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sabato 20 marzo 2021

Stop scrauso, un round dopo l'altro, fino alla vittoria finale

 


Ci siamo portati dietro dalla casa di Fermo questa lavagnetta. Non ricordo più dove l'avevamo comprata. Forse nel negozio di casalinghi economici dove siamo tornati qualche giorno fa.

Pensavo, pensavamo tutti e due, che l'avessero chiuso. Sono anni che tappezzano la grande vetrina dell'ingresso con avvisi di svendite finali. Accorrete, gente, diamo tutto via a meno di niente.

E invece no. Era ancora là, con quegli articoli mezzo cinesi mezzo sovietici, tra i quali ogni tanto si nasconde qualche perla preziosa.

La lavagnetta era comprensiva di gessetti. Di questi, nell'appartamento marino, il nostro amato appartamento marino, non c'era più traccia.

Scomparso anche l'orologio a muro della cucina, comprato, questo sì, in un negozio di casalinghi più grazioso, pieno anch'esso, naturalmente, di articoli economici, ma almeno dal design più accattivante.

Molto probabilmente gessetti & orologio sono volati via verso qualche altra abitazione oppure, molto semplicemente, sono finiti nella spazzatura. 

Mi domando però che persone abbiano, davvero, vissuto a casa nostra. Chissà che cosa passava per la testa del bambino che ha scritto i nomi di tutti i membri della famiglia con uno dei gessetti svaniti nel nulla. Chissà da quando era lì, quella scritta, se addirittura da febbraio dell'anno scorso, quando sono entrati, felici, credo, almeno all'inizio, di aver trovato un nuovo alloggio.

Nel tempo, le cose devono essere peggiorate, e pure parecchio. L'unico a non aver troppo risentito della crisi portata dal Covid, è stato, credo, il cane, un pitbull pare. Chissà quanto si deve essere divertito a grattare una delle porte, da entrambi i lati, poi. 

E dire che i precedenti proprietari ci tenevano assai, a quelle porte: ricordo con quale orgoglio il vecchio postino, famoso in tutta la piccola cittadina adriatica, me le aveva mostrate, con quei vetri smerigliati e le decorazioni in rilievo colorate. 

Ho fatto del mio meglio per pulirle. In generale, ho fatto del mio meglio per ridare alla casa un aspetto dignitoso

Mi sforzo di trovare i lati positivi, l'ho sempre fatto, praticamente. Amavo molto la storia di Pollyanna, la piccola orfanella che aveva imparato a sorridere della vita, facendo il suo "gioco della felicità".

A pensarci adesso, mi sono spesso piaciute storie così, sono cresciuta, come molte altre bambine della mia generazione, con storie così. Amavo molto anche Il giardino segreto, forse, anzi, mi piaceva anche di più di Pollyanna. Trovavo bellissimo che questo ragazzino rifiorisse alla vita curando il "suo" giardino.

Avevo trovato anch'io, il mio giardino.

Era la mia casa marina, in un paese tanto anonimo quanto prezioso. Per me, solo per me. Mi sono innamorata di quel posto, Porto San Giorgio, ancora prima di andarci a vivere. Non so spiegare bene il perché, ne parlavo con un'amica con cui ho camminato con grande piacere sul lungomare, comunque solo lì, tolta la casa dei miei genitori, mi sento davvero bene.

Per questo, e non solo per questo, mi ha fatto molto male vedere l'appartamento in quelle condizioni, le lampadine fulminate o assenti, piena di rozze scarpe tacco 12 che però non ho avuto il coraggio di gettare direttamente in discarica (le ho infilate in quei contenitori per i poveri: chissà chi finirà per indossarle. Forse è meglio non saperlo).

Non ho buttato neanche i "Diari di una schiappa" del ragazzino che ha giocato sulla mia scrivania da bambino, macchiandola di colla o qualche altro materiale che non se ne va più. La prossima volta che torno li porto alla scuola elementare vicina: almeno potranno rivivere, come il giardino del romanzo.

Rivivere, ecco, ai mobili di mia nonna avevo dato questa possibilità, portandoli prima nella casa-torre, in cima alla collina del Girfalco, e poi nel mio appartamento, comprato con tanta fatica e gioia.

Al posto del letto in legno chiaro, l'inquilina mi aveva lasciato il suo, laccato bianco. Le avevo dato il permesso io, ignara del fatto che mi sarebbe toccato smaltire diversi pezzi di mobili smontati, più una rete matrimoniale e un'altra singola richiudibile. 

Praticamente un magazzino. Un magazzino malmesso, le tapparelle lasciate su, alcuni vestiti e una vecchia gomma da masticare (non ancora mangiata, per fortuna) giù, sulla coperta del mio letto. E dire che nella telefonata di commiato la giovane non so quanto inconsapevole distruttrice mi ha detto che ci teneva a restituirmi la casa come gliel'avevo consegnata, piuttosto trepidante, tredici mesi fa.

A pensarci bene ora, solo il tavolo da sei di legno scuro, solido e indistruttibile, mi ha trasmesso un segno di speranza. Da quel tavolo bisognava ripartire. Lì abbiamo fatto colazione, contrariamente alle nostre abitudini di un tempo, per diversi giorni.

Andarsene via è stato triste, ma mi sentivo carica, ricaricata, e pronta ad affrontare una nuova fase, non so quanto lunga, qui in terra asburgica, dove ci aspettavano i gatti. Il gioco della felicità mi diceva che, sì, ero, sono stata fortunata, perché almeno adesso ho riavuto il mio luogo del cuore, chiuso e sbarrato in attesa del nostro rientro. Ma la mia vita, la nostra vita, al momento, è in questa fredda città del Nord Europa. Fredda, meteorologicamente parlando soprattutto, e non solo.

Amici e parenti (alcuni) ci dicono di resistere e il loro sostegno mi aiuta. Persino il mio dolce padre mi manda messaggi d'incoraggiamento, a dirla tutta un po' formali, ma teneri come solo un vecchio schivo come lui potrebbe scrivere.

Durante le quattordici di ore di viaggio, però, ho avvertito una fastidiosa incrinatura.

Mentre ascoltavo Mark Knopfler, e i suoi vecchi album dei vecchissimi tempi, mi è comparso sul cellulare il nome della mia proprietaria. Tuffo al cuore. Oddio, è successo qualcosa ai gatti. A lei ne avevo affidato la cura, ben sapendo che sarebbe stata in grado di occuparsene, vivendo al piano sopra il nostro e avendone anche lei due.

Kein Problem mit den Katzen, nein.

Il problema era un altro. Anzi, è un altro. 

Caldaien rotten, ja. Fino a mercoledì prossimo (si spera non oltre) no acqua calda no riscaldamento. 

Queste cose succedono, lo so. Anche a Milano rimasi due settimane nelle medesime condizioni. 

La proprietaria, peraltro, ci ha anche procurato una stufa, un madonno pesantissimo, come piace tanto ai popoli nordici, che però la sua sporca funzione la fa.

Il problema è un altro, dicevo.

Il problema è lo scrauso.

Was ist scrauso?, mi ha chiesto un'amica austriaca che parla bene l'italiano.

Parafrasarlo significa togliergli la scorza onomatopeica, così essenziale in tutte le lingue del mondo, persino in tedesco. Sì, sì, amici, è così: non faccio ironia in questo momento.

Tornando allo scrauso, insomma, è una parola che incarna alla perfezione il fantasma, molto materiale, contro cui ho ingaggiato la mia personale battaglia.

Di più: lo scrauso è il nemico da sconfiggere assolutamente e in maniera definitiva. Non di battaglia si tratta, allora, ma di guerra.

Stop scrauso, stop scrauso, stop scrauso... Me lo ripeto come un mantra tutti i giorni, per vari minuti di seguito. Davvero.

E che cosa succede? Sentendo di essere in pericolo, lo scrauso, come qualsiasi altra creatura viva, si ribella. E mena pugni, buttandomi giù.

Io però non ci sto a restare a terra, mentre parte il countdown, e, in genere, a - 8 sono già in piedi. A Porto San Giorgio credo di essermi rialzata un po' dopo, forse a - 5, ma ce l'ho fatta e ho ripreso a recitare la mia preghiera. Hop hop hop, stop scrauso, stop scrauso, STOP. Rieccomi qua, barcollante ma in piedi. Tiè.

Fine ennesimo round. 

Dopo il break, sono arrivata qui, consapevole di trovarmi all'inizio di un round ancora più duro. 

E infatti. Banghete. Con meno tre gradi nel luogo in cui si depositano i bisogni primari, obiettivamente, la botta mi ha lasciato senza fiato.

Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro... Non ci provare. Non mi avrai, scrauso, NON MI AVRAI.

Prima del colloquio con la consulente del lavoro su skype, perciò, ho scaldato due pentole d'acqua e mi sono lavata pure i capelli. 

Non so come ho fatto, ma ho riso con la tizia e l'ho anche fatta ridere più di una volta. Mi sorprendo ancora quando capitano cose così, ma ormai dovrei saperlo: con gli sconosciuti riesco a simulare bene la fatica che faccio per respingere lo scrauso. Forse, anzi, la leggera agitazione che lascio trasparire fa anche personaggio. Mi dà quella spolverata buffoncella bastevole a dare l'impressione di essere una personcina a modo. 

Sarà il tempo a dire se il nuovo curriculum, preceduto da un Kurzprofil (un profilo in breve) in cui metto in luce il mio amore per la scrittura, la fotografia e la mia predisposizione a dare fiducia alle persone (anche a quelle che ti sfasciano casa) servirà davvero nel mondo del lavoro austriaco.

Mi ha fatto piacere, certo, che la consulente, alla fine della nostra chiacchierata, mentre in cucina il proprietario e lo spazzacamino pianificavano l'eutanasia per la caldaia, abbia detto che il mio curriculum farà sicuramente un'ottima impressione, adesso che l'abbiamo riscritto un'altra volta.

Ha usato anche una metafora lusinghiera su come le sono apparsa: una specie di fiore all'apparenza compatto, in verità composto di tanti petali, uno dentro l'altro. O qualcosa del genere.

Di là si combatteva per me, per qualche minuto almeno, contro lo scrauso, e di qua, dentro allo schermo, una donna pressoché sconosciuta faceva altrettanto, rassicurandomi. 

Da questi segnali capisco che non devo mollare. Lo so che è così.

E infatti non lo farò. Non è possibile che io molli. 

La guerra è fatta anche di momenti di riposo. Le ferite hanno bisogno di qualche giorno per risanarsi. Solo in casi di urgenza si compie lo sforzo estremo di rialzarsi per assestare qualche pugno come si può, pur di sopravvivere.

Oggi non è uno di quei giorni. Ne ho vissuto qualcuno così in diversi momenti dei miei quasi primi 50 anni. Ne vivrò anche altri, di sicuro.

Oggi è il giorno del silenzio. Domani, dopodomani, bisognerà gettare un nuovo piano d'azione, avendo però sempre chiara la strategia di fondo. 

Solo così lo scrauso sparirà.

A voi faccio quest'unica seguente preghiera, in vista degli imminenti Europei di lotta allo scrauso che mi accingo a combattere: credete in me, fate il tifo per me, fate la ola per me. E ripetete con me, se possibile a squarciagola, mentre assesto colpi definitivi: 

Stop scrauso, stop scrauso, stop scrauso...

venerdì 25 gennaio 2013

Video e inglese, sentieri di dignità

Comunque vada a finire, vale la pena provarci. Fino in fondo.
Da qualche tempo, per esempio, ho ripreso a studiare inglese e mi sono prefissa l'ambizioso obiettivo di arrivare a usare anche su questo spazio, in un giorno chissà quanto lontano, la lingua allo stato attuale ancora più diffusa (usata) al mondo. Certo, sarebbe meglio puntare sullo studio del mandarino, ma temo che mi ci vorrebbe più tempo e soprattutto denaro, due elementi (soprattutto il secondo) che cominciano a scarseggiare.
Contemporaneamente, sto cercando di imparare, da totale autodidatta, a montare i video, un'attività, lo confesso, che mi piace veramente molto. Al punto da rischiare di farmene fagocitare del tutto, cadendo in una sorta di trance da nerd (come si chiamano gli smanettoni da un po' di tempo a questa parte. Mi chiedo sempre quando sia stata introdotta sta' inglesistica parola) un tantino insana.
Per fortuna poi ci pensa la palestra e la mia voglia di respirare aria fresca a farmi riscuotere.
E così, tra una lezione d'inglese, una visita in biblioteca per raccogliere informazioni sulla sibilla picena e altre leggende delle stupende montagne che contemplo spesso dalle finestre, e infine la ricerca e selezione delle immagini delle nostre gite fuori porta, è cominciato il nuovo anno, dalle prospettive piuttosto incerte in verità non solo per noi Sfaccendati.
E d'altra parte, mi domando e lo chiedo a voi: che cosa mai potremmo fare per sgombrare almeno un po' di nebbia da questo tunnel lunghissimo che abbiamo imboccato, il Paese e noi personalmente?
L'ho già scritto, ma conviene ripeterlo: l'unico bene da coltivare sempre, in tutte le fasi della nostra vita, è il rispetto di noi stessi. Solo così potremo continuare a guardarci nello specchio, impallidendo appena.
Perciò voglio chiarire un punto, a beneficio di quelli che ti esortano paternalisticamente ad andare avanti su questi sentieri, come farebbe uno zio magnanimo con il nipotino che si esercita alla chitarra: per me, lo studio della lingua, il montaggio di gallerie fotografiche e video, gli stessi post di questo blog non sono hobbies (per l'appunto), ossia non sono passatempi come il mio amato tennis dell'adolescenza o come il burraco per pensionati felici.
Sono invece la realizzazione pratica di questa battaglia continua per la dignità, il sogno di riscatto di chi spera (e lotta) ancora.
Detto questo, sono lieta di presentarvi il primo video realizzato congiuntamente da mio marito Sfaccendato e da me: quello che vedrete è il risultato di tre diverse passeggiate al mare, in giorni e luoghi differenti dello scorso autunno, così diverso da tutti quelli vissuti finora.
Sono fierissima del risultato, per quanto imperfetto sia: le musiche, composte dal compagno della mia vita, mi hanno guidato nel rimontaggio di alcuni passaggi e nella selezione finale del girato.
Spero proprio che sia solo un inizio di una collaborazione tra noi. Comunque vada a finire, valeva la pena provarci. E sì.
Buon ascolto e buona passeggiata al mare, amici.





mercoledì 24 ottobre 2012

Strategie anti-piagnisteo per la "choosy" che è in me



Comincio a pensare che il periodo saudade durerà ancora parecchio. Del resto, sono appena emigrata in Germania ed è logico che stia qui a rimpiagere o sole e o mare.
Come? Non lo sapevate? Mi trovo a Tubinga, in questo momento, nella città delle biciclette e della giovinezza.
Porca miseria che fatica svegliarsi, questa mattina. E per fortuna che c'è il sole e la gatta Bice giusto dietro di me, sulla solita scatola del tostapane.
No, non sono affatto partita, ma devo dire di essermi sentita un genio nell'usare una scusa del genere per tenere a bada il Seccatore.
Se ne parlo con tanta scioltezza, è perché ho l'assoluta certezza (che fa pure rima) che non verrà mai su questo spazio.
Però, in effetti, c'è stato un momento ieri in cui mi ero già vista con la valigia in mano, pronta a ricominciare da zero.
Nei giorni scorsi ho letto le biografie di vari fotogiornalisti di cui non avevo mai sentito parlare, che mi hanno dato la misura della mia piccolezza. D'altra parte, so benissimo di aver fatto altro e sempre con il massimo dell'impegno.
Però, in effetti, un po' "choosy" lo sono stata e lo sono tuttora, soprattutto verso certi ambienti ricchi solo di grettitudine, un neologismo che mi suona meglio del più corretto vocabolo grettezza.
Così ascolto musica brazileiro-capoverdiana come il brano di Lura sopra linkato.
Mi piace molto il sorriso di questa musicista nata nel 1975, sotto il segno del Leone. Glielo invidio parecchio, forse perché vorrei poter esibire il mio un po' più spesso.
Invecchiando, mi capita più facilmente di parlare di invidia. E pensare che io non l'ho mai provata, verso nessuno, neanche verso le nullità di successo.
Del resto, succede ai lamentosi cancerini come me di fare bilanci impietosi. Penso proprio che dovrò imparare a convivere con questo senso fiaccante di fallimento. Prima lo faccio e prima ne uscirò.
In qualche maniera. Germania o non Germania, nell'ombra o nella gloria.
E alla peggio, andrò a guardare il mare e a sentirne il rumore.
Facendo schiattare d'invidia i tubingani, o come diavolo si chiamano gli abitanti di quella città.

venerdì 3 agosto 2012

Bizzarrie metropolitane in una calda mattina d'estate





Trenta secondi dopo, il tizio che fa le flessioni sul sagrato del duomo di Milano è sparito dietro l'angolo tutto saltellante. Pareva proprio che dicesse hop hop. Mi trovavo a passare da lì per caso, era il 27 giugno, circa le 13.30, e si schiattava di caldo.
Ho trovato talmente bizzarra la situazione che non ho resistito e ho scattato.
Mi resta un dubbio, atroce. E' amore per lo sport quel che appare o pura alienazione metropolitana? 
Chi può saperlo. 
Aggiungo che io, tutto sommato, sono una tipa abbastanza allenata, sia per conformazione naturale (e che ci si può fare se c'ho le gambe da Rumenigge? Mi è stato detto davvero un'estate di una vita fa da un ragazzotto toscano, probabilmente ubriaco, che me l'ha gridato dal buio di un lettino da spiaggia, mentre passavo in cerca non certo di lui. In vino veritas, epperò) sia perché mi piace tenermi in forma.
Però mai e poi mai mi metterei a fare ginnastica sotto un sole da infarto e meno che mai in un luogo non troppo dissimile da piazza San Marco a Venezia quanto ad affollamento.
Se non fosse corso via come un razzo, sarebbe stato da chiederglielo.
Perché? Perché lo fai? E' la tua pausa pranzo? E quando mangerai? E soprattutto che cosa? Una bella pizza farcita e spugnosa, pregna d'olio bisunto, oppure un'insalatona dalla dubbia provenienza in qualche mensa aziendale?
O magari sei uno degli atleti attualmente impegnati nelle Olimpiadi. Ecco, sarà così, ma siccome pratichi una disciplina minore, di quelle difficili da commentare per via della loro misteriosità, cerchi di attirare su di te gli sguardi dei passanti. A giudicare dalla pancia di quello più a sinistra tra i due che ti osservano, non credo che ti stiano prendendo sul serio. E non per invidia. Pur essendo, all'apparenza, di origine orientale, per me stanno commentando alla chietina maniera: "Cussù è nu pazz".
Chi può saperlo.
In ogni caso, il giorno dopo sono stata ben felice di riprendere la via per il centro-sud.
Per il mare. 
Almeno qui, se fai le flessioni sott'acqua, nessuno se ne accorge.