importanti, come la partecipazione al laboratorio dei pazienti psichiatrici della Comunità di San Girolamo di Fermo, in qualità di volontaria (o aspirante ospite? Scherzo, of course) è stata gratificante e, direi proprio, formativa.

Ho strappato il posto 210 su 400 in graduatoria (accanto ad altri colleghi - ancora per poco - tra cui un paio di donne simpatiche incontrate il giorno del concorso e su facebook), il che, considerati i punteggi che ho riportato nelle singole prove, mi consola parecchio. Studiare a qualcosa è servito, per la precisione a ottenere sette punti su sette quanto a titoli. Però, per me, la lode doveva dare un punto in più (e che diamine), tanto, comunque, non mi avrebbe permesso di entrare in Rai.

E insomma, più scrivo più mi sento sollevata.
Prendere 21 punti su 25 nella prova di radio, per dire, non è poco, considerato che le mie esperienze in materia risalivano al mitizzato stage al gr Rai all'inizio del mio viaggio nel giornalismo (e a poco altro qualche anno dopo, ora che ci penso, con un mio carissimo amico dell'Ifg di Milano, uno che ha saggiamente lasciato perdere il giornalismo diversi anni fa, quando la crisi non era ancora deflagrata).
Mi rode un cicinìn non avere preso manco un punto in tedesco, ma del resto non lo praticavo da tempo immemorabile e solo adesso (nur jetzt!!) comincio a ri-raccapezzarci qualcosa, dopo un'estate di studio matto e disperato (wie schwer ist Deutsch!!).

In inglese me la sono cavata benino (meno di come pensavo, francamente: 6,5/10), ma, ripeto, pure lì, sono sicura che se avessi preso il massimo, sarei stata fuori lo stesso.
A questo punto, spero (francamente, ardentemente) solo che i 100 ammessi siano davvero i migliori.
Lo spero con tutto il cuore perché ho trovato davvero squallido il polemicone sollevato da alcuni di quelli che non hanno superato la prima fase. E poi perché, davvero, di gente brava, motivata e dotata di grinta e di pazienza ce n'è davvero bisogno, in Rai come in altri posti.

Posti, sia chiaro, nei quali non ci si sieda e basta, bensì dotati di sedie con molle molto elastiche in maniera da essere catapultati rapidi nel mondo, per raccontarlo nei modi più rigorosi e originali possibili.
Se i cento entrati alla prima botta (smentisco tutti quelli che dicono che tanto la Rai non li chiamerà mai: non è così, rassegnatevi. LORO lavoreranno presto all'ombra dei cavalli della tv di Stato) saranno in grado di stupire pure me, che me ne starò dall'altra parte dello schermo come al solito, beh, allora vorrà dire che sono dove devono essere.

Da parte mia, continuerò ad ascoltare soprattutto la radio, in attesa di qualche voce nuova che sappia parlarmi con il giusto accento (detesto i conduttori troppo aggressivi, ma pure quelli dalle spiccate cadenze regionali). E se poi nasceranno le newsroom (pare che i tg rai vadano verso un paio al massimo di mega-redazioni), se un sacco di gente con stipendi che personalmente non ho mai sperato di avere, nel frattempo lascerà spazio a qualcun altro oltre il limite dei primi 100 che hanno passato con me l'estate a sperare (preparandosi per bene) in un cambiamento di quelli che davvero ti ribaltano la vita, beh, meglio così.

Dubito, in ogni caso, che lo squarcio nel filo spinato degli eletti si allarghi fino alla zona della classifica nella quale mi sono fermata io: o, se lo faranno, potrebbe, magari succedere tra due-tre anni, ossia il tempo massimo di durata della graduatoria dei 400 aspiranti e non (più).

Io, comunque, non posso permettermi di aspettare tempi così lunghi: nessuno può farlo (potremmo morire per colpa delle emissioni truccate della VW domani mattina), ma tanto meno una che non vede un euro di entrata da mo'.

Quindi adesso che succede?
Non ne ho idea. Come ebbe a dire l'ex sindaco di Fermo (non dico quale) a qualcuno che gli chiedeva forse di piazzargli un nipote: "Checcosa farò".

Per forza.
Grazie, amici, e scusatemi per la lunga assenza.
Tornerò (credo) a essere più assidua.
Scrivere fa parte di me, non c'è niente che possa cambiare questo dato di fatto.

Bis bald (a presto).

giovedì 2 luglio 2015

Mondo operaio, la vera cronaca del trasloco più lungo della storia



E niente, da quando vi ho promesso che mi sarei di nuovo fatta viva con la seconda puntata di Mondo operaio, sono successe talmente tante altre cose che, davvero, se non la scrivo subito, non la scrivo più.

Torniamo a quel lontano (issimo) giorno di fine maggio. Il 29 maggio, per essere precisi. Svegli dall'alba, noi bipedi (e inconsapevolmente i quadrupedi) immaginavamo che la giornata incipiente sarebbe stata lunga. Non potevamo tuttavia sapere quanto.

Partiti gatti e marito, mi sono messa in attesa abbastanza zen dei traslocatori. Ci avevano assicurato che sarebbero arrivati alle otto in punto. Si presentano mezz'ora dopo, ma comunque mi avvisano e io, tra me, democratica come sono, mi dico: "e vabbè, un ritardo ci può stare. Sono tanto giovani. Ieri sera forse hanno fatto tardi".

Salgono e cominciano a lavorare all'apparenza con grande alacrità. No, l'alacrità è autentica, ma nel mio animo liberal fanno capolino i primi dubbi. "Ce la faranno a portare tutto entro le 16, termine massimo per l'occupazione del suolo pubblico, da me salatamente pagata?".

No, perché, a naso, continuo a rimuginare, a che cosa serve ammucchiare tutti i pacchi davanti al portone, nemmeno se stessimo allestendo una bancarella da rigattiere, se prima non smonti i mobili?

Diverse ore dopo avremmo avuto risposta al mio, in quel momento, affiorante quesito.

Ed era: certo che avrebbero dovuto innanzitutto smontare e rimontare i mobili e solo in un secondo momento occuparsi di pacchi e valigie.

Imbufalita come un leghista (si cambia facilmente ideologia quando si è sfiniti), ho ancora fissa nella memoria l'immagine di me stessa che sposta pacchi da una stanza alle altre della casa nuova, per fare spazio ai nuovi che i collaboratori del giovane capo azienda continuavano a portare di sopra.

"Signora, lei deve seguire me: dove vanno queste cose?". Mi dice a un certo punto uno dei facchini (perché di questo stiamo parlando. Detto, naturalmente, con il massimo rispetto per la categoria: il problema è che a noi non servivano dei facchini, ma degli operai specializzati in traslochi).

Furibonda, gli borbotto, spostando a mia volta tre-quattro borse alla volta, "di qua, di là", e via discorrendo.
Resosi conto del mio stato d'animo, forse per tentare di rabbonirmi il suddetto facchino commette però un gravissimo errore: prova a fare lo spiritoso.

"E se avevate figli quanti pacchi avevate?". Non reagisco. Ma lui, dopo poco: "Fai la professoressa, signora? Vedo che hai tanti libri". Mia risposta: "No". Secca come una delle mie piante tra breve.
Più avanti: "Ma ve c'entra tutta sssa roba? Pare tando piccola ssa casa".
Sento che dalle narici mi esce qualcosa, del genere fumo sulfureo: "Veramente sono ottanta metri più quindici di soffitta", acida come gli yogurt 0,1.

Finito il "passamano", anzi, lu passamà, come definiscono il passaggio di mano in mano degli scatoloni lungo le scale della palazzina nella quale viviamo dall'altro ieri ufficialmente pure per i vigili urbani, si pone il problema di come (e quando, visto che nel frattempo si sono fatte le dieci di sera) montare la cucina.

Perché, fino a quel momento, l'unico ambiente che i nostri eroi sono riusciti, pezzo più pezzo meno, a riprodurre è la camera da letto. Circondata, anzi, sommersa, dai pacchi che ho dovuto spostare dall'ingresso per far spazio alla varia mobilia pressoché tutta smontata.

Ve la faccio breve.
In questo modo.
Vrrrrrrrr... (suono del trapano, ndr, ripetuto anche più avanti), non gebbbocca ("non ci entra"), vrrrrrrrr.... non iiira ("non gira"), vrrrrrrr, nongebocca, non forzà.

Nei giorni seguenti il bipede è andato avanti con questa litania in vernacolo shtrittu shtrittu svariate volte al giorno. Impossibile scordarlo.
Non sapevo che esistesse la sordina per il trapano, comunque. L'ho scoperto quando, verso le 23.30 circa, il gruppo residuo della provetta squadra ha cercato, effettivamente con sforzo sovrumano, di terminare il lavoro della cucina.

Ce l'hanno fatta, secondo voi? Ma quando mai.
Sporca, tesa, pronta pressoché alla jihad anti-operaista, io comunque, per evitare di scagliare la fatwa su qualcuno, a un certo punto ho rifatto il letto tirando fuori lenzuola e coperte dalla valigia, che mi ero prudentemente preparata all'inizio dell'infinita giornata, e me ne sono andata a dormire.

Per tutto il giorno, peraltro, il marito, in genere polemico e puntuto, si era quasi arrabbiato con me nel vedermi a mia volta polemica e puntuta. A un certo punto, anzi, abbiamo pure un pochino discusso. "Ma insomma, dovevano pur mangiare!". Ma certo, ma figuriamoci. Non sia mai che mi svengano sulle scale (rallentando ulteriormente il lavoro), ma, forse, dico forse, una pausa pranzo di due ore circa è un po' troppo. O no?

Alle 15, infatti, quando tornano a Fermo dove ero rimasta in solitaria attesa da mezzogiorno in poi, praticamente me li sono mangiati (anche perché, al contrario loro, io ero quasi a stomaco vuoto).
Nell'attesa, naturalmente, avevo portato parecchie delle nostre cianfrusaglie sempre nell'androne del gentilizio palazzo fermano, mutatosi del tutto in un bazaar, con il risultato di procurarmi pure una infiammazione al ginocchio sinistro e varie vesciche ai piedi (le all stars sono le scarpe più anti-anatomiche del mondo).

Ma pazienza: sono una che sfacchina (la prossima volta mi faccio ingaggiare da loro, per la precisione voglio lavorare ai comandi di quello che s'impicciava dei fatti miei di cui sopra. Così se lo ammazzo è per legittima difesa).

Il giorno dopo, oltretutto, l'incazzatura mi era già passata.

Sapete chi nel frattempo è diventato nero nero? Il nostro Bipede, of course.
L'ira (iiirante come le balle) gli è scattata quando si è accorto di come avevano rimontato la cucina: cappa e fornelli da una parte, il forno dall'altra.

Non ci ha visto più.
Alle otto (eravamo svegli, facendoci largo tra i cartoni, tipo dalle sei) ha chiamato il capo-banda e gli ha fatto una lavata di testa che riesco solo a immaginare.
Sì, perché ha preferito uscire ben sapendo che sennò mi sarei ri-imbufalita nuovamente.

Il trasloco, sulla carta "fattibilissimo" (cit), alla fine è durato cinque giorni, intervallati, peraltro, da altre piccole disavventure, tipo il tubo della lavatrice attaccato male (leggi: non attaccato), del quale mi sono tristemente accorta solo quando, ovvio, avevo mandato un lavaggio a pieno carico.

Il buco in più nel bagno, che sta ancora lì, quando tentavano di montare (vrrrrrr....) i pensili della cucina.

Non torno sul capitolo elettricisti, ma giorno dopo giorno, ho notato che, ok le canaline, ma qualche presa in più me la potevano pure mettere.

E insomma.
La mia cronaca forse poteva essere più leggera di come non l'abbia buttata giù.
Ma sono ancora piuttosto stanca. E stavolta la casa non c'entra.

O meglio: c'entra, perché comprarla mi ha spinta a ritirare fuori il mio (scarso) super-ego, ossia a partecipare alla preselezione del concorso Rai, ribattezzato dai colleghi #ilconcorsone (c'era pure una domanda su che cosa sia l'hashtag, il che, tutto sommato, ha pure un senso).

Sono combattuta se scriverci su qualcosa. Se lo facessi adesso, sarebbe di una cupezza sconfortante, quindi lascio correre. Vi linko giusto Luca Fazzo, infiltrato (per sua fortuna) per il Giornale.

Vi dico solo che, come il trasloco, che ormai mi sembra già un ricordo lontanissimo, pure l'esperienza umbra sarà presto un ricordo.

E d'altronde: vrrrrrrrr, 2.800 candidati per 100 posti a tempo determinato?
Nongebboccano.

martedì 20 gennaio 2015

Le radici e il clan allenato alla pazienza


Spero proprio che mio zio Gigi non se ne abbia a male (mio padre, ormai, è diventato una star di questo blog), ma oggi desideravo proprio questo ennesimo amarcord.
La fotografia che pubblico stavolta era tra le centinaia conservate da mia mamma nel suo armadio stracolmo di oggetti disparati, come quasi tutti i mobili della casa parentale.

In questo momento vi stanno rovistando dentro mio padre e la sua zia-sorella, una persona dotata di una simpatia straordinaria, che negli ultimi anni si era molto affezionata alla sua nipote-sorella acquisita. Con la sua meravigliosa r moscia, ci stritola (non solo metaforicamente) e ci dice di amarci tutti. E' così bello sentirsi dire "ti amo" da lei, ti viene naturale ridirglielo ridendo, sì, ma con sincera convinzione.

E insomma. Eravamo a Francavilla Beach, se non vado errata qui avevo 29 anni: se ho ragione, ero giusto a metà della scuola di giornalismo. E doveva essere già fine estate. Perché durante l'estate facevo gli stage, quindi è improbabile che potessi essere in vacanza che so, a metà luglio.

Mio padre, che oggi ha detto di non aver mai amato il mare, esibisce una bella abbronzatura. Idem mia sorella. Credo (ma non ne ho la certezza) che la foto sia stata scattata dalla mamma, ed è in ogni caso evidente che siamo tutti molto rilassati.

Amo (come direbbe la zia-sorella-prozia-zia) il senso di pace che più o meno ha sempre regnato nella nostra famiglia. Nel tempo ho imparato ad affrontare atmosfere diciamo così più concitate e a discutere pure piuttosto aspramente, quando necessario.
Però i dialoghi difficili, i fraintendimenti e gli accapigliamenti mi affaticano assai.

E' così piacevole, invece, essere compresi al volo, fare battute intellegibili per chi ascolta e pure servirsi naturalmente di un linguaggio non verbale consolidato.
Del resto, siamo abbastanza clanici, se posso usare questa specie di neologismo, e infatti chi prova a entrare nella nostra famiglia allargata non sempre si sente subito a suo agio. Anche perché l'ospitalità meridionale può creare ancora più imbarazzo. "Mangia, mangia, prendine ancora, hai mangiato? perché non ne prendi ancora?", etc etc. E l'ospite di turno non sempre se la sa cavare.

Il tipo nero con cappellino si chiama Rai, Ibrahim per la precisione. Ai tempi era un giunco, oggi ha messo su una bella pancia di benessere; anno dopo anno abbiamo continuato a incontrarci sulla stessa spiaggia.
Gli ho mandato una copia della foto qualche mese fa direttamente in Senegal. Non ho idea se l'abbia ricevuta, ma ci tenevo tanto che la avesse anche lui.
Rai è rimasto molto colpito dal nostro lutto: "e la mamma?", ci ha chiesto pure la scorsa estate come fa sempre ogni anno.
Non riusciva a crederci. Aveva capito che tipo era, che tipi siamo.
Da buon commerciante già da tempo aveva rinunciato a venderci le sue borse taroccate, ma quando ha potuto ci ha portato collane e vestiti. E noi l'abbiamo accolto nel clan. Ufficialmente. E' pure venuto a vedere i piccini quando erano neonati.

Adesso i nipoti lo salutano e ci scherzano, il piccolo lo chiama Rai Uno.
Ricordo benissimo la prima volta che l'abbiamo incontrato: mia mamma amava fare acquisti sotto l'ombrellone. La nostra casa di Francavilla è ancora zeppa di animali di legno: li prendeva da un altro venditore, anche lui non poteva crederci che quella cliente tanto brava non ci fosse più.

Mi è capitato di rivedere questa fotografia e svariate altre perché ne stavo cercando una della sottoscritta per un lavoro che forse dovrò fare.
Non riesco ancora, in certi momenti, a capacitarmi che la mia mamma sia da un'altra parte.
In certi istanti la sento qui con me, in altri, semplicemente, mi sembra di non avere più passato.

Quella ragazza sorridente con il costume rosa mi sembra così diversa dalla donna di quasi 44 anni di oggi (a proposito: oggi è il mio mezzo compleanno. Ne ho parlato un paio di anni fa del significato di questo giorno per la matta che sono).

Dovevo appena aver bevuto una granita. Allora era assai caldo, perché non mi sembra di aver mai amato in modo particolare le granite. Mi piacevano i gelati confezionati (mi piacciono pure ora, veramente), e se potevo, ne mangiavo uno dopo il bagno del pomeriggio, come fanno adesso i nipoti.

A loro lo prendeva sempre la nonna: era anzi il loro appuntamento del pomeriggio. Sono stati proprio i bambini a farmi conoscere il cornetto sbagliato, una vera sciccheria.

Manca troppo mia mamma, manca a tutti noi, per poterne ancora parlare come di qualcuno che non c'è più.
Oggi ho messo i suoi pantaloni e i suoi orecchini. E l'ho cercata nello specchio guardandomi fisso negli occhi.
Un giorno, non adesso, la riascolterò mentre recita una poesia di Leopardi in una registrazione che ho fatto partire dal mio pc quando eravamo su skype quasi presagendo quel che sarebbe successo di lì a poco.
Leopardi è intriso di questa terra in cui vivo ormai da più di dieci anni. Una terra affascinante e segreta, con me, ahimè, non troppo clanica, mai abbastanza familiare, comunque.

Vorrei imparare a conoscerla davvero, spero di averne ancora la possibilità.
Sono grata ai miei per avermi insegnato a non arrendermi. A mia mamma in particolare per aver creduto sempre in me.
Se resisto, se sogno ancora, è per via delle salde radici di quel clan allenato alla pazienza che vedete sopra.

Posso solo dire, di nuovo, grazie.
E correre in palestra!

giovedì 22 marzo 2012

Fisica o chimica/5: un passo avanti e tre indietro...



Come previsto, la vicenda di Fisica o chimica è finita a tarallucci e vino. Come hanno risolto il problema della scabrosità dei temi affrontati nel porno-telefilm? Spostandolo dalle 13.45 circa alle 14.15 ancora più trattabili e, udite udite, tornando indietro alle puntate in cui compare Quino, forse per dare la possibilità a Lorenza Lei e alla gerarchia cattolica di vedere come viene trattato un giovincello sposato con Maria Vergine fino al futuro (per me già passato, visto che l'hanno già mandato in onda) sodalizio con la seduttrice Alma (in alto, nella foto), una novella Eva con stivaletti borchiati.
Alla fine, insomma, ce l'hanno fatta a costringermi a uno stravolgimento delle mie abitudini quotidiane. Sempre ammesso che, prima o poi, si ricongiungano con le puntate che non abbiamo ancora visto, intendo io e gli altri (ma quanti saremo? Secondo me pochissimi, Borgonovo compreso) pruriginosi telespettatori che fino a lunedì scorso si radunavano davanti alla tv per guardare il piccolo telefilm (Feltri, dando il più che giustificato Bamba a Freccero, l'ha però chiamato genericamente programma, dimostrando di non sapere minimamente che roba fosse, come quasi tutti i protagonisti di questa surreale e minima guerra di religione sul servizio pubblico che non c'è).
Tant'è: domenica cambia l'ora, l'aria dovrebbe presto farsi anche più calda. Chi ha bisogno di Fisica o chimica per distrarsi, soprattutto in un posto di mare come quello in cui ho la fortuna di abitare?
Vorrà dire che me ne andrò a leggere il giornale o ad ascoltare la musica al sole, alla faccia della crisi e di tutte le ansie della quotidianità.
Però voglio ancora una volta dire grazie alla nostra consorella Spagna per aver dato voce all'adolescenza e alla prima età adulta strizzando, certamente, l'occhio a ormoni e sponsor, ma illuminandola anche di una freschezza del tutto sconosciuta alla maggioranza delle trasmissioni (telefilm, talk, show etc etc) di casa nostra, che vadano o non vadano in onda sulla Rai.
Un segno dei tempi? Meglio non dirlo. Sennò lo spread rischizza alle stelle. 

lunedì 19 marzo 2012

Fisica o chimica/4: ma c'è ancora!


Insomma: mi sono presa un'arrabbiatura per niente.
Oggi Fisica o chimica è andato in onda come al solito, così ho potuto constatare che né Teresa (in alto, nella foto) né tanto meno il ragazzo-padre che l'ha cresciuta dopo la fuga di Olivia, oggi prof e conduttrice di un ménage a trois, sono stati contenti di quest'ultimo. La puntata di oggi, per l'appunto, si è conclusa con un sms del suddetto ragazzo-padre alla originale genitrice in cui le comunica che le impedirà per sempre di vedere la figlia. Ma il per sempre, ormai l'ho capito, durerà fino a domani. Salvo che, nel frattempo, la nemesi annunciata da Porro-Telese e compagnia sabato scorso non si abbatta sul telefilm del (mio) dopo-pranzo relegandolo a orari più consoni secondo Santa Romana Chiesa.
Insomma, oggi ho potuto, come al solito sorridere e piagnucolare davanti alla nascita del bimbo di Paula e Gorka e alla dichiarazione d'amore indù di Cabano alla bella Ruth a poche ore dalla partenza per l'Inghilterra, paese in cui andrà a giocare a pallone (!). Non ho ancora ben capito come si giustifichino certi arditi salti temporali, però anche questo è funzionale al relax che mi attendo nell'oretta e un quarto di visione.
Chicca finale: oggi hanno fatto cantare un po' tutti, dall'attrice che interpreta Paula, che in realtà è una piccola (è alta a occhio come me: la rivincita delle tappe, finalmente) cantante a Marina, la prof di filosofia malata (udite, udite) di Hiv.
Se finirà tutto a tarallucci e vino (parlo del caso "pornorai" sollevato da Borgonovo e rilanciato dall'improvvido Freccero), scoprirò finalmente se Cova, rediviva, si è rimessa con Julio e perché Fer, nel frattempo, è finito sulla sedia a rotelle (in rete circola una versione lenta della sigla sulla sequenza finale della serie, in cui i personaggi superstiti guardano tristemente l'edificio dello Zurbaran dall'esterno: chissà perché).
Per il momento, mi limito a sperare che la Lei o chi per lei (ma che bel gioco di parole, mi faccio i complimenti da sola) si dimentichino dell'inutile polemica e mi facciano spassare ancora po'. Anche perché il presente (il mio, ma anche quello di molti italiani: ieri ho visto l'ultima puntata della stagione di Presa diretta... no comment) non è che sia proprio eccezionale.
Vi terrò (chi?) aggiornati.
Nell'attesa, beccatevi (in basso) il video con la sigla lenta del telefilm (e piangete con me... come diceva Moretti, mi faccio tristezza a me figuriamoci agli altri...):


sabato 17 marzo 2012

Fisica o chimica/3 e la (ridicola) censura di un Paese che non sa più sognare


Sono esterrefatta: per puro caso, ho guardato durante la cena "In onda", un programma ad alta boriosità giornalistica, ancora più evidente da quando non c'è più la bionda tornata da poco in tv in un altro talk show dal quale, naturalmente, mi tengo a debita distanza (mio marito, facendo zapping, ha fatto in tempo a beccarsi un cornacchione svolazzante durante una discussione sulla giustizia; l'infontainment ha scassato le balle già da mò, ma in Italia siamo indietro su tutto, quindi avanti cornacchione. Fino a al prossimo flop).
Così facendo, ho scoperto che Fisica o chimica, il mio telefilm per adolescenti preferito, la mia distrazione quotidiana che in questi ultimi mesi mi ha aiutato a dimenticare per circa un'ora in che merda di paese viviamo, è stato spostato in seconda serata. Non riuscivo a crederci, ed è così che ho ingurgitato un bicchiere in più di frizzantino, nemmeno se fossi stata risucchiata in una vera tragedia.
Il bello è che non sono per niente d'accordo neanche con Carlo Freccero, il vero responsabile dello spostamento del telefilm, ben più dell'articolo dell'educando Francesco Borgonovo di Libero, sguinzagliato forse appositamente dal suo giornale per mettere in croce l'effettivamente debole servizio pubblico nazionale. Borgonovo, com'è giusto che sia, può pensarla come gli pare, anche se, obiettivamente, titolare "pornorai" prendendo spunto da Fisica o chimica è veramente ridicolo. In un paese normale, d'altra parte, sarebbe finito per l'appunto a risate: andiamo, su, non si vede un capezzolo manco per sbaglio né altre appendici ancora più evidenti. Sarà che ho quasi 41 anni (e che dovrei vergognarmi proprio per questo motivo di avere sviluppato una così insana passione per il suddetto telefilm), ma il porno è altro, la volgarità è altra e si vede abitualmente su tutti i canali, rai, mediaset o la7 e loro repliche digitali annesse. Basti pensare ai telefilm violenti, necrofili, o alle ancora più raccapriccianti trasmissioni-verità (non parliamo delle fiction made in Italy, quasi tutte recitate in modo penoso, come ho già avuto modo di sottolineare, una vera offesa al gusto, assai più di un bmovie degli anni Ottanta).
Ma insomma: c'era bisogno di minacciare di mandare i forconi sotto la redazione dei finti (furbeschi) bigotti? C'era davvero così tanta necessità di gridare alla censura per un articolo di un cronista noto solo ai lettori del suo giornale? Perché cadere in un tranello così idiota? Forse c'è dell'altro che noi comuni cittadini (e telespettatori) non vediamo? Forse, Freccero, ti stavano per fare le scarpe comunque, dal momento che le creature che tu hai sponsorizzato e fatto crescere (Santoro, Dandini, Guzzanti etc etc) sono tutte emigrate verso altri canali? E' questa la ragione del tuo sbroccamento veramente fuori dalle righe oppure stavi cercando un pretesto per andartene via prima che la barca "Rai di qualità" affondi del tutto?
Che poi, se ho capito bene, Fisica o Chimica non era affatto in fascia protetta, che comincia alle 16, né lo era al mattino, prima collocazione, già contestata in passato per analoghi motivi di turbamento della morale dei nostri figli (io non ne ho, ma potrei averne e poi si sa i giornalisti parlano spesso di quello che non conoscono: come facevano Porro-Telese and co che non hanno visto neanche una puntata di Fisica o Chimica. Borgonovo, invece, si ricordava solo di Quino, messo in croce per il suo voto di castità pre-matrimoniale, dimenticando che, qualche puntata dopo, il voto lo rompe eccome con Alma, che poi abbandona per inseguire il suo sogno di diventare una pop-star. Alla faccia della coerenza, eh, Borgonovo?).
Tant'è. Ce l'hanno fatta. Adesso mi toccherà scaricarmelo da internet e guardarmelo quando capita; ma già so che non sarà la stessa cosa. Sono all'antica, io, a me non piace starmene rigida su una sedia a compulsare lo schermo del pc anche per rilassarmi un'oretta.
Vorrei però concludere con una notazione proprio su quel che ho visto in questi mesi.
Ho visto dei ragazzi e delle ragazze con vestiti e trucchi colorati (tutti sponsorizzati in maniera più che sfacciata: semmai su questo ci sarebbe stato da dire qualcosa...), dotati di una certa predisposizione alla recitazione (Gorka è BRAVISSIMO, per esempio), calarsi nei panni di analoghi adolescenti forse un po' svogliati ma con una grande energia vitale. Quest'ultima, certo, era riposta principalmente nel sesso, nell'amore o nel banale ormone reso pazzo dall'età adulta incombente. Il tutto, però, quasi sempre in un'atmosfera leggera ma non superficiale che sì, poteva, può, educare a riflettere sulla diversità.
Personalmente, per dire, sono rimasta un po' disorientata dalla tesi del rapporto a tre proposto da Veronica, la nuova prof di letteratura che vedete in alto nella foto. La tipa, peraltro, è diventata madre a sedici anni di Teresa, una ragazzina che conosce solo nel momento in cui si trasferisce al Colegio Zurbaran, abbandonata ancora in fasce per la sua paura di prendersi una responsabilità che ai tempi considerava troppo grande.
Nell'anticipazione che mandano in onda dopo la sigla di coda, si vede che Veronica ha intenzione di parlare alla figlia della sua visione dell'amore e della coppia.
Io, per esempio, non sono d'accordo con quest'ultima (un pizzico mi sono pure scandalizzata), ma non per questo avrei mai scritto alla Rai per chiedere di spostare il programma. Direi anzi che mi incuriosisce assai vedere come andrà a finire, perché, peraltro, cose del genere succedevano davvero in Europa tra fine anni Sessanta e Settanta (The Dreamers di Bertolucci non parla di cose del genere? E lì le scene sono MOLTO più esplicite che nel contestato telefilm).
Insomma, non tutto quello che mostrano nel telefilm rispecchia il mio modo di vivere né di vedere il mondo, ma che meraviglioso arricchimento (e che divertimento per la bizzarria di alcune situazioni descritte) confrontarsi con altre realtà e che relax (e commozione, in certi istanti) in quell'oretta a spasso nei corridoi dello Zurbaran e nel cortile della scuola.
Adesso, niente, mi toccherà modificare le mie abitudini, spezzettando, forse, la visione del telefilm nell'arco di più giornate. Che tristezza. Che tristezza la polemica e la decisione di quella rigida donna a capo di viale Mazzini, più cattiva della Fornero.
Sembra proprio che questo paese mi stia spingendo alla fuga, ogni giorno di più.
Anzi, magari faccio così: finalmente me lo guardo direttamente in Espanol, così comincio ad allenarmi a esprimermi nella lingua di un paese che non ha smesso di sognare (ritorno della tauromachia a parte: anche in Spagna l'oscurantismo non è stato del tutto battuto, del resto non è mica l'Eldorado).
Solo chi sogna, chi si illude almeno un po', infatti, è ancora in grado di concepire strategie salva-Pil più forti di tutte le paccate di riforme per ora, da noi, per lo più solo annunciate.
Hasta suerte, amigos.