sabato 8 aprile 2017
Nega, ridi e ama, il consolante (e autentico) libro di Rossella Boriosi
La mia settimana si è aperta all'insegna della confusione e così è andata avanti almeno fino a ieri pomeriggio. Il merito del mutamento in corso (un po' confusa lo sono ancora e d'altra parte lo sono sempre) è del libro "Nega, ridi e ama", di cui vedete sopra la copertina, scritto da Rossella Boriosi.
L'ho acquistato al primo dei cinque appuntamenti di "Non solo rosa", una rassegna di letteratura al femminile organizzata a Lu Portu da un'associazione di scrittrici, blogger e semplici appassionate di parole (European writing women association) con il patrocinio del Comune e dell'assessorato alle Pari Opportunità.
L'avevo preso sospinta da un'istintiva simpatia per l'autrice e per il coraggio, in verità molto naturale, con il quale ha scelto di parlare della sua menopausa.
Il giorno che l'ho vista, peraltro, non avevo idea di che cosa trattasse il suo libro, ma una vocina interiore mi stava dicendo da giorni che avrei fatto bene a leggerlo.
Ieri l'ho divorato.
Al di là dell'argomento in sé, che non nascondo mi spaventi alquanto, ho apprezzato la faccenda delle fasi attraverso le quali dovremmo affrontare tutti i passaggi più difficili della nostra vita.
Rossella raccontava di essersi ispirata alla teoria di Elizabeth Kubler (con l'umlaut sulla u) Ross sull'elaborazione del lutto, un'esperienza che conosco da vicino e che mi fa a tratti ancora male.
Quando ci capita di perdere qualcuno (o, nel caso della fertilità, qualcosa), dice la Boriosi, innanzitutto neghiamo il problema. Poi ci arrabbiamo (seconda fase), quindi cominciamo a farci i conti (negoziazione, terza fase), ci deprimiamo (quarta), ci ripigliamo (accettazione, quinta) e infine, se tutto va bene, rinasciamo.
La sesta fase, se non vado errata, è stata aggiunta dall'autrice.
Avendo scritto per anni su un blog aziendale che parlava di terza età e stili di vita, ho usato (e forse abusato) della parola "rinascita", soprattutto in periodo pasquale. Dopo la morte c'è la resurrezione, appunto una rinascita, una metafora usata non solo nel Cristianesimo per raccontare la ciclicità dell'esistenza.
Sono abbastanza sicura che questa cosa abbia un senso, soprattutto per noi donne. Ed è altrettanto plausibile che una volta superata la fase fertile della vita si vivano altri tipi di ciclo.
Mi piace la visione orientale non medicalizzata della menopausa, di cui parla Rossella. E pure io, in generale, trovo spesso più affascinanti le donne anziane delle giovani. Capisco però quanto sia complicato accettare età e fallimenti veri o presunti quando capisci che tra le gambe, accidenti, il sangue non uscirà più.
Ci si mette un po' ad abituarsi di essere uscite dall'infanzia, il pensiero di essere passate dall'altra parte della vita non è granché confortante, credo, nemmeno per chi pratica il Q Gong con grande impegno occidentalissimo (divertente il racconto che ne fa l'autrice che tenta di sperimentarlo, addormentandosi di brutto, su una spiaggia salentina).
Ragiono sul tempo che passa praticamente da sempre. La perdita di mia madre mi ha dato una scrollata non da poco, ma se negli ultimi due anni ho per lo meno fatto chiarezza su ciò che non voglio diventare di qui a qualche anno, temo di essere ancora lontana dalla rinascita di cui parla Rossella.
Occorre che mi prepari al cambiamento che verrà (ho assistito all'incontro con l'autrice il primo giorno di fiume rosso, ne ho letto le cronache il mese seguente il quarto già in remissione), ma intuisco che sarei davvero una persona nuova se la smettessi di farmi sovrastare dall'ansia.
Anche perché, quando eccedo con la finta organizzazione che do alle mie giornate, succedono cose come quella di ieri, ossia andare a un convegno una settimana prima di quella stabilita dal calendario. Ci rido su, ovvio, ma è stato in quel momento, dopo una passeggiata al sole con le tempie pulsanti per il raffreddore, che ho scelto di infilarmi sotto una coperta e di finire il libro di questa brillante e intelligente scrittrice.
Non si ride a crepapelle: almeno a me non è successo, perché ne avvertivo comunque la sottile nota drammatica. Invecchiare fa schifo, suvvia. Al contempo, mi sono lasciata andare alle sue parole con gentile senso di resa. Se un giorno un'estetista dovesse dirmi le stesse tremende verità sulle clienti post-climateriche non credo che ci tornerei mai più. Anzi: sono ben felice di farmi i peli da sola da tempo immemorabile. Sono ancora traumatizzata da quanto ebbe a dirmi la placida Oriana in merito alle mie cosce forti e un po' ballonzolanti in anni ancora verdissimi: "Mica vuoi diventare come quelle vecchie con le gambe che fanno deleng deleng?". Credo sia stata l'ultima volta che mi ha visto. W il silkepil.
Detto questo, sono grata a Rossella Boriosi per avermi ricondotto alla ragione.
Qualunque cosa farò negli anni prossimi, andrà bene, purché vi sia arrivata con la giusta dose di serenità.
A tutte noi, buone rinascite (alla faccia della retorica).
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martedì 4 aprile 2017
Quello che rimane di te è tanto. Sempre di più (grazie, Julico)
Stamattina ho passato due ore piacevolissime in compagnia di Julian Corradini, alias Julico, un musicista e cantante italo-argentino che ho incontrato per un'intervista che devo ancora scrivere.
Lo ammetto: mi ha conquistata soprattutto per la sua intelligenza e (certo) anche bella presenza. Mi rendo conto che i due aspetti sono profondamente intrecciati in tutti noi, ma in questo trentenne biondo dalla pelle dorata, gli occhi grandi e il fisico ben piantato a terra spiccano particolarmente. Vi assicuro che direi lo stesso se si fosse trattato di una donna: basta vederlo muoversi e parlare per capire di che cosa sto parlando.
Detto ciò, ho scelto questa canzone che già mi aveva colpito prima ancora di conoscerne la genesi per un motivo molto preciso.
Oggi avresti compiuto 75 anni. Stavo quasi per sbagliare il numero, cosa non strana per me, ma piuttosto scioccante lo stesso.
Julian (che bel nome: lo stesso del mio nipote maggiore) mi ha detto di averla dedicata alla sua nonna paterna, cugina del calciatore Omar Sivori.
Quello che rimane è negli occhi, nelle mani e nei colori di chi resta.
Nei miei colori c'è molto di te e più invecchio e più capisco quanta parte di te sia in me.
Nei miei colori c'è molto di te e più invecchio e più capisco quanta parte di te sia in me.
Però la musica che accompagna questo testo a pensarci bene molto malinconico è leggera, ariosa, come eri tu, segno di fuoco di primavera.
Amavi le telenovelas sudamericane e negli ultimi anni ti piaceva pure guardarle in spagnolo.
Mi è venuto in mente proprio adesso mentre scrivo.
Ti avevamo anche regalato un vocabolario e mi pare pure un manuale di questa bella lingua. O forse erano ricette.
Eri curiosa, avresti viaggiato di più, o comunque hai sognato di farlo.
Ho già parlato del bizzarro ritrovamento tra le tue carte più segrete di un poster dell'attore di Cuore Selvaggio, quello che interpretava Juan del Diablo, un uomo scomparso prematuramente, i capelli lunghi e lisci come questo artista oriundo marchigiano.
Ti sarebbe piaciuto conoscerlo, avresti provato la stessa istintiva simpatia che ho sentito io.
La vita è una gran cosa, cara mamma. Non dovevi andartene così presto, ma so che sei stata capace di viverla fino all'ultimo, con una dignità che mi sta ancora insegnando tanto.
Non posso andare avanti.
Quello che rimane è intorno a me, più forte che mai.
Buon compleanno.
sabato 1 aprile 2017
Ciclone Montanini: arrivederci a mai più
Sto cercando di fare ordine tra le sensazioni che mi ha
provocato lo spettacolo di Giorgio Montanini visto ieri sera nel teatro di
Porto San Giorgio.
Ho avuto almeno un paio di volte la tentazione di andarmene
via: del resto, Montanini in persona, comico nato a Fermo nel dicembre del
1977, come si legge nella nota biografica sul sito della Rai per il suo
programma "Nemico pubblico", aveva esortato a farlo nel caso in cui
le sue parole fossero risultate troppo urticanti.
Però non so bene a cosa si riferisse lui, se al cosiddetto
turpiloquio (una parola che amava molto la mia mai giovane prof di greco) o al
senso di superiorità nei suoi confronti capace obiettivamente di indurre in chi
non si scandalizza o finge di non farlo.
Da brava autistica quale sono, se dovessi analizzare
passaggio dopo passaggio il suo show, sarei costretta a dargli ragione su
tutto.
Sul maschilismo dell'Italia, sui luoghi comuni a proposito
dell'esperienza della paternità, sui danni causati da Papa Bergoglio
all'anticlericalismo in particolare dei comunisti (ma direi a tutto il mondo
radical chic nel quale per molto tempo ho creduto di poter entrare pure io),
sul razzismo e la mediocrità della massa e via discorrendo.
Resta però il fatto che ascoltarlo e guardarne il corpo
appesantito sulla scena non mi ha dato alcun piacere.
Anzi. Mi ha reso triste e incazzata. O forse l'ordine è alla
rovescia.
Alla fine sono rimasta, facendo barchette di
carta con i pezzi del biglietto, sovrastata in certi istanti dalla disperazione di essere lì e non da tutt'altra parte.
Sono sicura che abbia fatto tanta gavetta e che meriti di
avere una chance, ma alla conclusione buonista sono arrivata solo a chiusura
dello spettacolo quando ha ringraziato il pubblico parlando finalmente in italiano
(il comico Francesco Capodaglio, con il
suo sketch in sangiorgese stretto, mi ha fatto ridere più di lui, detto tra noi).
Mentre lo ascoltavo concionare in vernacolo, mi domandavo se
lo stia usando anche nel tour nazionale in cui è impegnato in questo periodo.
Per carità: è pieno di gente di palcoscenico che usa il dialetto ed è anche
vero che certi concetti passano meglio se espressi nella lingua madre.
Resta pur sempre il fatto che un intero spettacolo in
fermano (ma per me sarebbe stato lo stesso se fosse stato in abruzzese, la mia
lingua madre) mi ha dato il colpo di grazia.
Sì. Credo che su tutto quel che più ha ferito la mia idea di
bellezza demodé sia la rozzezza modernissima di questo esponente della stand up
comedy all'italiana. Si capisce che ha talento e professionalità e non posso
negare che abbia qualche ragione a sottolineare l'ipocrisia di chi gli ha
chiesto di mettere l'avviso vietato ai minori come sottopancia al suo show, al
contrario di quanto capita con politici e portaborse di ogni risma liberi di dire
impunemente qualsiasi oscenità.
Però mi sono sentita violentata e stamattina ho pianto come
non mi capitava da un po'. Sarà colpa del ciclo o del climaterio incombente
(femmina, pure anziana, eh lo so, triste destino nascere in Italia), ma non
prevedo di rivederlo a breve.
Ho bisogno di bellezza, lo dicevo prima, e soprattutto di
speranza. Cerco ogni giorno di vincere il dolore e la morte concentrandomi sui
segnali di vita che vedo intorno a me.
Di sicuro lo farà nel suo privato anche questo comico
quarantenne con la figlia e la compagna: per fortuna la realtà non ha mai una
sola faccia. E so anche, o comunque lo immagino perché ci sono passata pure io,
che perdere un genitore quando sei ancora abbastanza nelle pesti è un colpo
piuttosto duro.
Le sue battute ciniche sul cancro ne allevieranno un po' la
rabbia.
Solo che l'ha passata a me.
E questo proprio non glielo posso perdonare.
sabato 18 marzo 2017
Letteratura e ironia in rosa a Lu Portu: una rassegna che merita
Ho scattato la foto che vedete sopra in occasione dell'inaugurazione della "Panchina rossa" contro la violenza sulle donne voluta dall'amministrazione comunale di Porto San Giorgio (in collaborazione con il liceo artistico e la Pro Loco della città) come colorato ammonimento a tutto il genere maschile a tenere mani (e altri arnesi) a posto.
Ho scelto l'immagine per introdurvi il pezzettino che vi riporto pari pari sotto, dedicato a una rassegna di letteratura al femminile chiamata "Non solo rosa", in corso in questi giorni nella località adriatica in cui ho scelto di vivere. L'avevo scritto per il Corriere Adriatico che poi non l'ha pubblicato per ragioni di spazio.
Mi pareva brutto che andasse sprecato visto che giusto stasera alle 18.30 si tiene il secondo incontro.
Magari a qualcuno fanno comodo le noterelle della sottoscritta.
Guardate sotto e, se vi va, andate. Buon fine settimana, amiche e amici.
Chi l'ha detto che
le donne non sappiano ridere di loro stesse? Se ancora ce ne fosse bisogno, a
dimostrarlo sono le cinque autrici invitate a Porto San Giorgio per la rassegna
<<Non solo rosa>>, curata dall'assessorato comunale alle Pari Opportunità
in collaborazione con l'European writing women association, di cui sono
responsabili per le Marche Christina Assouad ed Eleonora Vagnoni. Dopo la
simpaticissima Rossella Boriosi e il suo racconto tragicomico sulla menopausa,
oggi, alle 18.30, approda alla sala Castellani Federica Bosco, con la sua cura
<<detox>> per disintossicarsi da un'emergenza d'amore. Alla
sceneggiatrice e scrittrice milanese, classe 1971, tocca quindi il compito di
erudire la platea sulle migliori strategie per liberarsi da questo sentimento
così zavorrante (e altrettanto, ahinoi, indispensabile). Si tratterà, c'è da
scommetterlo, di tecniche fondate sull'ironia, vera e propria cifra stilistica
della Bosco, autrice di bestseller come <<Il peso specifico
dell’amore>>, <<Non tutti gli uomini vengono per nuocere>> e
<<Pazze di me>>, quest'ultimo diventato un film con la regia di
Fausto Brizzi.
Dopo la scrittrice
milanese, la rassegna proseguirà il prossimo 25 marzo con Stefania Bertola e il
suo <<La ragione e il sentimento nelle donne di oggi>>. Poi, sabato
1 aprile è la volta di Sara Porro con <<Prenotazione obbligatoria: vagabondaggi
di gusto A/R>>. Infine, il 29 aprile la chiusura è affidata ad Alice
Basso che parlerà di <<Scrivere è un mestiere pericoloso soprattutto se
si è donna>>.
Tutti gli incontri
sono fissati alle 18.30, ospitati sempre nella sala Castellani di corso Castel
San Giorgio, appositamente rinnovata per la rassegna, come ha sottolineato
l'assessore Catia Ciabattoni durante l'apertura dello scorso otto marzo. Al
termine delle conferenze è previsto un piccolo rinfresco. Ulteriori
informazioni al numero 347/7208544.
martedì 14 marzo 2017
Sì al crowdfunding per Mise en Abyme!
Non mi piace auto-promuovermi (sono la donna anti-marketing per eccellenza), ma in questo caso lo faccio per una buona causa.
Ho scritto l'articolo che vedete sopra per aiutare i due giovani miei concittadini espatriati a completare la raccolta fondi online per lanciare il cortometraggio intitolato - misteriosamente e fascinosamente - Mise en Abyme.
Sono rimasta molto colpita innanzitutto dalla combattività e dall'entusiasmo del regista Edoardo Smerilli e del suo coproduttore nonché amico d'infanzia Riccardo Gaspari. Fossi stata così io a venticinque anni avrei spaccato il mondo. O forse no. Ma questa è un'altra storia.
Ho però deciso di ripubblicare qui il testo originale del pezzo per dare la possibilità a chi vorrà sostenerli di andare direttamente da qui sul link della loro campagna. C'è tempo fino al 31 marzo per portarla a termine (e, magari, superarne il limite minimo).
Coraggio: sosteniamoli tutti. Se lo meritano. E noi ci meritiamo di andarli a vedere al cinema!
Surreale e super-tecnologica è la farfalla protagonista di
"Mise en Abyme", il cortometraggio del venticinquenne sangiorgese
Edoardo Smerilli, volato a Praga per un master in sceneggiatura in una
prestigiosa scuola di cinema (la Famu), dopo la laurea al Dams di Bologna. Per
poterne apprezzare le oniriche evoluzioni e scendere nell'abisso con il
protagonista del film, serve un ulteriore sforzo economico da parte di tutti,
volendo anche dei concittadini del giovanissimo regista. Smerilli ha infatti
attivato una campagna di raccolta fondi online - meglio nota come crowdfunding
- per raggranellare gli ultimi ottomila euro che gli serviranno per ultimare la
costosa post-produzione. Per seguirne l'evoluzione (e dare il proprio
contributo) basterà cliccare su Mise en Abyme.
<<Siamo già arrivati al 70% della raccolta: c'è tempo fino al 31 marzo
per completarla>>, precisa Riccardo Gaspari, l'altro venticinquenne
sangiorgese coinvolto nell'avventura di Smerilli, manager a Dubai per
un'azienda tedesca di e-commerce. <<Amo il cinema e sono molto amico di
Edoardo, così ho deciso di mettere a disposizione le mie competenze
universitarie e lavorative per aiutarlo a realizzare il suo progetto>>,
precisa Riccardo. Chiaro che il sogno di entrambi è di andare ben oltre
l'obiettivo minimo fissato dal crowdfunding: <<Con quegli ottomila euro
le sette-otto persone impegnate nella post-produzione prenderanno giusto
qualcosa di simbolico>>, sottolinea a sua volta Edoardo, che non riesce a
spiegarsi come mai in Italia siano ancora così poche le persone che fanno
ricorso alle campagne online di raccolta fondi. <<Nella mia scuola di
Praga siamo stati selezionati in venti: quasi tutti hanno usato il crowdfunding
per i loro progetti>>. Sulla stessa lunghezza d'onda è Riccardo, che
parla di <<start-up>> partite proprio con questa via, oltre che di
<<campagne che hanno raggiunto anche il doppio di quello che avevano
chiesto>>. Se accadesse così anche a Mise en Abyme, ammettono i due
ragazzi, <<potremmo andare oltre il cortometraggio>>. Tutti e due,
in ogni caso, restano saldamente ancorati a terra quando spiegano che cosa si
andrà a finanziare con il denaro raccolto: oltre a quello per le risorse umane
coinvolte e per avviare una strategia di distribuzione <<efficace e
pervasiva, ciò che ci manca sono i finanziamenti per le render farm>>,
scrivono nella pagina Web della loro campagna. Più nel dettaglio, Edoardo
precisa che con quel denaro sarà possibile <<processare e rendere realistici>>
tutti i dettagli della città vista dall'alto costruita totalmente in 3D, come
la farfalla blu che dà il via alla storia: <<Render farm significa
letteralmente 'fattoria per processare', ossia veri e propri palazzi pieni di
computer impegnati a restituirci tutti i particolari della città>>,
aggiunge il regista. Un lavoro enorme, insomma, che Edoardo e il suo team
complessivo di una trentina di persone, comprese le società Maxman Soc. Coop e
Bloomik Creative & Post Production Studio, che stanno partecipando alla post-produzione,
hanno avviato quasi un anno fa e che si spera li porterà a debuttare nei
festival del cinema più importanti. <<Fino a quel momento non possiamo
mostrare nulla del film, anche se i feedback che ci sono arrivati anche via
Facebook su quel che abbiamo potuto diffondere sono tutti positivi>>,
racconta Edoardo, convinto, tanto quanto Riccardo, di aver fatto un grande
lavoro, dalla sceneggiatura (ispirata a una novella di Philip K. Dick) alla
tecnologia: <<La nostra - concludono - è sicuramente una novità
interessante nel mondo dei cortometraggi, in Italia e all'estero>>.
domenica 12 marzo 2017
Libri, teatro e persone: che spettacolo!
E rieccomi qui dopo mesi e mesi. Vi sono mancata? Ne dubito.
Ho deciso di usare il mio vetusto blog per parlare di alcuni incontri davvero speciali.
La signora bionda sulla sinistra della foto che sta scrivendo un autografo a uno dei suoi numerosi lettori è Cinzia Tani. Quella a destra è Mirela Di Chiara, la libraia di Porto San Giorgio che mi ha permesso di conoscerla.
Come è stato possibile? Presto detto. La scrittrice e giornalista romana (ma, ho scoperto, con sangue abruzzese nelle vene) era stata invitata a presentare il suo nuovo romanzo "Il Capolavoro" nel Mondadori Bookstore gestito dalla mia amica, a sua volta coinvolta in "Libro, che spettacolo!", una manifestazione nata dieci anni fa per promuovere la lettura e il teatro.
A mancare nell'immagine è proprio l'ideatore dell'iniziativa, ossia Pier Paolo Pascali, il funzionario dell'Associazione generale italiana dello spettacolo, che ha aperto il pomeriggio con Cinzia.
Il momento che ho immortalato è però successivo all'incontro da Mirela.
Dopo un aperitivo tanto buono quanto rapido, noi tre donne siamo corse in negozio per recuperare i libri da portare nel foyer del teatro comunale, giusto dieci minuti prima che il fantastico Pier Paolo prendesse la parola sul palcoscenico per presentare di nuovo Cinzia, cui era affidato l'arduo compito di spiegare in dieci minuti in che cosa consistesse il suo nuovo libro.
Sono rimasta attaccata alla parete in fondo alla platea per vedere come l'avrebbe fatto.
Ho cercato di carpire ogni parola e gesto di questa donna alta e longilinea dal sorriso energetico.
Cinzia è partita dal 1947, l'anno in cui si apre il romanzo, scelto, guarda caso, anche dalla compagnia di Davide Anzalone per la propria, originalissima, rivisitazione di "Arlecchino servitore di due padroni".
L'Italia è un paese piccolo e stanco, capace però inspiegabilmente di partorire ancora menti vivaci e generose.
"Zanza" era venuto in libreria per parlare del suo "Arlecchino", dicendoci che è giunta l'ora di tornare al racconto corale: basta con tutti questi monologhi tristi.
Non ho avuto il tempo di parlarci, ma ringrazio tanto anche lui per il coraggio con cui porta in scena le sue braccia svirgolanti e la sua straordinaria simpatia. Bravissimi davvero tanto anche i suoi attori.
Mi fermo perché vorrei evitare di scadere nella retorica.
Concludo solo dicendo di aver imparato molte più cose in un pomeriggio/sera di quante ne ho apprese in anni e anni da blogger.
Ed è questa una delle ragioni per cui ho diradato moltissimo i miei scritti ombelicali.
Ho capito di avere bisogno di accumulare vita per poter scrivere in modo diverso.
Per poter fare sul serio.
Mio padre oggi mi ha detto una frase bellissima: "Il vento sta girando e finalmente è a tuo favore".
Non so se sia un suo auspicio di padre e basta, ma comunque mi ha fatto molto bene sentirlo da lui.
Farò di tutto per assecondarlo, caro papà.
Dovunque mi porti.
Vi lascio con una canzone dei Simple Minds che accompagna molte mie corsette di questi giorni (a proposito: correre, che gran cosa).
Qualcuno arriverà, qualcosa accadrà.
In summertime.
martedì 25 ottobre 2016
Il maestro è nell'anima. Sempre di più
Non posso proprio farne a meno, anche se, amici belli, non sapete quanto mi costi interrompere il mio silenzio.
Quello che ho da dire, in un certo senso, è molto più pubblico di come vorrei, visto che riguarda almeno la maggioranza delle persone che erano presenti con me domenica pomeriggio, dalle 18 alle 20.15 circa, all'Auditorium della Conciliazione di Roma per il concerto di Paolo Conte.
Di Paolo, mi verrebbe da dire fingendo una familiarità del tutto autoreferenziale che anno dopo anno, a partire dai 17, si è costruita nella mia testa.
Chi mi ha sentito negli ultimi tempi sa come sia stato possibile il miracolo che ho vissuto appena due giorni fa.
Vi confesso però di sentirmi quasi una ladra di immagini avendo usato uno degli scatti che mi ha fatto la simpaticissima Giusy Palamara, conosciuta tra una quinta e l'altra del teatro romano, come mio attuale profilo di Whatsapp.
Non amo questo genere di autoreferenzialità, ma per questa icona (proprio nel senso sacrale del termine) della mia formazione, questo zio che sa ancora adesso spiegarmi la vita meglio di un film, faccio una piccola eccezione.
Mi limito a illustrare la scaletta di un concerto che ha chiuso una giornata indimenticabile, passata in compagnia di mia sorella, i miei nipoti, mio cognato tedesco ("animato", lui sa perché) e l'affascinante cugina che, ovvio, porta lo stesso nome del maestro.
Pare (mi ha detto il suo grandissimo batterista/vibrafonista/marimbista etc etc Daniele Di Gregorio che ha permesso il miracolo di cui vado parlando) che ogni due anni circa la scaletta dei concerti cambi leggermente.
Ho perso il conto di quelli che ho visto per cui non ricordo esattamente quante volte io abbia sentito dal vivo (per non parlare delle volte che l'ho fatto a casa) Diavolo Rosso, Alle Prese con una verde Milonga, Gioco d'Azzardo, Comedie, Sotto le stelle del jazz e, ovviamente, Via con me. Di questa, però, posso dirvi con certezza che è stata proposta nella versione del disco da studio che si chiama Gong-oh, che personalmente adoro proprio perché l'ha finalmente rallentata ed espunta dai bis. Per quest'ultimo (uno solo, seguito dal proverbiale segno di voce finita con la mano che taglia la gola a metà), Paolo ha voluto Tropical, immagino diventata la hit di chiusura dopo Snob.
A proposito della canzone che dà il titolo all'ultimo album dell'Avvocato non più tanto marròn (ma azzurro e celestiale come i suoi occhi da gattone, benché lui abbia sempre avuto cani), la risata generale del pubblico, partita quando arrotava ("affotava", pareva dicesse) le erre, è stata molto liberatoria, per me che ho compreso da tempo, anche se non ne ho prove dirette, quanto debba essere simpatico Paolo lontano da microfoni e sguardi adoranti.
Mi ha sorpreso, anche, il provinciale più internazionale che abbiamo in questo piccolo Paese, in certi brani che dal vivo non avevo mai ascoltato.
Mi sono piaciute tantissimo Reveries e Le chic et le charme, le due canzoni in francese della scaletta 2014-2016.
Purtroppo, non essendo una musicista, non vi so dare dettagli tecnici.
Posso solo ribadire la mia assoluta meraviglia davanti al polistrumentismo della maggioranza dei suoi "dolci amici" musicisti, come li ha chiamati Conte nella dedica, se non vado errata, di "Nelson", un disco forse meno limpido di altri, ma molto intimo e vero, esattamente come mi appare lui, sempre di più, senza papillon e abito da sera.
Non posso dirvi, non riesco proprio a farlo, almeno non in questa veste semi-pubblica, che cosa mi abbia trasmesso il suo viso e il suo sorriso quando mi sono presentata.
So che ho fatto finta di essere sicura, so di aver parlato con la sua produttrice Rita Allevato, molto cortese e rispettosa di noi poveri fan disperati, ma davvero il non detto e il non scritto è molto più importante e lo conserverò per sempre dentro di me.
Questa la scaletta proposta all'Auditorium della Conciliazione, la stessa - presumo - che, con qualche variazione, sarà replicata a Brescia il 29 ottobre e a Milano l'11 e il 12 novembre. Dopodiché ci sarà Torino il 12 dicembre e a febbraio (11 e 12)... Paris (!!) e poi Amburgo il 25.
A voi la scaletta:
Primo tempo
Ratafià
Sotto le stelle del jazz
Comedie
Alle prese con una verde Milonga (sapete che cos'era per Renzo Fantini e i suoi amici quando l'ascoltarono la prima volta? Solo i veri cultori sapranno rispondere)
Snob
Argentina
Reveries
Recitando
Aguaplano
Secondo tempo
Dancing
Gioco d'azzardo
Gli impermeabili
Madeleine
Via con me
Max
Diavolo Rosso
Le chic et le charme
Tropical (bis)
Ora che ho scritto posso tornare al mio silenzio.
Vi voglio bene, dopo quest'incontro, ancora di più.
Ps La prima volta che ho salutato Paolo avevo più o meno 21 anni. Il pomeriggio passai con una rosa rossa e un biglietto con la richiesta di alcuni brani, diciamo così, on demand (Avanti, bionda, Topolino Amaranto, cose da bionde sceme, insomma). Poi tornai a fine concerto: non avendo altro per farmi fare l'autografo, gli allungai il pacchetto di sigarette che fingevo ai tempi di fumare. Mi scrisse la dedica con un pennarello, non so suo o se prestato qualche fan. Mi ricordo quello che mi disse a proposito della mia richiesta di brani: "Eh, ma la scaletta è già formata, i miei musicisti si sono preparati su quella, non sarebbe semplice cambiarla". E certo. Che idiota bionda.
Però, posso dirlo? Lì era nel pieno della maturità, io una ragazzina con gli occhiali tondi. Molto meglio adesso, per me è così, magari lui farebbe volentieri un salto a ritroso nel tempo.
In tutti i modi, è un privilegio averlo incrociato.
Grazie.
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