Quando meno la vorresti, eccola là, più puntuale della morte. Sto parlando della molestia, difficile da schivare tanto più se si materializza in un essere umano in carne e ossa, che si fa trovare nello stesso posto e alla stessa ora in cui ci sei anche tu.
L'ho visto già prima di varcare la soglia di un noto negozio di borse & affini del centro storico della mia città natale. Ho anche fatto la tipica faccia di chi non ha voglia di chiacchiere da bar, nell'attimo in cui la molestia personificata guardava verso di me. Purtroppo, non ha sortito effetto né io potevo evitare di entrare, dal momento che ero in compagnia di mia madre, desiderosa di ricevere un mio parere sul regalo alternativo che stava per farsi mostrare.
Così mi sono diretta verso la Molestia con il passo un po' molle di chi va al patibolo.
In un certo senso, però, sapere di avere un luogo in cui avrei successivamente depositato l'inutile dialogo (parola poco calzante, al contrario dell'aggettivo) mi sollevava un pochino dal senso di ambascia.
Ma non facciamola più lunga. Di seguito, le testuali parole dello sgradito scambio di vocaboli:
"Ho versato 21 anni di contributi"
"Buon per te"
"Eh, ma ormai non servono più a niente..."
"?"
"Mi ero già fatto i calcoli: tra 14 anni, a 54 anni, sarei andato in pensione e avrei lasciato il posto a mio figlio che allora avrà 21 anni. Perché anche se non c'è più questa possibilità, poi si sa che si fa lo stesso"
"..."
"Ma adesso, con la riforma... Anch'io dovrò ricorrere a un fondo privato"
"Va bene, dai, magari poi non è detto"
"Comunque adesso mi godo ancora qualche giorno di vacanza e mia moglie, che non vedo mai, e mio figlio"
"Infatti, fai bene. Io invece sono qui con mia mamma che ha appena compiuto 70 anni e..."
"Settant'anni? Ma chi l'avrebbe mai detto? Ma complimenti"
"Del resto è una questione di genetica"
(mi indico sorridendo in modo fintamente mondano)
"E quelli sono i tuoi genitori, scusami, non li avevo visti"
(la madre della Molestia mi si avvicina e molto educatamente mi saluta: mai vista pettinatura più scolpita della sua)
"E lei ha qualche anno più dei settanta..."
"Complimenti, non è cambiata per niente. Anche tuo padre"
Per farla breve, questo mio compagno di classe (perché di ciò si trattava) saluta con la sua tipica galanteria manierosa mia madre e si trattiene ancora un momento con i negozianti per allietarli, probabilmente, con l'illustrazione di qualche piano pensionistico a loro vantaggio (era sabato santo: sai che bellezza passarlo così), mentre mia madre ed io ci allontaniamo allungando l'andatura, io sentendomi un po' come Moretti quando lascia Panarea un attimo dopo essere sbarcato dall'aliscafo in "Caro Diario".
C'è un sottotesto chiaro, probabilmente, solo all'unica persona che legge questo blog che conosce anche la Molestia formato liceo classico: quest'ultima a scuola era una capra, un po' perché non studiava, un po' perché, in fondo in fondo, nutriva un non malcelato disprezzo nei confronti di chi lo faceva, ottenendo, magari, buoni risultati in materie poco pratiche come la storia (peggio, la filosofia: ma ammetto che non ci capivo un'acca neanche io, per quanto mi sforzassi di leggerne l'enigmatico manuale) o l'italiano.
Ai tempi, peraltro, la sua svogliatezza venne ripagata con bocciature in materie veramente improbabili: educazione fisica (giuro!) e storia dell'arte, quest'ultima, devo dirlo, per pura antipatia personale del prof nei suoi confronti del tutto fuori luogo, dal momento che non facevamo assolutamente nulla, il che ha finito per crearmi un forte rimpianto per le lacune mai colmate in una delle materie che amo di più.
E insomma, so per certo che il mio compagno ci teneva a mostrarmi tutti i suoi successi come a dirmi: vedi? tu eri tanto brava e adesso non sei nessuno, mentre io sono ricco e affermato.
No, non è una mia proiezione per via delle solite insicurezze che effettivamente a tratti mi angosciano non poco. Conosco la faccia di questo ex ragazzo imbolsito precocemente e le cattiverie di cui era capace. Le tipiche cattiverie dell'adolescenza che mi sono portata dietro per anni, prima di convincermi che dovevo fregarmene e pure alla grande.
Quel che mi sconcerta è che, nonostante tutti i mutamenti che pure saranno intervenuti nella sua vita, comunque dovesse darsi un tono, buttandomi in faccia la sua infantile rivalsa antropologica.
Davvero, se gli fosse toccato di andare in pensione a 54 anni, come a tanti delle generazioni passate, sarei stata felice per lui, se questo era, è, il suo orizzonte di vita.
Meno capisco il discorso sull'ereditarietà del posto di lavoro. Anzi, direi che un po' mi fa orrore, considerato il modo in cui starà crescendo suo figlio e il "trotismo" dilagante.
E tuttavia, l'aspetto vieppiù triste di questo episodio è il senso d'immobilismo che mi restituiscono persone così, simbolo di una terra, di un paese, ostile al diverso, al nuovo, allo straniero, esattamente come venticinque anni fa, quando ho preso a scalpitare per il desiderio di conoscere il mondo.
Ammetto di non essere andata molto lontano: Molestia, hai ragione tu: non ho combinato granché, ma la testa non si è mai più richiusa né mai sarà possibile.
E se anche un giorno dovessi venirti a chiedere delucidazioni sui fondi pensione, beh, di sicuro troverò un'altra maniera per mettere alla berlina la tua noiosa piccineria di provincia.