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domenica 28 febbraio 2021

Le donne, il lavoro e la gioia di fare ciò che ci piace

 


Ho scattato la foto che vedete sopra a una fermata dell'autobus che incontro quando vado a correre al parco di Schönbrunn.
Nei giorni seguenti ho scoperto che buona parte delle pensiline nel mio quartiere espone la stessa immagine.
Si tratta di una campagna a favore delle donne promossa dal Partito socialista austriaco, in vista dell'Otto Marzo.
Nel titolo in alto a sinistra c'è scritto: "Donne. Campionesse della crisi. Da sempre".

Lo slogan è semplice e facilmente condivisibile, almeno a parole.
Chi è che osa negare che le donne, noi donne, siamo state abituate da generazioni di madri e di nonne a gestire la quotidianità con tutte le sue grane come macchine da guerra?

A parole, dicevo, non c'è, credo, nessun partito che potrebbe affermare il contrario.
Nella scritta piccola in basso a sinistra, si specifica infatti che:
"Non è solo dal 2020 che noi donne ci opponiamo con tutte le nostre forze alla disparità di trattamento".

Intelligente, e per niente casuale, anche la scelta delle testimonial.
La giovane di pelle più scura è una mamma di due bambini, la bionda affianco, a occhio coetanea, una maestra elementare, la donna più matura un'assistente sanitaria (tipo, penso, le nostre Oss o badanti qualificate), la ragazza a destra una parrucchiera, definita per la precisione "lavoratrice autonoma".

Le quattro non sorridono, men che meno ammiccano. Hanno sguardi che ti scavano un po' dentro, a mio parere, come a dire: "Non arretreremo mai". Certo che no. 

Sono andata a leggermi il testo della campagna dell'Spö.
L'incipit recita: "La pandemia da Corona rende chiaro che le donne vengono ancora trattate sempre in modo diseguale". A loro, prosegue il testo, toccano i lavori peggiori, oltre al lavoro non retribuito di cura dei bambini e di assistenza ai malati. A ciò si aggiungono, si sottolinea, le esperienze di violenza subite già da prima della crisi attuale, ma diventate decisamente più visibili nell'ultimo anno.

Per tutti questi temi, asserisce la campagna Spö, è arrivato il momento di trovare rapide soluzioni e supporti adeguati alle donne colpite. Non solo: in vista della Giornata internazionale delle donne, si chiede un cambiamento di sistema. 

Da qui in avanti il testo si fa meno interessante, almeno per noi italiani abituati da sempre alle polemiche politiche, oltre che alla disparità di trattamento di genere.

Perché racconto questa storia? 
Ovviamente, perché mi riguarda, come donna e come straniera sbarcata in un Paese di cui non conoscevo nulla.

Vista dall'Italia, l'Austria sembra, o sembrava, una terra felice, ricca di opportunità.
Per qualcuno, e qualcuna, lo è davvero, lo è stata e lo sarà.

Sono certa, per esempio, che la ventenne afgana che ho conosciuto al secondo corso di tedesco, se non si mette a sfornare un bebè dopo l'altro, riuscirà a diventare una maestra d'infanzia, come diceva di voler fare.

Idem per la giovane bulgara, arrivata a Vienna un annetto fa, che con una laurea in tasca e molta attitudine allo studio (del tedesco, e non solo), di certo riuscirà a lasciare la cucina del pub dove lavava i piatti, per un lavoro migliore.

Andrà bene, credo, anche alla slovacca che voleva diventare infermiera, alla quale mancava solo il certificato B2 di conoscenza della lingua per potersi iscrivere a un corso triennale.

Idem succederà, penso, anche a chi di loro vorrà e potrà fare solo la mamma, perché nella maggior parte delle donne che ho conosciuto in quest'ultimo anno, ho visto comunque il desiderio fortissimo di mettere radici qui. Oltre ogni nostalgia per la patria lontana.

In tutto ciò, io dove mi colloco?
In comune con le compagne di corso, e con le signore della foto in alto, ho la determinazione a dare sempre il massimo.
Lo sa anche la mia nuova consulente del lavoro, che appartiene a una società di sole donne che cercano di dare un futuro migliore ad altrettante signore con alto profilo scolastico. E qualche anno in più sulle spalle.

Esemplare è anche la storia della suddetta consulente.
Di origine polacca, a occhio e croce, tra i trenta e i quaranta, si è trasferita qui da bambina con la famiglia. Nel nostro primo incontro si è presentata, raccontandomi del suo periodo all'estero, prima della decisione di tornare in quella che considera la sua patria per un lavoro più stabile, probabilmente, anche se non particolarmente ben pagato.

Di storie come la sua Vienna è piena. Gli uffici pubblici traboccano di signore con cognomi slavi, facile beccare anche qualche turca di seconda, o terza, generazione. 

Di italiane, nel grande mondo dell'Arbeitsmarketservice, ossia la mitica agenzia del lavoro che tuttora mi assiste (eh sì: ora mi assiste, sono ormai annoverata tra le disoccupate di lungo periodo), invece, pochissime tracce. Almeno fino a quest'anno. 

Tra i miei contatti, praticamente, non c'è nessuna che ha un'esperienza non dico uguale, ma almeno simile alla mia.
Un po' lo capisco. 
Il grosso delle mie connazionali lavora, o lavorava, nella ristorazione, da dipendente o titolare di attività, presumo con compagni e mariti. Ci sono poi le insegnanti di lingua, le artiste, le ricercatrici, e quelle che, magari, hanno un partner austriaco e/o varie proprietà in patria per cui il lavoro, o l'assenza dello stesso, non è un grande problema.

Dimenticavo le ragazze con una laurea tecnica e scientifica, come la giovane e simpatica napoletana, che, almeno l'anno scorso, prima dello smart working al quale è condannata da tempo immemorabile, era entusiasta della città.

Non ho dati statistici, insomma, ma a naso le italiane a Vienna, nel resto dell'Austria non so, sono giovani o se non lo sono più, hanno trovato qualche motivo davvero solido per restare oltre confine.

In qualcuno di voi, a questo punto, sarà sorta spontanea la domanda:
cara Madamatap, che diavolo ci fai ancora lì?

La risposta è sospesa, un po' come i caffè per i bisognosi e gli altri articoli che adesso si sono aggiunti alla lista delle necessità non più finanziabili.

Ringrazio però la consulente austro-polacca in particolare per un motivo.
Nel nostro ultimo colloquio mi ha suggerito di andare oltre il curriculum nudo e crudo, invitandomi ad interrogarmi su quello che mi dà gioia fare.

In tedesco si fa distinzione tra "Beruf", lavoro, nel senso di qualifica che si è raggiunta con studio e pratica, e "Berufung", che in senso stretto si traduce con "vocazione", in senso lato il mix di esperienze, interessi e attitudini personali, che fanno di ciascuno di noi un essere umano, una risorsa, se vogliamo chiamarla così, unica e insostituibile.

A questa domanda posso rispondere, o comunque non mi sottraggo.
Scrivere e fotografare. E poi leggere, studiare e correre. E conoscere la gente e farmi raccontare chi è e che cosa fa, provando a descriverla, e se possibile a illuminarla. 

E sti cazzi. Che fannullona
Ho anche qualche predisposizione al lavoro manuale, dimenticavo. Dovevate vedermi l'altro giorno, mentre aiutavo la mia amica austriaca a montare la poltrona dell'Ikea.

Ci metto però sempre del mio, con un'energia a tratti eccessiva (l'amica mi ha definita "hektisch", frettolosa. E meno male che la stavo aiutando, mortaccen suen. Però ci ha visto giusto, lo ammetto), per cui non credo sia il caso di farne parola con la consulente del lavoro.

Insomma, in un mondo ideale, una donna come me sarebbe perfetta in un sacco di contesti, soprattutto quando c'è da cazzeggiare in modo creativo, da prenotare viaggi (per l'Italia, soprattutto: ah sì, che bellezza), da sorridere garrulamente a più gente possibile. E da stringere qualche vite.

Dite che Vienna si accorgerà presto di questa perla matura (per usare un eufemismo)?
Staremo a vedere.
Basta andare avanti, a testa alta e la solita ironia, che non svanisce, nonostante tutto.

Ps W le donne!  

martedì 8 marzo 2016

Fierezza, dignità e niente spogliarelli: buon otto marzo, amiche e amici

Grazie ad Alessandra di Torino per la mimosa che mi ha mandato su whatsapp

Non male il doodle di Google dedicato alla festa della donna.
Peccato che in questo giorno mi prenda una grande malinconia.
Gli auguri più belli erano quelli di mia madre per sms: retorici e dolci allo stesso tempo.
Da lei ho imparato un sacco e credo, francamente, di stare continuando a imparare.

Se fossi madre, forse me ne renderei ancora più conto. Ma madre, ahimè, non lo sono.
Condannata a essere (probabilmente) figlia per sempre, spero comunque di riuscire sempre a trasmettere alle altre donne tutta la fierezza che ho appreso nell'esserlo io stessa da questa donna oggi lontana.

Nata in primavera, ha scelto la stessa stagione per andarsene. Non c'era persona che amasse, come lei ha amato, i fiori, il sole, i profumi della natura. La vita.
Su molte cose siamo e rimarremo diverse. Ma chissà se è davvero così. Più passano gli anni e più mi specchio in lei. Mia sorella, mamma, dice che si è ritrovata ad applicare i suoi stessi, contestatissimi un tempo, sistemi educativi.

Nostra madre non era perfetta, nessuno lo è. Però era sincera, aperta e appassionata.
E se c'è una cosa che non dimenticherò mai, su tutto quello che mi ha passato con il sangue e con gli abbracci che da bambina scansavo, è il senso di dignità che metteva in tutto quello che faceva. E che infondeva in chi incontrava.

Non posso andare avanti, sento che mi sta salendo una commozione molto poco dignitosa.
E a lei non piacerebbe.

Le poche volte che ha lasciato che la vedessimo piangere sono tra i pochi brutti ricordi che associo a lei. Mi mancano persino i litigi, così sani e infantili (le porte che sbattevo e la voce che alzavo, sapendo bene di avere torto, mi fanno adesso solo una grande tenerezza).

Conserva il tuo sorriso e la tua ironia per l'infinito cielo, mia cara mamma.
E a voi, amiche e amici del blog, i miei migliori auguri.

I compiti che ci aspettano sono gravosi: ma ce la possiamo fare, alleandoci con chi ci vuole bene e cacciando, con o senza tacco 12, chi ci umilia.

E, per favore, lasciate perdere i patetici spogliarelli.
Semmai, spogliamoci noi di tutte le inutili illusioni sui principi azzurri & affini.

Fatelo capire alle vostre figlie, come ha fatto mia madre con me. E persino sua madre (una donna dolcissima, madre di quattro figli, classe 1911) con lei.

Forza.

martedì 4 marzo 2014

In viaggio con Loretta Emiri (e la sua mamma) da Monte Giberto all'Amazzonia!


Che effetto mi fa leggere il mio nome in fondo alla locandina in arancio che vedete qui sopra! Sapete perché?
Perché l'incontro con Loretta Emiri è stato così casuale da farmi pensare che non lo sia stato affatto.
Per il momento mi limito a scrivere solo queste parole. Ciò che più conta, infatti, è che veniate a sentirla parlare, con la sua voce cristallina e la sua prosa asciutta e accurata.

Rimando a dopo il nostro incontro il resoconto di quella che già so sarà un'esperienza indimenticabile: a partire dal viaggetto che ci faremo con la Micra scassata verso Monte Giberto (per i non locali trattasi di un paese in provincia di Fermo).

Non vedo l'ora di avere di nuovo a bordo le due Thelma e Louise di Narni pronte sempre all'avventura... parlo di Loretta e della sua simpaticissima mamma. Io faccio solo la chauffeur (di qui la dicitura "conduce" sulla locandina. Ma potrebbe darsi che farò solo l'aiuto-ch etc etc, se ci dovesse scortare il mio burbero dal cuore d'oro consorte: quanta pazienza ci vuole, eh, Adarella?).

A sabato alle 16, allora: vi aspettiamo!