giovedì 31 marzo 2016

Il guizzo dei pesci, dal film di Alessandro Valori alla mia vita



Come saltano i pesci di Alessandro Valori è un piccolo film ambientato nelle Marche, per la precisione a Porto San Giorgio e Amandola, sulle pendici Monti Sibillini.
Sapevo del debutto nelle sale italiane previsto proprio oggi e, per una volta, ieri sera mi sono servita del mio tesserino per partecipare all'anteprima locale organizzata nella multisala di Fermo.

Mi ha molto colpito la partecipazione di massa di amici, parenti e autorità, ma su tutto ho apprezzato la leggerezza dell'atmosfera e, tutto sommato, anche della pellicola.

Senza lanciarmi in una recensione dettagliata (nella quale, inevitabilmente, scriverei anche quello che non mi è piaciuto), posso dirvi che il film scorre e che, se per caso doveste vederlo, non credo che vi addormenterete.
Anzi: è particolarmente simpatica la ragazzina "con il cromosoma in più", come dice la medesima attrice affetta dalla sindrome di Down, Maria Paola Rosini, che interpreta il personaggio di Giulia.

Altrettanto azzeccate le due vicine di casa della maestra Anna, morta nell'incidente stradale incipit dell'intera storia: si tratta di due signore che parlano nel vernacolo locale, vagamente italianizzato in modo da renderlo comprensibile anche al di fuori dei confini fermani.
Per certi aspetti, mi ricordano le zie della mia famiglia, anche se le stesse, come sapete, vivono piuttosto al di sotto del fiume Tronto.

In tutti i modi, avevo voglia, ve lo dico apertamente, di celebrare in qualche maniera la mia scelta di vivere in questa provincia d'adozione non proprio facilissima per una persona come me.
I locali, come succede in tutte le province italiane, fanno abbastanza gruppo a sé ed entrarvi non è proprio agevole.

Io, poi, sono piuttosto esigente, in fatto di gusti e di relazioni. E in generale, in qualsiasi posto, un conto è andarci in vacanza, un altro è viverci.

Detto questo, il mare, con quell'azzurro da medio adriatico che mi è così familiare, è proprio quello lì che appare sul grande schermo. E anche se non è più pulito del pezzetto lungo il quale sono cresciuta, anni e anni fa, mi piacerà sempre. Idem il porto e le barche che beccheggiano sotto il sole del luglio scorso, il mio primo luglio a Lu Portu (intervallato dai lunghi giorni teatini: sarà per questo che non mi sono accorta che stavano girandovi un film: alcune riprese sono state fatte a due passi dal palazzo in cui vivo).

A distanza di quasi un anno dal mio trasferimento sulla costa, non sono cambiate moltissime cose, ma vi garantisco che ogni volta che approdo nella stazione sangiorgese (anche l'ultima volta, che arrivavo da Venezia), io mi sento a casa.

Speriamo solo di passare dai sentimenti ai fatti, un giorno o l'altro.

Di avere quel "guizzo" con cui i pesci saltano fuori dalle reti dei pescatori per ributtarsi nel mare-lago della mia vita.

Buona fortuna, piccolo film.

E per quanto riguarda me, salterò dalla rete, o sì se lo farò.

martedì 22 marzo 2016

La pace resta un valore, anche nel Medioevo versione 2.0


Sui social si è scatenato per l'ennesima volta lo scontro tra gli amici dell'Occidente e quelli che lo odiano (i bastardi che mettono bombe di sicuro non lo amano).

Non voglio unirmi ai cori digitali, ma una parolina sulla pace proprio non riesco a evitarla.
Noi esseri umani siamo ipocriti e contraddittori, ovvio, ma la pace è davvero un valore essenziale per la civiltà e ogni tanto va detto e ripetuto.
A meno di non volersi dichiarare del tutto incapaci e inani alla lotta per la preservazione della medesima.

Potrebbe, in effetti, essere proprio così: forse non abbiamo gli strumenti giusti per difenderci da assassini così ben organizzati ed equipaggiati.

Ma io, comunque, non sono Luttwak né qualche altro finissimo analista della guerra, quindi lascio sullo sfondo ciò che penso delle missioni di Caschi Blu e affini.

Mi amareggia solo, non potete capire quanto, di essere diventata adulta in anni così terribilmente senza speranza.

Ho compiuto trent'anni il 20 luglio del 2001, il giorno in cui è stato ammazzato Carlo Giuliani. Stavo facendo un indimenticabile stage alla Repubblica di Milano. Tornata con pizzette e pasticcini da offrire ai colleghi, li ho visti tutti lì davanti alla tv a commentare l'orrore in corso in quel momento a Genova.

Il giorno dopo la fine del mio stage, l'inferno dell'11 settembre (ma non sarà che porto sfiga? Ogni tanto, nei miei deliri narcisistici, mi viene da pensarlo).
Da quel momento tutto è cambiato. E oggi siamo qui, a piangere gli ennesimi morti.

Detto per inciso, l'incidente di ieri in Spagna, mi aveva già abbastanza rattristato: anche lì, come a Venezia, c'erano ragazze di questa splendida gioventù nata a metà degli anni Novanta, talenti sottratti al pianeta, che va morendo non solo per via delle guerre.

L'attentato di oggi, invece, è stata solo l'ulteriore, davvero raggelante conferma, di vivere in un Medioevo molto più buio di quello che ho conosciuto sui libri di storia (e sulle storie di Dago, anno più, anno meno).

La mia personale giovinezza se n'è pressoché andata insieme con l'avanzare delle tenebre. E se, come succede sempre, prima o poi tornerò, torneremo, umanamente e fragilmente, a sorridere, dubito che il futuro riservi davvero il sereno.

Mi dispiace di essere così cupa, ma oggi va così.

Se sapessi pregare, lo farei.

Polemicamente, voglio dedicare a tutti noi, anche ai più cinici o finti tali, la canzone che troverete sotto.
Aiutamoci, per quanto possiamo.



lunedì 21 marzo 2016

Arte Laguna Prize a Venezia e la meglio gioventù del XXI secolo


Forse dalla foto non si capisce, ma sappiatelo: quelle cose tondeggianti che tappezzano la struttura a cono decapitato sono patate tagliate a metà, le piccole orizzontalmente, le grosse longitudinalmente.
A darci le indicazioni su come operare è stata Anna, la ragazza russa con la salopette che vedete arrampicata sulla scala. A suggerirci, invece, il metodo migliore per spalmare la colla e il misterioso "catalizzatore" è stato Giacomo, il tipo in primo piano con il berretto in testa e un sorriso da burlone toscano.

Chi sono, anzi, chi eravamo, a ricevere gli input? In rigoroso ordine alfabetico (tolta la sottoscritta): Benedetta, Chiara e Matilde, tre davvero splendide ragazze che ho avuto il privilegio di conoscere durante gli ultimi due giorni e mezzo dell'allestimento di Arte Laguna Prize, un premio per artisti provenienti da tutto il mondo che quest'anno celebra la decima edizione alle Nappe dell'Arsenale di Venezia

Sono certa di tornare di nuovo sull'argomento, per cui non mi dilungo per ora sugli aspetti tecnici dell'evento. Vi dico solo che l'allestimento è visitabile gratuitamente dalle dieci alle diciotto fino al prossimo 3 aprile e che esiste anche una sezione di arte digitale nell'elegantissimo cortile della Fondazione Tim, a due passi da Rialto. Se le mie info non vi bastassero, visitate il sito di Arte Laguna e avrete quello che vi serve.

In questo post, invece, voglio parlare della meglio gioventù nata sul finire del ventesimo secolo che ho incontrato.
Ho scattato anche il ritratto che vedete sotto, ma ho preferito non metterlo troppo in evidenza perché, purtroppo, non conosco il nome della ragazza immortalata: 


La fanciulla stava pulendo con l'acqua ragia le macchie residue di vernice e altre schifezze da cantiere che non saprei nominarvi e io, anziché aiutarla, l'ho omaggiata così.
Oltre a lei, ce n'erano molte altre che si sono massacrate, letteralmente, perché tutto nello spazio immenso delle Nappe fosse pronto per l'inaugurazione di sabato scorso.

Sul grosso dei loro visi ho visto concentrazione e determinazione. Il lavoro era molto e non sempre piacevole (non so chi abbia pulito i bagni, ma posso garantirvi che erano tirati a lucido), ma il clima è rimasto nel complesso festoso ed energetico. 

Mi hanno contagiato con la loro bellezza giovane e insieme mi hanno profondamente intenerito.

Potrei dirvi molto altro su che cosa abbia significato per me passare quattro giorni da sola
Vi accenno solo alla trasformazione che si è compiuta in me in meno di ventiquattr'ore: la sera dell'arrivo ero un tantino triste, ma già rinvigorita dalle conoscenze fatte durante il primo pomeriggio all'Arsenale.

Il giorno dopo ero così soddisfatta dall'essere stata coinvolta nella realizzazione dell'opera "patatosa" (come l'ho chiamata facendo il verso a petaloso, strappando una risata generale) concepita dal misterioso artista russo (Fiodor Pavlov Andreevich) di cui parlerò meglio in uno dei prossimi post, da dimenticarmi del tutto della solitudine.

Sabato notte, poi, non ho proprio avvertito il passaggio dalla veglia al sonno e infine domenica, mentre andavo alla stazione, ho provato solo una grande, piacevole, malinconia.

Per ora mi fermo qui: non vorrei tediarvi troppo. 
Aggiungo solo che ho lavorato fisicamente, quindi ho avuto esattamente quello che desideravo.

Sarà dura, adesso, riprendere le fila interrotte e fare come dicevo a una delle ragazze che vedete sotto (Giorgia, vero leader in un corpicino da bambina) e cioè non mollare. Non è giusto, infatti, raccontare a chi sta diventando adesso donna o uomo che schifo è sentirsi più o meno sempre al punto di partenza.
Non va fatto in generale con nessuno perché, invece, il tempo scorre (corre) e io, probabilmente, dovevo provare l'esperienza complessiva di assistant e di viaggiatrice solitaria adesso. Proprio adesso.

Quindi, grazie di cuore, ragazze. E grazie all'unico ragazzo del gruppo degli assistant, Nicolò, che mi ha raccontato di aver rinunciato a un contratto da apprendista operaio pur di passare un mese all'Arsenale, un luogo davvero affascinante. C'è sempre tempo (eccome) per lavori di m., come dicevamo: continua così.

Dimenticavo l'ultimo, fondamentale, ringraziamento per l'ideatrice del premio Arte Laguna (con Beatrice Susa che purtroppo non ho conosciuto): Laura Gallon, una donna tenace e attenta, dalla quale non si può che imparare un sacco.

In bocca al lupo a tutti. E buona vita.

Sotto alcuni degli altri scatti, con dida incomplete, perché, purtroppo, non conosco tutti i nomi... pardonnez moi!
















Chiara e Ilaria

Nicolò e Laura Gallon
L'inaugurazione!



Al centro, Giorgia. A destra, Elettra.










Beatrice Susa


Silvia e Ilaria alla Fondazione Tim, sede della sezione arte digitale della mostra





martedì 15 marzo 2016

Verso Venezia, dal viaggio mentale alla realtà con tutta l'energia possibile


E' ufficiale: da questo momento in poi sono entrata in clima pre-partenza.
Non riesco ancora a crederci che a quest'ora, tra due giorni, sarò (almeno spero!) dentro l'Arsenale di Venezia a dare il mio non meglio precisato contributo agli artisti (in qualità di "assistant") che già da qualche giorno hanno cominciato ad allestire i propri spazi.

Come leggete nel manifesto, i partecipanti alla decima edizione del premio Arte Laguna sono 120 e provengono da 35 nazioni diverse. 
Da quel poco che ho visto su Facebook e Youtube, di lavoro ce n'è ancora molto, ma, davvero, non ho la più pallida idea di quello che andrò a fare.

Per questo, forse, ieri non ho spiegato nulla nemmeno alla mia premurosa zia la quale pensava, in verità non so come mai, che fossi già partita e tornata.

Nella mia testa, in un certo senso, è davvero così: pur essendo all'apparenza svagata, dentro sono una macchina da guerra dell'organizzazione. Sui dettagli (tipo parrucchiere e smalto) sono piuttosto carente, ma, per esempio, per la preparazione del bagaglio sono già giorni che l'ho preparato mentalmente.

Che altro aggiungere? Nulla: spero solo di non fare figure barbine, da Calimero attempato, e di godermi anche un po' la città, per me un posto davvero speciale.
Diversamente, detto chiaro chiaro, non mi sarei imbarcata in quest'avventura.

Magicamente, almeno così mi sembra, l'ansia è circoscritta e sotto controllo.
Sarà che nei giorni scorsi ho fatto allenamento su altri fronti sensibili.
Oppure sarà davvero che sto diventando cuore di pietra.

Evito, il più possibile, di cadere in abusati schemi di comportamento.
Stavolta più che mai mi servirà quello che un tempo mi pareva un mio punto di forza: lo spirito d'adattamento.

Invecchiando, secondo me, un po' lo si perde, almeno lo si circoscrive ai soli ambiti in cui, davvero, non se ne può fare a meno. Tipo quando sei in mezzo a gente di cui non te ne frega nulla, ma verso cui devi mantenere un certo contegno, oppure quando, la butto lì en passant, devi apparire più sicura di come ti senti giusto appena sotto la pelle.

Nel resto del tempo, invece, mi sono convinta che sia di vitale importanza schivare le rotture di balle (per non dire di peggio). In altre parole, che sia assai più sano NON adattarsi.

Mai farsi violenza, amici, davvero. Mai.
Ecco: a Venezia in solitaria vedrò di mettere in pratica la mia nuova solo teorica saggezza.

Ho quasi pensato di portarmi il pc, ma alla fine, nel mio bagaglio mentale, ho capito che non c'era posto. E' facile che io posti foto e altre frasi sciocchine sui social, ma per un vero resoconto, spero anche fotografico, dei miei giorni in laguna, bisognerà che sia di nuovo tornata qui, alla base marchigiana.

Avrei potuto scrivere un pezzo classico sull'evento, sugli organizzatori etc etc, ma lascio che scopriate di che si tratta dai link che ho sparso qui e là.

Mi mancheranno i gatti, ma spero di incontrarne almeno qualcuno nei vicoli, manco fossi Corto Maltese.

In bocca al lupo a me (vi assicuro che ne ho bisogno). 
E a voi buon ingresso nella primavera!

venerdì 11 marzo 2016

Sibilla Aleramo e Dino Campana, un incontro a Porto San Giorgio carico di domande. Aperte



L'incontro al Teatro di Porto San Giorgio sulla storia d'amore tra Sibilla Aleramo e Dino Campana è partito con spezzoni del film Un viaggio chiamato amore con Laura Morante e Stefano Accorsi. A sceglierlo, gli organizzatori del terzo dei quattro appuntamenti chiamati  I giovedì dell'arte, un ciclo di lezioni voluto dai Licei artistici di Fermo e del paese ospitante.
Accorsi, ve lo confesso, non mi piace granché, per cui è probabile che abbia alzato il sopracciglio (destro o sinistro) senza accorgermene. I pregiudizi sono una brutta bestia, difficile da domare, ma quel poco di sale in zucca che mi è rimasto ha permesso al resto del mio corpo di restare incollata sulla sedia della platea del bel teatrino e di mettermi in ascolto.

Sinceramente: le lettere che la Aleramo scrisse durante l'anno d'amore con il poeta tosco-emiliano (lette dal vivo da Carla Chiaramoni) mi sono sembrate sciocchine, non troppo dissimili da quelle che potrebbe scrivere qualsiasi persona molto innamorata. Eppure, il loro legame, giunto in una fase della vita di questa donna affascinante e contraddittoria, morta nel 1960 a 84 anni, è assai letterario. Inevitabile, insomma, che se ne ricavassero film e che si moltiplicassero emuli di ogni risma.

Le poesie di Dino Campana, poi, o almeno, quelle lette (da Carlo Pagliacci) durante la lezione, mi sono sembrate bellissime. Non ne avevo idea, sono sempre più ignorante, per cui bene così.

Ho trovato molto brava, come già l'anno scorso a Belmonte Piceno, Sabrina Vallesi, la professoressa moderatrice: spero davvero che stia allevando almeno qualche fiore speciale tra i suoi studenti.
Ad averne di prof così.

In sala c'erano rappresentanti di tutte le generazioni, dai liceali alle signore dell'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina: piccole perle di vita di provincia, di quelle che ti fanno dimenticare, almeno per qualche ora, problemi presenti e futuri.

Nota a margine sul poeta fermano Franco Matacotta, di cui lungo conoscevo solo la lapide sul corso cittadino, all'altezza della sua abitazione: doveva essere un bell'opportunista, di quelli con la O maiuscola, almeno stando alla lettera di addio che gli scrisse la Sibilla.
Certo: sarebbe facile malignare sulla quarantennale differenza d'età tra loro (lei, naturalmente, la vecchia della coppia), ma se è vero che il nostro vip locale sottrasse le lettere tra la scrittrice e il poeta orfico non è che ci faccia proprio una gran figura.

Davvero: non ne so nulla, per cui mi limito a queste impressioni a caldo.

Mi domando, in ogni caso, se le multi-relazioni di questa antesignana del femminismo non siano dipese anche dalla violenza dalla medesima subita a soli sedici anni, dall'uomo che poi le famiglie costrinsero a sposare. Da quel che ho capito, non si trattò di un episodio isolato, per cui non oso immaginare quanta sofferenza si possa accumulare giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Dino Campana stesso, affetto da seri disturbi mentali, finì per essere accecato da gelosia morbosa e, manco a dirlo, di nuovo violenta, al punto che la scrittrice visse reclusa in un paesino alle pendici della Val di Susa per tentare di non vederlo mai più.

Antesignana del femminismo, certo, ma anche costretta ad abbandonare il figlio pur di allontanarsi dal marito-padrone. Sibilla non lo vide mai più: quanto una scelta del genere finisca per segnarti nessuno può saperlo.

Insomma: l'incontro di ieri mi ha lasciato svariate domande aperte.

Un giorno, forse, leggerò Una donna, l'autobiografia di Sibilla Aleramo, il cui cognome, ho scoperto da un pezzo della Ventisettesima Ora del Corriere della Sera, è l'anagramma di amorale, come questa signora (che nella realtà si chiamava Rina Faccio, era di origine alessandrina, ma girovagò tra Civitanova Marche, Milano, Firenze e poi Roma), scelse di chiamarsi.

Amorale non significa, ovvio, immorale.
A me dà l'idea che, invece, una morale ce l'avesse eccome.
La morale della libertà, con tutte le conseguenze che la medesima comporta.

Mi piace pensare che i suoi multi-amori abbiano placato almeno un po' il vuoto che più o meno ci afferra tutti. Sarà stata almeno qualche giorno davvero felice?

Non dò risposte. Non ne ho.
Buone domande a voi, amici.

martedì 8 marzo 2016

Fierezza, dignità e niente spogliarelli: buon otto marzo, amiche e amici

Grazie ad Alessandra di Torino per la mimosa che mi ha mandato su whatsapp

Non male il doodle di Google dedicato alla festa della donna.
Peccato che in questo giorno mi prenda una grande malinconia.
Gli auguri più belli erano quelli di mia madre per sms: retorici e dolci allo stesso tempo.
Da lei ho imparato un sacco e credo, francamente, di stare continuando a imparare.

Se fossi madre, forse me ne renderei ancora più conto. Ma madre, ahimè, non lo sono.
Condannata a essere (probabilmente) figlia per sempre, spero comunque di riuscire sempre a trasmettere alle altre donne tutta la fierezza che ho appreso nell'esserlo io stessa da questa donna oggi lontana.

Nata in primavera, ha scelto la stessa stagione per andarsene. Non c'era persona che amasse, come lei ha amato, i fiori, il sole, i profumi della natura. La vita.
Su molte cose siamo e rimarremo diverse. Ma chissà se è davvero così. Più passano gli anni e più mi specchio in lei. Mia sorella, mamma, dice che si è ritrovata ad applicare i suoi stessi, contestatissimi un tempo, sistemi educativi.

Nostra madre non era perfetta, nessuno lo è. Però era sincera, aperta e appassionata.
E se c'è una cosa che non dimenticherò mai, su tutto quello che mi ha passato con il sangue e con gli abbracci che da bambina scansavo, è il senso di dignità che metteva in tutto quello che faceva. E che infondeva in chi incontrava.

Non posso andare avanti, sento che mi sta salendo una commozione molto poco dignitosa.
E a lei non piacerebbe.

Le poche volte che ha lasciato che la vedessimo piangere sono tra i pochi brutti ricordi che associo a lei. Mi mancano persino i litigi, così sani e infantili (le porte che sbattevo e la voce che alzavo, sapendo bene di avere torto, mi fanno adesso solo una grande tenerezza).

Conserva il tuo sorriso e la tua ironia per l'infinito cielo, mia cara mamma.
E a voi, amiche e amici del blog, i miei migliori auguri.

I compiti che ci aspettano sono gravosi: ma ce la possiamo fare, alleandoci con chi ci vuole bene e cacciando, con o senza tacco 12, chi ci umilia.

E, per favore, lasciate perdere i patetici spogliarelli.
Semmai, spogliamoci noi di tutte le inutili illusioni sui principi azzurri & affini.

Fatelo capire alle vostre figlie, come ha fatto mia madre con me. E persino sua madre (una donna dolcissima, madre di quattro figli, classe 1911) con lei.

Forza.

mercoledì 2 marzo 2016

In viaggio/bis con l'amazzone Loretta Emiri. E le nostre autiste nel cuore

Loretta Emiri firma il suo libro "Amazzone in tempo reale" per le "meninas" di Servigliano

Sono proprio contenta di come sia andata lo scorso lunedì a Servigliano: Loretta Emiri è riuscita a incantare le signore, anzi le meninas, le ragazze alla portoghese maniera, intervenute all'incontro organizzato dall'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina alla Casa della memoria ricavata nella ex bellissima, vecchia stazione della cittadina fermana.
Io pure mi sono guadagnata ben due mazzi di fiori, nonché svariate eccezionali frittelle di mela "dop" preparate da una cortesissima associata. Soprattutto, mi sono sentita accolta e valorizzata. Davvero grazie.

Cos'altro aggiungere?
Questo: stamattina il Corriere Adriatico ha pubblicato buona parte delle righe di resoconto che avevo inviato a Utete e al mio contatto in redazione. E' una piccola cosa, ma anche in questo caso sono lieta che per una volta tutto sia filato senza intoppi.

Mentre guidavo sotto la pioggia battente con Loretta affianco, ho mantenuto una calma lucida che mai avrei immaginato di provare: sembrava quasi che a condurci fossero altri autisti. Altre autiste, di nome Anna Luisa e Ada, le nostri amazzoni generatrici che da qualche tempo ci seguono da un'altra parte.

Non volevo ammetterlo neanche con me stessa, ma era inevitabile che già durante i giorni che hanno preceduto la conferenza di lunedì mi sarei ritrovata ad associare il nostro secondo incontro pubblico al precedente di due anni fa, quando questa seconda o terza fase della mia vita doveva ancora cominciare.

Loretta è stata più diretta di me e ha aperto il suo dialogo con la platea serviglianese proprio partendo dal ricordo di sua mamma. Inevitabilmente ho finito per tirare dentro anche la mia, ma ho cercato di non cedere, almeno non troppo, all'autobiografia per lasciare il doveroso spazio a lei e al suo bel libro Amazzone in tempo reale.

Devo dire, però, che il contesto così caloroso si prestava alla fuoriuscita di emozioni più personali, per cui va bene così.
Ho, peraltro, apprezzato moltissimo il modo in cui Mara Cherubini, la presidentessa dell'Utete, ha presentato l'autrice e la sottoscritta. Avrebbe dovuto pensarci un'altra persona (il bravissimo e impegnatissimo Stefano Bracalente), ma questa mitica donna è riuscita in poco tempo a organizzare un discorso simpatico e vivace. Accidenti che professionista.

La sera di lunedì, ve lo confesso, ero distrutta: si capisce da questi particolari quanto mi sia disabituata a stare in mezzo alla gente.
A distanza di due giorni, sono ancora parzialmente in palla. Ma va benissimo così: ve l'ho detto, è bello e onorevole stancarsi.

Al prossimo massacro, amici.