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domenica 2 agosto 2020
Sospensioni d'agosto
Non ho mai fatto il bagno nel Danubio e credo che anche per quest'anno passerò. A dirla tutta, non amo molto nemmeno la piscina: mi secca assai l'idea che debba mettermi a nuotare per forza, un attimo dopo essermi pucciata in acqua.
Ma quanto può essere brutto il verbo che ho appena usato?
Tra l'altro il correttore me lo segna come errore.
Tant'è.
Amo entrare in acqua un poco alla volta. Noi gente dell'Adriatico, d'altra parte, siamo fatti così. Siamo viziati. Vuoi mettere il piacere che si prova a starsene a riva, i piedi appena appena in ammollo, poco dopo i polpacci, le ginocchia, le cosce e poi, alt: per il bacino e la pancia, beh, che fretta c'è. Prima camminiamo un po'.
Ecco: se fossi al mare in questo momento, approfitterei del grigiore della giornata per andare un po' avanti e indietro in quell'acqua magnificamente brodosa, così vituperata dai troppi connazionali che si lagnano per le meduse e il clima tropicao di questi ultimi anni.
Per carità, a chi piace l'idea che potremmo ritrovarci tutti appassionatamente in una vignetta dei Peanuts insieme con Spike, il fratello di Snoopy che parla con i cactus.
Nell'attesa dell'Apocalisse prossima ventura, consiglierei però a tutti di fare un salto in una qualsiasi città del Nord Europa con analogo clima lattiginoso ma puzzolente come una discarica per via della mancanza di acqua e brezza marina.
Che poi un altro effetto del riscaldamento climatico, almeno credo, ma bisognerebbe chiederlo al pacifico Luca Mercalli o all'altrettanto bonario meteorologo di La7 che ora non ricordo come si chiami, è che si passa in poche ore dal forno crematorio alla bufera artica. La sottoscritta, per dire, si è beccata l'altra sera un "Gewitter" epocale, mentre tornava in bicicletta dalla palestra.
Non sono esattamente Jack London, per cui non nascondo di essermela abbastanza fatta sotto, pur essendo riuscita a rifugiarmi appena in tempo sotto lo squallido androne di un negozio di telefonia (era sera: l'ho capito solo qualche giorno dopo dove diavolo mi fossi andata a rintanare).
Prima di decidermi a proseguire fino a casa, ho potuto osservare la potenza dei fulmini che illuminavano il cielo a giorno e la massa d'acqua spostata dal vento, a sua volta mostrata in tutta la sua imponenza dai lampioni.
Il giorno dopo, però, non è che avesse granché rinfrescato.
E così mi sono decisa ad andare in piscina. "La piscina" per eccellenza, per quanto mi riguarda, almeno finora.
Sto parlando del magnifico spazio all'interno del parco di Schönbrunn.
Posso contare sulle dita di una mano le volte in cui ci sono stata: l'anno scorso ci ho portato anche il Bipede, in un'analoga giornata di calura e con analoga nostalgia adriatica.
Per fortuna ho trovato un lettino libero a bordo vasca, un miracolo autentico, considerata la folla di gente di ogni età che aveva avuto la mia stessa idea su come passare un sabato pomeriggio d'estate.
Nella prima mezz'ora ho tentato di leggere e prendere il sole, ma proprio come mi succede al mare, alla fine ho girato il lettino verso la vasca e mi sono messa a guardare i bagnanti.
L'età era varia, molte panze al vento come in Italia, vari palestrati, qualche ragazza caruccia, meno i ragazzi, e poi quella donna non più giovane, con un viso da cinema incorniciato dai capelli bianchi raccolti, che si è appoggiata al bordo per riposarsi un po'.
Per un attimo ho temuto che fosse in difficoltà, e invece, eccola lì, che sguscia via placida e agile tra i corpaccioni in verticale con occhiali da soli annessi.
Non volevo bagnarmi subito, troppa gente in acqua, troppo poco lo spazio tra la scaletta e i ragazzotti ai lati. E poi da lì dovevo nuotare subito e, ve l'ho detto, io sono viziata.
Così ho fatto prima una doccia, dopo un po' ho bagnato le gambe sulla scalinata della vasca per i "nichtschwimmer" e però avevo gli occhiali da sole e no, non potevo bagnarmi la testa. Allora li ho poggiati sulle ciabatte e splash. Si fa per dire.
Ho sguazzato per pochi minuti. Vicino a me una giovane mamma giocava a palla con i suoi piccini.
Che cosa avrei pagato per essere uno di loro. Almeno avrei avuto un'ottima scusa per usare il tukano che vedete nella foto.
L'ho comprato l'anno scorso, un po' per gioco un po' sul serio.
Avevo pensato che per fare il bagno nel Danubio mi ci sarebbe voluto un supporto di salvataggio. Per i braccioli, beh, sarei stata piuttosto fuori età, ma il tukano, o meglio ancora il flamingo rosa, vanno tanto di moda: chi mai avrebbe avuto da ridire se una signora se ne fosse avvalso per tenersi a galla?
Fatto sta che non sono riuscita ad usarlo.
Ai tempi lavoravo e i giorni liberi quasi mai coincidevano con il meteo favorevole. A settembre siamo tornati in Italia, ma me lo sono scordato qui a Vienna. E pazienza: tanto nel mio mare non ne avrei avuto bisogno.
Al ritorno, ho riposto il tukano ancora chiuso nella sua confezione in fondo all'armadio. Poi è arrivato l'autunno e poi l'inverno e sopra ci ho piazzato una busta con i costumi e altri accessori estivi tristemente poco utilizzati.
Finché è tornata la primavera con lockdown annesso e l'incertezza liquida nella quale navigo ancora.
La figlia dei miei proprietari è una bambina simpaticissima. A maggio ha compiuto 7 anni. Perfetta per il tukano.
Gliel'ho fatto trovare davanti alla porta di casa con un biglietto. Per imballarlo, avevo usato una carta regalo natalizia: ho scritto che, in fondo, quello era il suo Natale e altre scemenze simili.
La piccola ha gradito ed io ne sono stata felice.
Durante l'estate i suoi genitori hanno installato una piscinetta nel giardino. Anche loro, a dirla tutta, non l'hanno usata poi così tanto, ma io speravo che prima o poi tirassero fuori anche lui, il salvagente trendy acquistato dalla loro bizzarra inquilina italiana, in uno dei tanti accessi di saudade.
Finché è successo, proprio ieri sera, al termine di questa mia giornata rilassante, finalmente estiva, sospesa tra un passato spesso cupo e un futuro che non so dove mi porterà. Ho guardato giù dalla finestra e ho visto il volatile di plastica adagiato su una sdraio. Credo che abbiano fatto il bagno di notte: bravi loro.
Ogni estate dovrebbe regalarci momenti del genere, e dovrebbe darli a tutti, a prescindere da quante rughe abbiamo.
Giusto ieri ricorrevano i miei primi due anni a Vienna. Non riesco a crederlo e insieme mi pare che sia davvero successo di tutto da allora.
Non ho ancora del tutto superato quello che mi è successo qualche mese fa (me lo dicono i sogni sui colleghi che a volte mi svegliano nel cuore della notte. Nell'ultimo mi avevano ripreso con loro, ma io non volevo tornare), eppure il tempo è passato e ieri, per fortuna, ero in quel posto bellissimo, a guardare le foglie degli alberi baciate dalla luce.
Tra un paio di settimane comincio un nuovo corso di tedesco, livello B2, intermedio superiore. Vado fiera di come ho gestito il tempo passato dalla fine del contratto ad oggi e sono orgogliosa che qualcuno, finalmente, se ne sia accorto.
Però non so cosa sarà di me, durante il nuovo corso e soprattutto dopo.
Nel frattempo, mi aggrappo all'estate e alla sospensione che ci regala l'acqua e l'azzurro e le lunghe serate di stelle. A quelle che ho visto davvero, anno dopo anno, agosto dopo agosto, a quelle che ho immaginato di vedere anche da qui, a mille e più chilometri dalla mia bella Italia.
mercoledì 24 luglio 2013
D'estate, il vuoto, almeno per un po'
Con l'arrivo di Caronte, o come diavolo hanno chiamato l'incombente ondata di calore di fine luglio, personalmente mi preparo a chiudere i battenti. Di che cosa? Ma di casa mia, naturalmente.
Non avendo un "lavùr d'uffessi", come si augurava Marisao per i suoi figli, ne ho creato uno, piuttosto improvvisato e incasinato, nell'abitazione che condivido con il Bipede fumatore di pipa e i nostri due gatti (che a proposito: in questo momento stanno dormendo sotto le coperte, immuni, evidentemente, all'innalzamento ancora in corso delle temperature).
Nel giro di una settimana, la zona "studio" (uso le virgolette malamente e di proposito) diventerà un forno, per cui, alla faccia dell'unico 2012 (quel che stato è stato, del resto) e di quello non credo molto più ricco che ne seguirà, a breve spegnerò tutto e andrò al mare, o al limite a riposare sotto una fresca pianta (devo però ancora cercarla: quelle del duomo mi hanno un po' rotto le balle).
Più invecchio e più mi convinco, infatti, che bisogna bandire dalla nostra coscienza (ammesso di averne una) onerosi sensi di colpa e attivismi privi di scopo.
A patto, naturalmente, di essere capace di restarmene tranquilla, nella mia pseudo condizione di vacanza.
Direte voi: e che ci vuole? Dipende. Da che dipende? Dal nostro Dna, temo.
Se, per dire, siamo abituati a essere sempre "proattivi" (altre virgolette volute, per sottolineare la bruttura della parola utilizzata), qualche rottura di balle ci sarà di sicuro: ce la saremo, anzi, procurata con le nostre stesse manine.
La consapevolezza di essere una spugna delle altrui lagne me l'ha data il sempre più cinico Bipede Paolo che non me ne fa passare una. Nell'ultimo periodo, per esempio, mi fa il verso parafrasando l'orrida pubblicità dell'otto per mille della Cei, dicendomi: "hai un problema inesistente? un manoscritto da correggere, un'angoscia da placare, un concorso inutile da segnalare? chiedilo a..."... a me, denominata in questo contesto "piccì", perché anche noi non sfuggiamo ai nomignoli che ci si affibbia quando si sta in coppia.
Il problema, però, non è di chi mi passa testi, incombenze, sfighe etc etc: il problema sono io e il mio dannato ottimismo. Sì, perché, regolarmente, io mi presto, dispensando consigli, sorrisi e ringraziamenti. E invece dovrei dire no, grazie, lasciate perdere. Lasciatemi perdere, che ce la fate anche da soli, esattamente come ce la farei io se fossi in grado di liberarmi dal senso di colpa di non essere sufficientemente d'aiuto se non mi sbraccio con veemenza e non mi perdo in infinite e dettagliate spiegazioni, un aspetto del mio carattere ereditato dalla buona educazione ricevuta, ma ormai impastato nella mia stessa essenza.
Come dice un vecchio adagio, tuttavia, non si cava sangue da una rapa, cioè a dire: non essendo in grado di dire no a chicchessia, non mi resta che usare una strategia meno diretta, ma per qualche tempo abbastanza efficace. A breve comincerò a sbandierare la prossima partenza per la mia terra natale e i miei impegni di zia e di figlia devota. Tutto vero, intendiamoci, ma anche affettuosi capri espiatori anti-prestazioni/consigli/sollecitazioni esterne, che in questo momento dell'anno mi pesano più che mai.
Voglio fare vuoto. Ne ho un bisogno vitale. In barba alla società del sempre pieno e alla mondanità forzata.
Sono sorridente e ottimista, sì, ma anche una testa dura d'abruzzese. Quindi ce la farò.
Però accidenti che fatica sfaccendarsi davvero.
Per entrare nello spirito giusto, comunque, ho deciso di sospendere le lezioni di inglese per un mesetto, anche se continuerò a leggere il libro di Jason e altre cosette che ho ricevuto in regalo.
Domani, poi, dico addio (o arrivederci, chi lo sa) al mercatino di Fermo, un'esperienza assolutamente positiva (ma che mi richiede un livello di interazione veramente da guinness...). Sbrigherò quindi le ultime incombenze di lavoro e burocratiche e via, alla conquista del vuoto.
Più o meno...
Buona estate a tutti.
lunedì 13 agosto 2012
Pensierini di Ferragosto di chi non è partito
Il cestino delle carte in semi-primo piano non è proprio il massimo, ma d'altra parte amplifica l'atmosfera da fine estate di questo scatto (come se dicesse: buttiamoci alle spalle la bella stagione. Bella stupidaggine, eh?).
E pensare che risale alla penultima perturbazione della seconda metà di luglio, quando l'autunno, e tanto più l'inverno, erano ancora decisamente lontani. Oggi, se possibile, fa ancora più freddo di quel tardo pomeriggio in cui, Sfaccendato e io ci eravamo concessi una birra a pochi passi dalla riva. Quella coppietta sul fondo della passerella pareva pagata dalla Pro Loco. D'altra parte ci sono luoghi e temperature che invogliano a effusioni e tenerezze così. Buon per loro.
Invece a me, quest'anno, nonostante l'afa, non è quasi mai sembrata estate. Oltre alle solite lagne sul lavoro che non c'è, credo che dipenda soprattutto dal fatto che non ho fatto neanche un viaggio, tolto quello brevissimo a Bibbiena peraltro compiuto prima dell'ingresso ufficiale della stagione che mi ha visto nascere.
Tra pochi giorni, certo, visiterò una zona delle Marche in cui non sono mai stata e sarà come partire per destinazioni più lontane (sono una che si sa accontentare, per fortuna), ma il risvolto più meno pratico del piccolo trasferimento nella zona nord di questa bella regione mi impedisce di concepirla del tutto come una vacanza.
A peggiorare le cose, ahimè, si aggiunge l'impressione che invece tutti gli altri siano in panciolle, anche quando hanno facce lunghe e antipaticamente annoiate come i vicini di ombrellone di Marisao o al contrario sembrano divertirsi un sacco a schiamazzare fino alle quattro del mattino convinti che il quartiere sia tutto loro, come i tizi che gestiscono la pizzeria-chalet di fronte alla nostra camera da letto, che rigovernano tavoli e stoviglie tenendo la radio a tutto volume ben dopo la mezzanotte.
Non c'è niente che mi manda più in bestia della maleducazione, ma da un altro lato mi rendo conto che l'estate è breve e che tra pochi giorni rimpiangeremo di non potercene più restare in mutande (più o meno) tutto il giorno.
E poi, in fondo, perché dovrei alzarmi presto se non ho particolari impegni? Devo avere un senso di colpa lungo più delle facce annoiate e antipatiche di quella gente del nord che non si smuove da sotto l'ombrellone neanche se arriva l'ariètta con la a aperta come la chiamano loro.
Sarà come sarà, l'altra notte non ce l'ho fatta più e sono sbottata.
Finché c'è stata la musica forte, da discoteca, stranamente ho pure dormito. A svegliarmi, è stata la voce sgraziata, da maschio ottuso, di un tizio secondo me neanche giovane che andava storpiando una canzone di Lucio Dalla, accompagnato da un suo pari impegnato in una sessione di percussioni improvvisate chissà se su una latta enorme di birra.
Fatto sta che mi sono alzata, ebbene sì, semi-nuda, e mi sono diretta alla finestra come una furia. Ho atteso qualche secondo per essere sicura di quanto stessi ascoltando e poi, preso fiato come neanche una cantante lirica, ho urlato: "BASTAAAAAAA!". E ho richiuso la persiana. In tutta risposta mi sono sentita dire: "Perché, non de piace?". E io, con una prontezza elargitami solo dall'esasperazione, di rimando, in italiano pulito, senza inflessioni particolari né soprattutto, vista la situazione, parolacce: "A un certo punto bisogna anche dormire!". E quello, di risposta: "Ah, allora scusa". E me ne sono andata in bagno a fare pipì mezzo assonnata mezzo divertita dalla mia stessa performance. Mio marito il giorno dopo mi ha detto che il cantatore notturno ha borbottato "checcò" d'altro al mio indirizzo, con tono di certo poco signorile. Sia come sia, la serenata degli ubriachi è morta lì, ma io, da quel giorno, ho preso la mia definitiva decisione: finché il dannatissimo chalet resterà aperto dormirò in soggiorno nel divano letto tutto schiantato ma comodissimo, un tempo ubicato nella casa dei miei genitori a Francavilla al Mare. In un certo senso, questo piccolo cambiamento forzato sa di vacanza più delle mattinate nella concessione di mia suocera, tra gente orribile impegnata a sprecare il tempo non sapendone fare tesoro.
Stamattina, comunque, non sono scesa al mare, con la scusa dell'appuntamento su skype che avevo con una persona. Aspettavo, credo, il momento di ritrovarmi qui, da sola, davanti allo schermo per riordinare i pensieri. Dovevo fare spazio, svuotandomi delle parole in eccesso rimaste lì a rotearmi nella testa.
In parte, ci sono riuscita.
Il resto verrà fuori pian piano, come l'autunno dopo l'estate e dopo ancora l'inverno.
Alla faccia di bagnanti antipatici e pizzaioli sgraziati, perciò, sarà bene continuare con la provvista di bagni, di sale e e di sole.
Buon Ferragosto, amici.
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