domenica 20 gennaio 2013
Il mezzo compleanno
Da oggi comincia il conto alla rovescia fino al prossimo 20 luglio.
Esattamente sei mesi fa compivo 41 anni: dunque oggi è il mio mezzo compleanno, il che vuol dire che da domani di anni ne avrò quasi 42, non più strenuamente 41 fino alla vigilia del mio personale natale. Dichiarerò apertamente la mia età anche a chi, eventualmente, dovesse chiedermela (ma dopo gli anta vedo che accade meno di frequente: nonostante creme e fitness, per una donna, la mezza età continua a essere suggellata con il superamento della boa dei 39 e se chi ti guarda l'ha capito eviterà pietosamente di fare domande indiscrete).
Sarebbe il caso di fare bilanci? In realtà no, anche perché ne faccio di continuo tutti i giorni (e non di rado pure più volte al giorno) e semmai oggi vorrei soltanto rilassarmi.
Ci tenevo tuttavia a fissare sul mio lagnoso blog personale questa abitudine del mezzo compleanno, che esiste da ben prima che arrivassi a 40 anni.
Se non vado errata, ho cominciato a percepirmi con l'anno in più sulle spalle prima dei 30, altro step piuttosto sentito dalle donne, o almeno da quelle che conosco io.
Nella versione anonima di questo spazio, che ho conservato più o meno finché è durato Splinder, ho pubblicato varie foto della me più giovane, compresa una scattata nell'estate 2001, in un periodo molto importante della mia vita.
Avevo bisogno di buttar fuori chi ero forse per capire meglio chi sono.
Sotto questo aspetto (ma chissà) ho l'impressione di essere a buon punto, ma temo che sia difficile che lo si percepisca all'esterno. Non escludo, quindi, che scriverlo quassù, adesso che potenzialmente sarei come su una pubblica piazza, mi serva per lanciare qualche messaggio neanche tanto sottinteso.
A quasi 42 anni non è più il caso di perdere tempo, meno che mai con chi si ostina a vederci come quando ne avevamo molti meno.
I mutamenti sono lenti, certo, e spesso non sono chiari fino in fondo neanche a chi li vive, però con pazienza, rispetto e ascolto reale li si può vedere. Direi proprio che siano leggibili in tutto ciò che siamo, che facciamo, ed è così bello quando qualcuno, finalmente, te lo fa notare.
A me piace vedere i cambiamenti altrui, soprattutto quando rendono migliori.
E non credo sia solo una questione d'età, benché sia proprio grazie ai miei anni in più che ho capito quanto sia importante non nasconderli, per l'infantile paura di deludere chi continua a vederci come eravamo un tempo.
Ho capito anche un'altra cosa: non è solo la distanza geografica e cronologica a cristallizzare i rapporti ad anni passati. E' più quella mentale a fare la vera differenza: se c'era già prima, è difficile che dopo, con il rarefarsi degli incontri, si possa recuperare il tempo perso e imparare a conoscersi daccapo.
Sarà successo molte volte anche a me di inquadrare qualcuno in un modo e di non essere stata in grado di percepirne i mutamenti con lo scorrere del tempo.
Fa male quando capita con le persone che una volta ci sembravano tanto simili, tanto amiche, ma, per l'appunto, è sempre bene interrogarsi se non ci sia stata anche da parte nostra una certa quota di schematizzazione.
Ci sono persone, per dire, che mi mancano moltissimo, ma riparlandoci di recente, ho capito che ci siamo allontanate. Con altre, invece, non è successo, ed è davvero un miracolo ritrovarsi come se ci si fosse visti il giorno prima.
In ogni caso, come già ho considerato in post simili a questo, non ho più intenzione di fingere stati d'animo che non provo pur di risultare gradita alla collettività. La "Cica" non c'è più, la "Mussolini" men che meno, "Alina", forse, un po' è rimasta soprattutto perché come ai tempi in cui fu coniato quel soprannome, non ho smesso di tenere diari.
Chi sono adesso? Sempre la stessa scassapalle, con qualche ruga (accidenti quante!) in più e il solito sarcasmo a tratti greve.
Gli anni vissuti sono però molti di più e anche se penso tuttora di avere ancora una corazza solo all'apparenza dura e se mio marito prende sempre in giro il mio presunto autolesionismo, non ho davvero più voglia di farmi inutilmente del male, tentando di essere ciò che non sono.
Mi basta quel che sono e quel che voglio diventare. E farò di tutto per non perderlo di vista. Per non perdermi di vista.
E come ho già detto, chi mi ama mi seguirà. Pazienza per gli altri.
Auguri a me, quasi 42enne.
venerdì 11 gennaio 2013
Pessimista io? Ma no
Chissà come si chiamava il fotografo che mi scattò questa fotografia. Al di là della tenerezza che provo a rivedermi così graziosamente bambina, la trovo molto ben fatta pure tecnicamente. In particolare, resto sempre molto colpita dalla bambolina che stringo nella mano sinistra, la testa tonda e pelata, molto simile alla mia, coperta da quei sottili e radi capellini biondi, e quel braccino bianco, anche in questo caso assai simile al mio destro tondo e morbido come una fetta di pandoro. Infine c'è tutto quel rosso, del moscone su cui ero appoggiata e del costumino dalla fantasia anni '70. Per me è un piccolo esempio di perfezione compositiva, che mi ha spinto a ripubblicarla qui, assecondando un non tanto celato bisogno di amarcord, tipico di chi vive un presente molto meno rassicurante di quel lontano giorno della mia infanzia.
Stamattina l'ex bimba è stata presa per una persona un po' depressa, mentre, una volta tanto, mi sentivo semplicemente realistica. Se devo proprio farmi sfruttare, consideravo con il commercialista amico di mio padre, preferisco fare lavori umili, manuali magari (sempre ammesso che ne sia capace) anziché ricominciare la solita trafila delle collaborazioni esterne o peggio ancora del simil-apprendistato. Anche perché, diciamolo, alla mia età non ho alcuna chance e anche solo pensare di averla è una frustrante perdita di tempo.
D'altra parte, posso assicurarlo, non mi ero mai sentita così convinta del valore delle mie piccole creazioni artistiche come mi è accaduto con quelle realizzate nell'ultimo anno. Ci credo fortemente ed è davvero una svolta psicologica importante, da difendere con unghie feline dai depressi mascherati da disincantati, dai pavidi rivestiti di pragmatismo e da tutte quelle forze negative che gettano ombre su chiunque cerchi di usare talento e personalità per non mollare e resistere allo sconforto della precarietà.
Ormai, aggiungo, anche quest'ultima parola mi sembra che abbia perso senso: la sento ripetere da troppe bocche fetide, da troppi servi, da troppi cinici,da troppi indifferenti perché possa credere che sia davvero vista come un'emergenza nazionale. Per non parlare di quelli che dicono di voler aiutare i "nostri giovani", i più penalizzati, certamente, dal "lavoro che non c'è", un'altra noiosa, abusatissima locuzione dei nostri tempi.
Stancamente, mi trovo costretta a ripetere che non sono solo loro le vittime di un Paese che sembra incapace di risollevarsi, ma anche le donne (basta aprire Sette del Corriere della Sera della scorsa settimana per verificare che per la reale parità con gli uomini occorreranno altri vent'anni. Almeno. E non sto parlando del bollettino della Cgil, bensì di un cosiddetto giornale della classe dirigente), e gli adulti ultraquarantenni.
Lo sa bene, del resto, lo stesso commercialista, classe 1942, coetaneo di mia madre, forse costretto a restare ancora a lavoro per aiutare la figlia nata sul finire degli anni Sessanta, in difficoltà con il sogno d'impresa condiviso con una socia, per via di un aumento geometrico dell'affitto del locale in cui avevano deciso di investire tempo, denaro e professionalità. Sembra che adesso siano riuscite a trovarne un altro più economico, ma mio padre mi ha lasciato intendere che non siano le sole a pagarne le spese di gestione. Un'intera generazione oggi alle prese con la salute che scricchiola (non oso pensare che problemi potremo avere noi un giorno, si spera molto lontano, con tutto lo stress e la bile accumulati) sta usando una certa parte della pensione per venire incontro alle esigenze di questi figli ormai più che maturi prima che sia troppo tardi. Sempre ammesso che si possegga una buona rendita o qualche bene di valore da trasmettere loro un domani.
Tutto questo non è pessimismo, no. E' sano, forse solo un po' crudele, realismo.
Un sentimento che mai avrei pensato di nutrire in quel remoto giorno d'estate, ma neanche qualche anno dopo, ai tempi dell'università, giorni di certo mitizzati, il legame con i quali mi ha però permesso, di recente, di tornare a lottare, nonostante tutto.
E ok: se sarò costretta a chiudere la partita Iva dei minimi per via di una modifica della legge che mi aveva permesso di aprirla cinque anni fa, lo farò e basta. In fondo è tutta inutile burocrazia. Niente però mi impedirà di continuare a considerarmi una che scrive, che fotografa, e che soprattutto pensa e agisce con la propria testa.
Concludo con una postilla ispiratami da uno scambio che ho avuto su Facebook con un vecchio amico degli anni belli della mia giovinezza. Lui diceva di non essere d'accordo con il fatto che si debba girare il mondo per sentirsi in pace con se stessi. Io gli rispondevo che in linea generale è vero, ma se non hai avuto l'occasione (e anche la bravura, perché no?) di compiere le scelte giuste nei tempi giusti, ormai non hai più chance in questo Paese, ed è abbastanza probabile che farai una gran fatica a pacificarti interiormente, visto che sarai costretto a girare ancora e ancora come una trottola in attesa di trovare il "tuo" posto.
Insomma: non esiste una ricetta unica valida per tutti né mi sentirei di condannare chi si ferma e sta e di incensare chi va e va. Mi dispiace solo constatare che non per tutti è una semplice questione di preferenza per l'una o l'altra filosofia di vita, ma una mera questione di fortuna, pure geografica oltre che sociale.
Se un giorno dovessi trovare il "mio posto", comunque, non mancherò di sottolinearlo, perché di sicuro, se accadrà, mi sentirò più serena. Per il momento, mi accontento di risentire proustianamente qualche suono, qualche profumo antico, riattraversando le strade note della mia adolescenza, pur restando consapevole che il desiderio di fuga nutrito proprio a quei tempi non si è affatto placato. No, amico della mia giovinezza, il centro del mondo non è qui. Non ora. Anche se non posso dire che non lo sarà mai, come sostenevo fino a dieci anni fa.
In fondo, ho ancora qualche tempo per scoprire dove sia, il mio centro, agognato (sì, lo ammetto: lo sto cercando) del mondo. L'importante è crederci profondamente.
Altro che pessimismo.
domenica 30 dicembre 2012
La cura della leggerezza per un ex (?) brutto anatroccolo
Lorna Paz, alias Patrizia la bionda finta in Betty La Fea |
Avrei voluto scrivere un post serio serio, cupo cupo, e invece ho cambiato idea, proprio grazie all'ispirazione originaria. Sì, perché sono andata a cercarmi informazioni sulla "bionda tinta" della telenovela colombiana Betty La Fea e così ho scoperto cose talmente interessanti da farmi desistere dai propositi polemici e depressivi.
Ho conosciuto la storia di "Beatrice la cozza" (Fea significa all'incirca questo in italiano) grazie a mia mamma, nelle varie trasferte degli ultimi tempi nella mia città natale.
Lo danno tutte le sere (compresi sabato e domenica) su Vero-Capri, il canale di Maurizio Costanzo per casalinghe (sicuramente disperate) e gente in crisi come me.
La storia è vecchia come il mondo: in estrema sintesi si parla della trasformazione di una giovane donna-brutto anatroccolo ma con grande cervello in un magnifico cigno.
Ovviamente, l'attrice protagonista (Ana Maria Orozco) è una bellissima colombiana, morbidamente attraente quanto le altre partecipanti alla telenovela trasmessa dalla tv del paese sudamericano tra il 1999 e il 2001. Nel link che ho riportato appena sopra potrete assistere e stupirvi come ho fatto io poco fa della sua metamorfosi nella racchia dal QI ben sopra la media. Non solo, scoprirete anche che il ben più noto Ugly Betty ha preso spunto proprio dalla soap colombiana, così come le altre numerosissime versioni trasmesse in tutto il mondo.
Ho già espresso il mio positivo giudizio positivo sulle culture ispaniche all'incirca un anno fa, in occasione del mio innamoramento televisivo per Fisica o Chimica. Anche in quel caso, ovviamente, sto parlando di telefilm svuota-cervello (come li definisce mia mamma), ben più positivi per la mia psiche un po' turbata di quelli sui medici che spopolano ormai da anni in tutte le tv e quelli violenti e cinici tanto di moda nel pubblico più disincantato di me.
Insomma, vado alla ricerca dell'evasione e della leggerezza, pur rifuggendo la retorica dei buoni sentimenti e la lagna melodrammatica.
E poi diciamolo: è facile immedesimarsi in Betty e sperare di trasformarsi in cigni, non solo esteticamente parlando.
C'è un ultimo aspetto che mi piace delle mie recentissime scoperte sulla soap colombiana: gli attori sono miei coetanei e hanno girato le puntate che li hanno resi famosi tra il 1999 e il 2001, negli stessi anni in cui io ho frequentato la scuola di giornalismo. Nello stesso periodo in cui, insomma, in un certo senso anch'io mi trasformavo se non in cigno in un paperotto meno goffo.
Oltretutto, la Colombia è il paese di Gabriel Garcia Marquez, uno dei miei autori preferiti ai tempi del liceo, quando mi sentivo piuttosto "fea" ma con un ribollìo nel sangue che non mi ha più abbandonato.
Insomma, ci si cura anche così, sognando impossibili rivalse e ridendoci anche un po' su.
E pazienza se non si è sempre in grado di mostrarsi forti e corazzati.
A volte bisogna ripiegare e acciambellarsi come gatti. Al risveglio avremo di nuovo fame e una gran voglia di esplorare.
martedì 25 dicembre 2012
Strano Natale
Strano Natale. Spento Natale. Triste Natale.
Non vado oltre, potrei diventare ancora più lagnosa.
E in fondo la mia montagna è sempre lì, nascosta da una leggera e umidissima foschia.
I nipoti crescono bene e sanno divertirsi con intelligenza e dolcezza.
E la cena della vigilia è stata piacevole, la malinconia provata più o meno la solita.
Però vorrei scappare via e camminare, per le squallide strade di Chieti Scalo, sperando che l'andare lavi via un po' del vuoto che mi attraversa.
Ho con me le scarpe da corsa, non vedo l'ora di indossarle sotto una delle vecchie tute rimaste nei cassetti un tempo pieni della biancheria mia e di mia sorella, e respirare il freddo bagnato.
Eppure sono così ironica, di solito, ma in questo momento il sorriso è spento.
Potrei giusto dormire e sperare di sentirmi meglio al risveglio.
In ogni caso, dovevo essere qui. Volevo essere qui e qualcosa mi dice che non potrò mai dimenticare il mio primo Natale da adulta.
Che sia foriero di nuovi cambiamenti? E' quanto mi auguro per l'anno alle porte.
Laicamente, auguro ai miei amici (degli altri non mi curo. Almeno, ci sto provando a non farmi infliggere ulteriori gratuite ferite) qualcosa del genere.
La vita ha senso solo se ci rimettiamo sempre in gioco, con le forze che abbiamo, dimentichi di quelle di un passato ormai lontano.
Niente è perso, d'altra parte, e una parte di noi resterà per sempre bambina.
Sappiamone farne tesoro.
Auguri.
venerdì 14 dicembre 2012
Mossi ma vivi
In questi giorni mi sento mossa come il bellissimo Nino nella foto qui sopra.
Al contempo, mi torna in mente la conversazione che ho avuto con la compagna di mio cugino Francesco un paio di settimane fa.
Se avessi la possibilità di dimostrarlo, in questo momento potrei svolgere anche il lavoro più gravoso, anche il più stressante. Certo, voi direte, non avendone uno concreto per le mani, è facile parlare così.
E però ve lo assicuro: di botto non ho più paura di nulla, se non degli stop imposti dal caso, che però niente hanno a che fare con quanto già di per sé noi umani (noi creature viventi in genere) potremmo realizzare con le nostre sole forze.
Sì, sono proprio come Nino, che salta, mangia, dorme e gioca per istinto, senza bisogno di farsi inutili domande.
La vita è breve. Ora lo so con più chiarezza di prima.
Mi secca molto essermi per certi versi ritirata dall'azione troppo presto, ma ormai è fatta. Recriminare non serve. Anzi, è proprio dannoso.
Non potendolo provare nel mio settore lavorativo, allora, non mi resta che darmi da fare in tutto il resto.
E lo farò. Seguendo il mio istinto e il mio cuore.
Non c'è altro che conta.
venerdì 7 dicembre 2012
Una donna, nonostante i capelli "lendi"
Non c'è niente da scherzare, lo so, però il periodo impone una certa dose di sdrammatizzazione.
Nel giro di due mesi ho accumulato già una certa esperienza in fatto di corsie, dottori e infermiere/i, non abbastanza lunga, certo, da lasciare che mi produca in una sentenza tranchant, ma sufficiente a farmi augurare di rimanerne il più possibile lontana, finché la carcassa reggerà.
Per dire, mi sapete spiegare perché il solito ginecologo con panza rotonda e pelata da prepensionato non mi abbia rilasciato neanche stavolta la ricevuta? Oltretutto era in presenza di testimoni (il mio povero consorte che mi mandava, lui sì, fulmini e saette con i suoi occhiacci fiammanti per averlo trascinato in quell'angusto e mal arredato studio medico). Non puoi, per nessuna ragione al mondo, infilarti nella tasca del camice euro-settanta di compenso, senza battere un ciglio. Eppure neanche stavolta sono stata in grado di dirgli nulla e mi sono persino comprata l'integratore che mi ha propinato come ultimo rimedio contro la vecchiaia uterina (e non solo) che avanza.
Certo, ero talmente felice di sapere di non avere nulla di specifico che forse l'avrei persino filialmente abbracciato, ma davvero non si gioca così con le fragilità e insicurezze altrui.
E però poi ho letto il bugiardino, come Moretti nel solito Caro Diario.
E mi sono chiesta: ma mi ha guardata?
No, perché d'accordo che ho le gambe muscolose e i capelli fini, segni probabili di una certa androgenia (si scriverà così? Boh), ma la pelle unta, l'acne, l'irsutismo e l'obesità non mi sembra proprio che mi appartengano. D'altra parte, mi ha prescritto un integratore, ossia acqua fresca, per cui posso pure prenderlo. Però i sospetti aumentano: fosse fosse che ha un accordo con la casa farmaceutica produttrice per erogarne un tot alle "tardipare"?
Chi può dirlo.
L'istruttivo foglietto della polverina che sto prendendo da qualche giorno mi ha fatto tornare in mente un episodio accadutomi almeno quattordici anni fa.
Ero a cena con un po' di gente della mia cerchia chietina, alla presenza di un tipo forse già cinquantenne o più (ai tempi trovavo decrepiti i quarantenni, figuriamoci quelli più grandi) di cui si diceva avesse qualità sciamaniche. O qualcosa del genere.
Fatto sta che mi guarda in faccia e dice, rispondendo a mia domanda precisa su quale fosse la sua predizione sul mio futuro, che io avevo "qualcosa di maschile", per esempio i miei "capelli lendi", pronunciato proprio con la d al posto della t come quasi tutti i miei conterranei. Mi pare che avesse accennato anche alla mia struttura fisica, minuta sì, ma ben piazzata a terra (diciamo così) e poi, giusto per non farsi mancare nulla, aveva aggiunto che la storia sentimentale con il fidanzato toscano era destinata a finire per incompatibilità caratteriale. A suo giudizio, ci tarpavamo l'energia a vicenda. O almeno io lo ricordo così, ma potrebbe essere tranquillamente una mia comoda rilettura posteriore.
E insomma: magari il bugiardino l'ha scritto proprio questo tipo ed è per questo che devo curarmi.
Magari non resto incinta (temo che oltre all'integratore ci voglia pure qualcos'altro: tipo un po' più di tranquillità esistenziale, decisamente in calo negli ultimi tempi), ma almeno divento liscia come una pesca e scateno tutta la femminilità rimasta finora inespressa.
Oddio: e se mi trasformassi in un'oca? Detesto cordialmente la quota di femmine isteriche e lagnose. Sarebbe veramente una tragedia e mi condannerei a una triste solitudine. Perché di certo il sopra citato consorte mi abbandonerebbe al mio destino di donna-donna, libero finalmente di godersi la maturità senza pressioni indebite.
Perché, lo riconosco: noi altra metà del cielo possiamo essere delle scassapalle micidiali, con o senza pelle unta e capelli "lendi".
Rispondo così anche al mini-dibattito scatenato da un mio giovane conoscente molto bravo con le parole, ma necessariamente ancora poco esperto di vita: non è che le donne non sappiano riconoscere una cortesia gratuita, è che stanno sempre già pensando a che cosa fare dopo, il minuto dopo, l'ora dopo, la settimana dopo - a seconda del livello di ansiogeno efficientismo autoimpostesi per reggere ritmi di una società assurda - e non hanno tempo, molto spesso, di lasciarsi coccolare anche da un semplice, in fondo desideratissimo, gesto gentile.
Perché forse tutte le donne, ahimè, si stanno mascolinizzando, come di voi maschi si dice che vi state femminilizzando.
Di per sé, un po' di confusione di ruoli, in una società avanzata, è addirittura un bene. Però capisco che possa spiazzare chi cerca un senso (o anche no) nell'incontro con l'altra, con l'altro.
Succede anche a me (ma ormai ne ho compreso il motivo: sono un mezzo maschio) di stupirmi del sospetto che ingenero con la gratuità di molti miei gesti. Mi auguro solo che cercheremo, uomini e donne, di non smettere di imparare a conoscerci.
Anche perché, andando avanti così, la specie umana si estinguerà. E anche se non farò in tempo (a meno che i Maya non abbiano ragione e tutto finirà quattro giorni prima di Natale) ad assistere alla nascita dell'ultimo uomo sulla terra, un po' del futuro delle generazioni che verranno mi preoccupo.
E in questo, temo, sono proprio una donna.
sabato 1 dicembre 2012
Fuori dal limbo, a tutti i costi
"In questo momento devo proprio dirlo: meno male che non ho figli, così posso stare qualche giorno in più per monitorare la situazione".
"Al di là dei figli, il mio problema è il lavoro: devo capire se posso prendermi dei giorni in maniera da poter partire più agevolmente".
La conversazione sopra riportata si è svolta stamattina: la prima a parlare ero io. La seconda mia sorella, dipendente con contratto a tempo indeterminato. Una delle poche privilegiate in questo Paese, anche se lei si è semplicemente limitata a brillare negli studi e a vincere un concorso. Oggi non è più così e lo sappiamo tutti. Il mio caso è atipico in tutti i sensi, ma resta pur sempre il fatto che, allo stato attuale, tra me e un neolaureato senza futuro non c'è alcuna differenza.
Le mie parole sopra riportate, del resto, sono illuminanti di come la pensa un disoccupato/semi occupato come me: nel considerare la facilità (relativa) con la quale posso restarmene al capezzale (metaforicamente parlando) dei miei genitori, non ho proprio citato i problemi di lavoro. Perché, di fatto, ora come ora e chissà per quanto tempo, non ne ho. Perciò ho parlato direttamente dell'assenza dei figli, il vero impegno per qualsiasi famiglia che debba occuparsi anche di parenti malati.
Ai gatti pensa mio marito, a sua volta, sfaccendatissimamente impegnato dietro alla mamma che si è rotta il polso destro proprio in questo periodo così faticoso.
E così passa le sue giornate a fare da badante alla madre, impedita in quasi tutte le attività quotidiane. Anche nel suo caso, se avesse avuto un lavoro (ai figli, in genere, pensa innanzitutto la mamma, soprattutto quando sono molto piccoli), di certo non avrebbe potuto essere così presente. Anch'io, come lui, peraltro, mi sono vista allungare un po' di denaro per far fronte alle spese impreviste. Alla fine lo stipendio ce lo vediamo passare proprio da chi ci ha dato alla luce. E' davvero paradossale. So benissimo che le nostre genitrici l'avrebbero fatto anche se fossimo stati due manager in carriera, però è tutto il contesto che ti fa sentire veramente senz'arte e né parte, a cominciare dai medici che ci chiedono che lavoro facciamo e se possiamo fruire della legge 104.
Nel mio caso, ho lasciato che parlasse mia sorella: lei, per fortuna, poteva mostrare di essere qualcuno per la società. Per un tipo di società in disarmo, destinata - salvo svolte impresse dai figli dei migranti, gli unici che potranno un domani far ripartire l'Italia - alla decadenza.
La burocrazia, però, è l'ultima ad accorgersi dei cambiamenti, seconda solo alla politica e alla classe dirigente tutta, che continua a ragionare in termini di lavoro dipendente, salariato e sicuro, benché di triadi così se ne vedano sempre meno.
E in ogni caso, lunedì dovrò ripartire e sistemare un po' di cosette lasciate in sospeso, una anche di tipo simil-lavorativo.
Sperando con tutto il cuore che si possa un giorno vedere la luce in fondo al tunnel (la metafora è consunta, ma pazienza, non mi viene niente di meglio a quest'ora e con la stanchezza che mi fa chiudere gli occhi), so che l'anno prossimo sarà tutto dedicato a sbloccarci da questo faticoso limbo.
Non c'è altra scelta, ma sono disposta a ogni svolta, anche la più amara, pur di non avvertire più questo senso, veramente mortificante, di inutilità.
Lo devo a me stessa e alle persone che mi hanno cresciuto.
Alla mia mamma l'abbraccio più forte. Dormi bene, ci vediamo domani.
"Al di là dei figli, il mio problema è il lavoro: devo capire se posso prendermi dei giorni in maniera da poter partire più agevolmente".
La conversazione sopra riportata si è svolta stamattina: la prima a parlare ero io. La seconda mia sorella, dipendente con contratto a tempo indeterminato. Una delle poche privilegiate in questo Paese, anche se lei si è semplicemente limitata a brillare negli studi e a vincere un concorso. Oggi non è più così e lo sappiamo tutti. Il mio caso è atipico in tutti i sensi, ma resta pur sempre il fatto che, allo stato attuale, tra me e un neolaureato senza futuro non c'è alcuna differenza.
Le mie parole sopra riportate, del resto, sono illuminanti di come la pensa un disoccupato/semi occupato come me: nel considerare la facilità (relativa) con la quale posso restarmene al capezzale (metaforicamente parlando) dei miei genitori, non ho proprio citato i problemi di lavoro. Perché, di fatto, ora come ora e chissà per quanto tempo, non ne ho. Perciò ho parlato direttamente dell'assenza dei figli, il vero impegno per qualsiasi famiglia che debba occuparsi anche di parenti malati.
Ai gatti pensa mio marito, a sua volta, sfaccendatissimamente impegnato dietro alla mamma che si è rotta il polso destro proprio in questo periodo così faticoso.
E così passa le sue giornate a fare da badante alla madre, impedita in quasi tutte le attività quotidiane. Anche nel suo caso, se avesse avuto un lavoro (ai figli, in genere, pensa innanzitutto la mamma, soprattutto quando sono molto piccoli), di certo non avrebbe potuto essere così presente. Anch'io, come lui, peraltro, mi sono vista allungare un po' di denaro per far fronte alle spese impreviste. Alla fine lo stipendio ce lo vediamo passare proprio da chi ci ha dato alla luce. E' davvero paradossale. So benissimo che le nostre genitrici l'avrebbero fatto anche se fossimo stati due manager in carriera, però è tutto il contesto che ti fa sentire veramente senz'arte e né parte, a cominciare dai medici che ci chiedono che lavoro facciamo e se possiamo fruire della legge 104.
Nel mio caso, ho lasciato che parlasse mia sorella: lei, per fortuna, poteva mostrare di essere qualcuno per la società. Per un tipo di società in disarmo, destinata - salvo svolte impresse dai figli dei migranti, gli unici che potranno un domani far ripartire l'Italia - alla decadenza.
La burocrazia, però, è l'ultima ad accorgersi dei cambiamenti, seconda solo alla politica e alla classe dirigente tutta, che continua a ragionare in termini di lavoro dipendente, salariato e sicuro, benché di triadi così se ne vedano sempre meno.
E in ogni caso, lunedì dovrò ripartire e sistemare un po' di cosette lasciate in sospeso, una anche di tipo simil-lavorativo.
Sperando con tutto il cuore che si possa un giorno vedere la luce in fondo al tunnel (la metafora è consunta, ma pazienza, non mi viene niente di meglio a quest'ora e con la stanchezza che mi fa chiudere gli occhi), so che l'anno prossimo sarà tutto dedicato a sbloccarci da questo faticoso limbo.
Non c'è altra scelta, ma sono disposta a ogni svolta, anche la più amara, pur di non avvertire più questo senso, veramente mortificante, di inutilità.
Lo devo a me stessa e alle persone che mi hanno cresciuto.
Alla mia mamma l'abbraccio più forte. Dormi bene, ci vediamo domani.
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