venerdì 4 maggio 2012
Il futuro dei giornali e della pulizia dei vetri
Tutto considerato, una loro utilità i giornali ce l'hanno.
Non compro pesce fresco, ma ancora usa dire che sono ottimi per incartarlo. Di certo sono anche assai buoni per sgrassare i vetri. Una perfetta massaia lo sa, e anche se non lo sono (ancora per poco), ogni tanto pure io mi dedico alle pulizie approfondite e la scorta dei quotidiani mi fa molto comodo.
Quel che mi più preoccupa (oltre al reddito incerto), però, è che tra un po' di giornali ce ne saranno sempre di meno.
Ne ho avuto la certezza ieri, quando ho ascoltato/visto l'incontro tenutosi lo scorso 29 aprile a Perugia al Festival di giornalismo. Meraviglie dello streaming, veramente: grazie ai nuovi mezzi, mi è sembrato per un'ora e mezza di essere lì tra gli astanti, a sentire chiacchiere e considerazioni da giornalisti di vecchia e giovane formazione. Chi vuole, lo trova qui:
Sinceramente: tutti i torti Francesco Merlo non li ha quando sostiene che sulla Rete ci sono molti "bloger" (chi ha trascritto il suo intervento si è stolidamente fissato sulla pronuncia adottata da una delle più importanti firme de La Repubblica. E vabbè) che con il mestiere non hanno molto a che fare. Certo, magari definirli tutti (o comunque molti) torvi e pronti solo a far le pulci ai titoli, seduti comodi alle proprie scrivanie, è una semplificazione un po' fastidiosa, considerato che qualcosa di molto simile fanno molti colleghi del medesimo Merlo, che - vi assicuro - abbondano ancora nelle redazioni più "embedded".
Ad ogni modo, Merlo & co (perché di certo non è il solo ad aver criticato i blogger), forse, si lasciano andare a giudizi vagamente velenosi perché sono consapevoli di essere - chi più chi meno - dinosauri insidiati ogni giorno sempre di più da ragazzini che considerano anche i blog roba per vecchi e che di certo non hanno quasi mai letto un loro pezzo sul cartaceo (sempre ammesso che siano riusciti a sciropparselo tutto, una volta che l'abbiano scovato sul Web).
Anche per me che, a occhio, ho una quindicina d'anni meno di Merlo e Cresto Dina, i due "vecchi" invitati al dibattito sopra linkato, è faticoso seguire le news online e non solo perché mi serve la carta per pulire i vetri (o da mettere sotto il lavandino della cucina).
Sono altrettanto convinta che nel giro di pochissimi anni - forse anche meno - i dinosauri saranno costretti a una radicale rivoluzione copernicana delle proprie redazioni (Cresto Dina ricorda che da loro l'online è ancora all'ultimo di una palazzina di sei piani e che per accedervi bisogna pure passare da un altro ingresso. Veramente incredibile).
L'aspetto. Sperando - onestamente - di poterne ancora fruire anch'io (nel frattempo rubo un ipad in un applestore. Ma forse facevo meglio a non dirlo. Ora mi mandano la finanza).
Sempre ammesso che abbia ancora la forza di perseverare in una professione ogni giorno più fluida e, in certi casi, più approssimativa, in cui non si sa bene che cosa conti per esercitarla al meglio, se una buona penna, il fiuto per le notizie e/o la massima padronanza di vari mezzi audiovisivi, per postare in tempo reale... che cosa? E' proprio qui sta il punto: che cosa sarà "notiziabile" un domani? Le intercettazioni rubate qui e là dal collaboratore del giornale di Scalfari, Francesco Cocco, in alto tra i relatori del dibattito di Perugia, oppure l'infografica che tanto fa impazzire il direttore de Linkiesta, Jacopo Tondelli, quello con gli occhialini?
E come potrò io dalla provincia, ammesso che continui ad abitarci, dare il mio contributo?
Mi faccio tutte queste domande e le condivido su questo spazio perché oggi ho concluso il ciclo di quattro lezioni ad alcuni ragazzi che frequentano il terzo anno di una scuola tecnico-industriale e che per scelta (più che altro per avere crediti formativi, credo!) si sono sciroppati otto ore con la sottoscritta.
L'anno scorso non mi avevano chiamato, dopo cinque edizioni di fila, con mio grande rammarico. Perché, al di là del denaro che comunque mi daranno, "insegnare" ai ragazzi su materie come queste mi fa ricordare con quanta passione io abbia scelto, ormai più di dieci anni fa, di sostenere l'esame d'accesso all'ex Ifg di Milano.
Negli anni, la mia situazione lavorativa è cambiata più volte, di pari passo con i mutamenti socio-economici dell'Italia e del mio settore. Che cosa potevo raccontare quest'anno?, mi sono detta nel preparami agli incontri con loro. Che cosa potevo tenere dei miei vecchi appunti e che cosa cestinare?
Conoscendo quanto poco si scriva nelle scuole, ho mantenuto le esercitazioni sulle brevi e sulla titolazione. E tuttavia ho dovuto introdurre delle modifiche anche sulla parte "hardware" del mio laboratorio, perché sempre di più le news vanno lanciate anche su altri mezzi e con altri formati.
Insomma: mi sono resa conto che il mestiere sta cambiando e moltissimo. E che forse, ma lo dico piano, per le nuove generazioni si apriranno nuovi spazi oggi non del tutto immaginabili.
Resta però altrettanto vero quel che ha detto Edward J. Murrow, anchorman della Cbs cui George Clooney ha dedicato il bellissimo Good Night and good luck che dietro la tv (e oggi diremmo smartphone, tablet etc etc) ci sono le persone e le idee, libere e indipendenti, da veicolare con chiarezza, competenza e onestà intellettuale, altrimenti tutti questi mezzi non sarebbero altro che ammassi di fili elettrici e di bit.
E se c'è qualcosa di cui sono ancora fieramente consapevole è della grande responsabilità etica di chi usa le parole per vivere. Ecco: questo non è cambiato né dovrà cambiare.
Parola di giornalista-bloger per niente torva nonostante l'incerto destino.
martedì 1 maggio 2012
Dedicato ai "disoccupasoul"
Ancora sotto l'influsso positivo dello scorso sabato, ritengo di avere l'umore adatto per parlare del fumetto di cui riporto sopra la copertina.
L'ho comprato poco tempo fa, in una (ennesima) giornata piovosa in cui abbiamo deciso (con Sfaccendato) che era proprio il caso di uscire.
Mai vista (nemmeno nelle grandi città) una fumetteria più fornita di quella della cittadina adriatica, posta poco più a nord del paesone in cui abitiamo.
Ho deciso di acquistare questo fumetto e un altro che ha provocato il seguente commento del negoziante (un soggetto veramente incredibile): "Di nicchiaaaa!", che però non ho ancora letto. E comunque, anche se l'avessi fatto, dubito che ne avrei parlato per la presente rubrica.
In fatto di originalità, comunque, anche Il disoccupasol non scherza affatto.
Scritto nel 2004 da Laca, pseudonimo di Luca Montagliani, un fumettista-musicista genovese (anche se penso di origine abruzzese... buon sangue non mente!), racconta le strampalate esperienze lavorative del suo alter-ego con il naso a proboscide.
Prima di incamerarlo, ho letto la recensione sull'ultima pagina a cura di un tale Carlo Chendi, a me del tutto sconosciuto, ma immagino abbastanza noto nel mondo dei fumettari under-qualcosa, il quale ne elogiava la sua estrema comicità.
Ecco. A me non è sembrato così, anche se mi ha strappato più di un sorriso cattivello.
Sarà che oggi come oggi, a trovarsi nelle assurde situazioni capitate (sembra) per davvero all'autore o a qualcuno di sua stretta conoscenza siamo sempre di più, ma il pensiero di dover vendere bandierine senza successo (il punto più spassoso del libro) davanti allo stadio o al congresso di un partito non mi rallegrerebbe affatto.
E in ogni caso, concordo con il recensore sul fatto che far ridere sia assai più difficile che far piangere. Sarà anche per questo che, spesso, sbraco un po' verso la lagna.
A riuscirci benissimo, per esempio, erano Renzo Arbore e i suoi amici-colleghi-fratelli con cui negli anni ha creato programmi veramente indimenticabili, da Alto gradimento all'immortale Indietro tutta.
Indietro tutta, caro Renzo, l'Italia è andata davvero, che sia colpa o meno del nano diabolico o (com'è più probabile) del grosso della classe dirigente nazionale, sindacati compresi.
Eppure. Eppure anche una risata amara strappata dalla ferocia linguistico-grafica di un piccolo fumetto come Disoccupasol possono sollevare un po' il tono dell'umore e farci sentire ancora vivi.
Di motivi per tenersi su, a ben guardare, ce ne sono tanti; per paradosso, ad esempio, anche il fatto di non contare nulla, di non aver grandi responsabilità professionali e sociali, possono donare un senso di libertà davvero impagabile. Proprio quest'ultima parola è venuta fuori ieri sera, nello speciale dedicato al grande Renzo foggiano-napoletano, un artista che ha fatto della libertà (niente affatto bossiana!) un vero e proprio stile di vita.
Certo, Arbore ha avuto fortuna, ma accidenti se se l'è meritata e meno male che ho potuto apprezzarlo già da bambina, quando in auto mio padre ascoltava il canto del venditore di acqua calda, sbellicandosi di risate davanti a me e con me, che non capivo ma invece capivo.
Allo stesso modo, anche Laca e il suo omino con il naso lungo e ricurvo mi sono simpatici perché danno l'idea di non dover rendere conto proprio a nessuno. E infatti nessuno si salva sotto la sua china, nemmeno il bambino o l'immigrato venditore di accendini.
Ho provato a cercare notizie sui lavori successivi dell'autore, ma dalla Rete non ho ricavato granché. So che suona in un'orchestra di world music e ho anche ascoltato qualche brano del loro repertorio.
Dubito che abbia fatto i soldi, ammesso che fosse questo il suo obiettivo di vita. Abbiamo la stessa età e da quel che ho capito anche lui è sposato o lo era qualche anno fa. Insomma, nonostante precarietà e lavoretti di varia natura, Laca se la cavava ed è probabile che lo faccia ancora adesso.
E' un delitto non essere noti al grande pubblico? Credo di no. Quel che è grave, magari, è non riuscire a farsi dare i giusti riconoscimenti per quel che si è prodotto. Lo è sempre, che si faccia l'artista o il magazziniere.
Un Paese davvero civile, però, è quello che crede nei suoi talenti e li aiuta VERAMENTE a emergere, dando seconde (anche terze) chance a chi non ce l'ha fatta a venti-trent'anni.
Non parlo solo per me, sul serio: lo dico per i molti "disoccupasol" diventati, probabilmente, "disoccupasoul" per il grosso "blue" che appesantisce loro le spalle e il cuore.
Ecco. Mi sembra questo il giusto messaggio alla nazione (?) per un primo maggio silenzioso e discreto, lontano da palchi, luci e inutili celebrazioni in doppio petto e tailleur.
Ce la faremo.
Ce le dobbiamo fare.
Da parte mia, ci proverò ancora.
lunedì 23 aprile 2012
Motivatori da bar? No, grazie
"Non lasciate nulla al caso, l'improvvisazione ormai non paga più".
Parole sante. Veramente.
A maggior ragione, perciò, mi domando perché si trovino sul biglietto da visita di una delle persone meno affidabili mai conosciute da "The Sfaccendatis'" negli ultimi mesi.
E tuttavia, se stamattina, rovistando tra le mie cianfrusaglie, mi si è nuovamente parato davanti questo cartoncino di formato rettangolare (scritto solo da un lato: perché chi gliel'ha stampato sicuramente è un maestro nell'arte grafica), una ragione dev'esserci.
Anche ammettendo che sia vecchio, dei tre siti riportati sul medesimo, non ne funzionava neanche uno.
Per risalire al curriculum di un così stimato professionista del "training by doing" (cit), ho dovuto googolarne il nome. Dopo qualche tentativo, eccolo là, sullo scoglio e la camicia mossa dalla brezza marina.
Niente da dire sul fatto che in qualche modo si debba campare, ma trovo davvero deprimente chi finge di essere ciò che non è.
In quell'anonimo bar della costa adriatica, in una tiepida giornata di fine autunno, sotto una luce lattiginosa, sarei voluta sprofondare al posto suo. Si era portato dietro anche il povero fratello tossicodipendente (o qualcosa del genere), chiaramente poco interessato al pietoso tentativo di blandizie destinato più a Sfaccendato che non alla sottoscritta.
Si trattava del secondo dei due incontri avuti con il professionista nella "FormAzione alla Vendita e Gestione Reti Commerciali" (cit/2), quando noi speravamo che si parlasse di un progetto di piccola impresa in cui avevamo cominciato a crederci, dopo vari, comprensibili, tentennamenti. Invece, rigettandoci la proposta (anche a nome di una terza persona che non ha avuto neanche il coraggio di dircelo in faccia), il professionista del coaching, il motivatore de noantri voleva convincervi a organizzare improbabili convegni-strappalacrime, a beneficio dei molti disgraziati dalla psiche ferita, bisognosi di sostegni psicologici che di certo né lui né tanto meno noi saremmo stati in grado di fornire.
Mai chiacchierata di cosiddetto lavoro è stata più imbarazzante.
E devo dire che tra i due proprio Sfaccendato è stato più capace di dissimulare, ossia proprio la persona che di solito giudico troppo polemica e troppo negativa.
Io, invece, ho perso un pochino le staffe, giusto quel tanto che è bastato per sentirmi rispondere, con tono vagamente piccato, "ma se stai a casa di sicuro il lavoro non lo trovi". E non c'è niente di peggio dei consigli o delle sentenze non richieste.
Tornando a casa con lo squallore nell'animo e la tristezza nelle membra, siamo per fortuna riusciti a scherzarci su.
"Sai quanti soldi ci facciamo, eh, con mio fratello nel gabbione", ha continuato a dirmi per varie settimane Sfaccendato man per prendere per il ... sedere (mi verrebbe l'altra, ma voglio evitare il turpiloquio) mister Coacher. Non credo che potrò mai dimenticare l'espressione del suo viso, così tristemente disperata, e ancor più quella, robotica, del fratello sfortunato. Di più, mi è rimasto in testa l'ammiccamento che faceva con la bocca e l'occhiolino da imbonitore anni Settanta, abituato a trucchi che ormai non vanno più, polverosi e giallastri come i divani in simil-pelle.
E d'altra parte, comprendo l'antipatia che devo avergli suscitato, con la mia spocchia da maestrina pronta ad annotare con la matita rossoblu le maiuscole in eccesso o gli altri obbrobri linguistici e stilistici del suo modo di presentarsi. Giustamente si sarà detto: ma chi ti credi di essere tu, inutile Carneade dell'editoria?
Tutto vero: non conto nulla. Anzi, come mi dice Marco Pesatori, il lettore di astri di D di Repubblica, io sono "un'infinità di nulla in cui le persone normali fanno fatica ad adattarsi".
Che vorrà dire non lo so, ma se proprio devo vendere fumo, sarà bene che cominci a farlo in prima persona. Anche perché, se mi facessi convincere da personaggi così, significherebbe che, ormai, la schizofrenia astrologica che mi è stata attribuita a questo giro di oroscopo avrebbe avuto la meglio.
Invece, io, testarda come un mulo puntuto, non voglio ancora arrendermi.
Giuro che resisterò: parola di Sfaccendata-autocoacher.
Tiè!
giovedì 19 aprile 2012
Che bel piacere... i blog di qualità!
I tre loghi che vedete sopra rappresentano altrettanti premi per blog e blogger di qualità (come avrebbe detto il barbiere di Siviglia!).
Tutti e tre sono stati vinti da FairyRain, blogger raffinata e paziente. Molto gentilmente ha voluto ricambiare segnalando altrettanti blog da lei ritenuti meritevoli di interesse.
Ed è così che ha segnalato anche il mio, insieme con Minime Storie, l'altra creatura sulla quale (ebbene sì) il mio alter ego pubblico si diletta con il foto-racconto.
Copio direttamente da FairyRain in che cosa consistono i tre premi:
Il Premio Dardos è un riconoscimento che viene consegnato ai blogger che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali ; che dimostra la sua creatività, che esprime il proprio pensiero attraverso le sue letture e le sue parole.
I premi My Beautiful Blog e The Versatile Blogger prevedono le seguenti piccole regole:
- Linkare il blog che ti ha premiato
- Dire 7 cose di te che i lettori ancora non sanno
- Premiare altri 15 blog meritevoli avvisandoli del premio.
Sull'ultimo punto sono davvero in crisi, a meno di non ricopiare gli stessi blog che ha segnalato sempre FairyRain, compresi i miei!
Posso tuttavia aggiungere:
Rispetto agli altri punti: beh, ovviamente, rilinko qui FairyRain, e di seguito aggiungo 7 cose che mi sembra di non aver mai detto della sottoscritta (ma essendo del tutto autoreferenziale, qualche dubbio mi viene).
Vado:
1) il nome MADAMATAP è nato dalla mia bassa statura (tradotto: sono TAPPA) e dall'essere, ormai da un pezzo, una "madame";
2) mi piace molto la colazione e certe volte, prima di addormentarmi, penso a quel che mangerò il giorno dopo al risveglio;
3) ho il cesto porta-riviste costantemente zeppo di giornali appena sfogliati (qualcuno direttamente mai letto): per buttarli, ogni volta, mi tocca fare a rate altrimenti mi spezzo la schiena;
4) mi piace stirare i fazzoletti di mio marito: forse perché è difficile che vengano male;
5) periodicamente provo a non mangiarmi le unghie e ultimamente, a questo scopo, ho preso a colorarmele di verde pisello (orribile visu!);
6) parlo spesso a vanvera e faccio gaffe da premio Nobel (o da Pulitzer, per stare sul pezzo);
7) non so mai se lasciare in pace i miei capelli o dar loro una botta di luce artificiale nella segreta speranza che illuminino anche il mio umore.
Questo è quanto.
Dubito che mi capiterà di nuovo un simile onore, quindi ringrazio di nuovo la blogger esperta di vampiri-tv-Jane Austen e molto altro e chiunque passerà di qua... nonostante le sette inquietanti rivelazioni!
mercoledì 18 aprile 2012
Un "Faro" per gli Sfaccendati
Tutti i torti non li ha, ma a sentire certi racconti di vita nelle grandi città, un po' di angoscia mi prende.
In ogni caso, non possiamo permetterci, né lui né io, di buttare via gli anni più di quanto non abbiamo già fatto. Perciò, se ci armeremo di coraggio e ce ne andremo, ve lo farò sapere dalle "colonne" di questa rubrica.
No, le virgolette non andrebbero mai usate, tanto più in questo caso, dal momento che da una decina di giorni circa, "GLI SFACCENDATI" sono finiti anche sul cartaceo-elettronico del settimanale Il Faro di cui potete vedere la testata e un esempio di impaginato nella foto a destra.
Se dunque dovessimo di nuovo emigrare, sicuramente avremo da raccontare altre forme di sfaccendamento, perché dubito che riusciremmo a ricollocarci in un battito d'ali, viste anche le recenti dichiarazioni del buon Monti.
E in ogni caso, qui volevo ringraziare Massimo Del Papa, il direttore del piccolo ma grande giornale di approfondimento, realizzato con il supporto grafico di sua moglie, una donna di segreta e acuta intelligenza, autrice, peraltro, delle modifiche che mi hanno permesso di creare la rubrica nella versione online (da sola, ve l'assicuro, non ne sarei mai stata capace).
Comunque vada a finire, la rubrica e tutto il resto, sono sempre più convinta che solo mettendo in comune saperi, competenze e passioni si possa sentirsi un po' meno soli.
Alla prossima, per nuove, surreali avventure degli Sfaccendati (ne ho una sulla punta delle dita, ma sto facendola sedimentare un altro po').
domenica 15 aprile 2012
Di Mercè Rodoreda e dei grazie che riscattano
Di questa dedica lasciata sulla balaustra del parco pubblico poco distante da casa mia mi ha colpito in particolare la chiusa: il simbolo "minore" seguito dal 3 su Facebook (ignoro se succeda anche su Twitter: proverò) si trasforma in un cuore. Da quando l'ho imparato, alla mia veneranda età, lo uso spesso perché trovo carino lanciare cuoricini a chi mi dimostra affetto e/o benevolenza.
Al di là della mia preoccupante inclinazione ad abitudini adolescenziali, mi sono fermata a scattare la foto anche per una ragione un po' meno leggera. Nella testa mi risuonavano le parole de La piazza del diamante, il bellissimo libro di Mercé Rodoreda, che ho terminato di leggere ieri pomeriggio mentre fuori imperversava la tormenta.
Era un pezzo che non m'immergevo per così tante ore nella lettura, un piacere che ho relegato sempre di più alle mezz'ore serali o ai viaggi in treno, l'unico luogo in cui non mi sento mai in colpa per essermene restata incollata alla pagina per tutta la durata del viaggio.
E invece, per apprezzare al meglio la potenza narrativa della scrittrice spagnola protagonista della guerra civile di Spagna e per tal motivo esule dalla sua patria per circa vent'anni, bisogna darsi tempo spegnendo, o sospendendo, tutto il resto.
Negli anni più tranquilli, la sua Natàlia-Colombeta diventa una donna malinconica, "una lagna", scrivono nella traduzione italiana. Quanto mi piacerebbe sapere qual è il termine catalano usato dalla scrittrice, che adotta un linguaggio fintamente semplice, per riprodurre il modo di parlare di una persona di scarsa cultura.
Nella post-fazione, il traduttore dice di aver dovuto parzialmente modificare il flusso joyciano in cui si esprimeva la Rodoreda accrescendo ancora di più la mia curiosità di sapere che effetto mi avrebbe fatto leggerla in lingua (se conoscessi il catalano, naturalmente).
Nelle sue giornate "sfaccendate", Colombeta va spesso al parco e stringe amicizia con alcune signore, convincendole di nutrire una struggente nostalgia per i colombi che abitavano nella soffitta della sua prima casa coniugale. Invece è tutt'apparenza, ma alla protagonista del romanzo non importa e lascia che lo credano pure.
E poi la svolta. La figlia minore, Rita, fierissima e bella, si sposa e la notte dopo la festa, Colombeta si sveglia presto e raggiunge la piazza del Diamante, quella in cui aveva conosciuto il suo futuro primo marito Quimet. E qui succede qualcosa di sconvolgente, per lei e anche per me.
Non scendo nei dettagli, a beneficio degli eventuali lettori (direi meglio lettrici: sono sicura che solo le donne e pochi, sparuti uomini siano in grado di apprezzare fino in fondo la Rodoreda), ma posso assicurarvi che l'immedesimazione tra i fatti che vi si raccontano e le vite di chi pensa di trascinarsi dentro macigni poco digeribili è garantita. Se non ho pianto è solo perché poco sopra avevo letto quel passaggio sul diventare "una lagna", una propensione tipica di chi crede di vivere una maturità frustrata.
A differenza di Via delle camelie, l'altro, intenso, stratificato romanzo della scrittrice di Barcellona, qui il lieto fine è più chiaro ed è forse questa la ragione del grande successo che La piazza del diamante ha riscosso in patria e in molti altri Paesi al di fuori del nostro (da quel che ho capito, dell'esistenza della Rodoreda in Italia ci siamo accorti tardi).
In ogni caso, non si tratta di una chiusa sdolcinata o buonista, bensì soltanto di una pacificazione molto realistica e probabilmente anche parziale.
Ecco, a me basterebbe qualcosa del genere.
E della foto in alto condivido, profondamente, quella dedica insieme così antica e moderna a una tale "Giulia" (ho scattato due immagini scegliendo per questo post quella orizzontale: il nome era molto in basso, e nell'altro formato mi sapeva troppo di lapide).
Chissà chi ne è l'autore. Me lo immagino molto giovane e molto romantico.
Anche Colombeta riceve molti grazie dal suo secondo marito, ma di quanto sia stata fortunata lei a incontrarlo non sembra avvedersene fino alla svolta cui ho fatto cenno.
Bisognerebbe sempre ricordarsi di ringraziare le persone che ci vogliono bene, cogliendo i doni che ci fanno con lucida e aperta gratitudine. Chi ne è capace senza affettazione, infatti, ha già compreso di non essere, né ora né mai, il centro del mondo, ma di essere veramente importante per qualcuno.
E non c'è nient'altro che conti di più.
venerdì 13 aprile 2012
Transito vietato alle piccinerie di provincia
Quando meno la vorresti, eccola là, più puntuale della morte. Sto parlando della molestia, difficile da schivare tanto più se si materializza in un essere umano in carne e ossa, che si fa trovare nello stesso posto e alla stessa ora in cui ci sei anche tu.
L'ho visto già prima di varcare la soglia di un noto negozio di borse & affini del centro storico della mia città natale. Ho anche fatto la tipica faccia di chi non ha voglia di chiacchiere da bar, nell'attimo in cui la molestia personificata guardava verso di me. Purtroppo, non ha sortito effetto né io potevo evitare di entrare, dal momento che ero in compagnia di mia madre, desiderosa di ricevere un mio parere sul regalo alternativo che stava per farsi mostrare.
Così mi sono diretta verso la Molestia con il passo un po' molle di chi va al patibolo.
In un certo senso, però, sapere di avere un luogo in cui avrei successivamente depositato l'inutile dialogo (parola poco calzante, al contrario dell'aggettivo) mi sollevava un pochino dal senso di ambascia.
Ma non facciamola più lunga. Di seguito, le testuali parole dello sgradito scambio di vocaboli:
"Ho versato 21 anni di contributi"
"Buon per te"
"Eh, ma ormai non servono più a niente..."
"?"
"Mi ero già fatto i calcoli: tra 14 anni, a 54 anni, sarei andato in pensione e avrei lasciato il posto a mio figlio che allora avrà 21 anni. Perché anche se non c'è più questa possibilità, poi si sa che si fa lo stesso"
"..."
"Ma adesso, con la riforma... Anch'io dovrò ricorrere a un fondo privato"
"Va bene, dai, magari poi non è detto"
"Comunque adesso mi godo ancora qualche giorno di vacanza e mia moglie, che non vedo mai, e mio figlio"
"Infatti, fai bene. Io invece sono qui con mia mamma che ha appena compiuto 70 anni e..."
"Settant'anni? Ma chi l'avrebbe mai detto? Ma complimenti"
"Del resto è una questione di genetica"
(mi indico sorridendo in modo fintamente mondano)
"E quelli sono i tuoi genitori, scusami, non li avevo visti"
(la madre della Molestia mi si avvicina e molto educatamente mi saluta: mai vista pettinatura più scolpita della sua)
"E lei ha qualche anno più dei settanta..."
"Complimenti, non è cambiata per niente. Anche tuo padre"
Per farla breve, questo mio compagno di classe (perché di ciò si trattava) saluta con la sua tipica galanteria manierosa mia madre e si trattiene ancora un momento con i negozianti per allietarli, probabilmente, con l'illustrazione di qualche piano pensionistico a loro vantaggio (era sabato santo: sai che bellezza passarlo così), mentre mia madre ed io ci allontaniamo allungando l'andatura, io sentendomi un po' come Moretti quando lascia Panarea un attimo dopo essere sbarcato dall'aliscafo in "Caro Diario".
C'è un sottotesto chiaro, probabilmente, solo all'unica persona che legge questo blog che conosce anche la Molestia formato liceo classico: quest'ultima a scuola era una capra, un po' perché non studiava, un po' perché, in fondo in fondo, nutriva un non malcelato disprezzo nei confronti di chi lo faceva, ottenendo, magari, buoni risultati in materie poco pratiche come la storia (peggio, la filosofia: ma ammetto che non ci capivo un'acca neanche io, per quanto mi sforzassi di leggerne l'enigmatico manuale) o l'italiano.
Ai tempi, peraltro, la sua svogliatezza venne ripagata con bocciature in materie veramente improbabili: educazione fisica (giuro!) e storia dell'arte, quest'ultima, devo dirlo, per pura antipatia personale del prof nei suoi confronti del tutto fuori luogo, dal momento che non facevamo assolutamente nulla, il che ha finito per crearmi un forte rimpianto per le lacune mai colmate in una delle materie che amo di più.
E insomma, so per certo che il mio compagno ci teneva a mostrarmi tutti i suoi successi come a dirmi: vedi? tu eri tanto brava e adesso non sei nessuno, mentre io sono ricco e affermato.
No, non è una mia proiezione per via delle solite insicurezze che effettivamente a tratti mi angosciano non poco. Conosco la faccia di questo ex ragazzo imbolsito precocemente e le cattiverie di cui era capace. Le tipiche cattiverie dell'adolescenza che mi sono portata dietro per anni, prima di convincermi che dovevo fregarmene e pure alla grande.
Quel che mi sconcerta è che, nonostante tutti i mutamenti che pure saranno intervenuti nella sua vita, comunque dovesse darsi un tono, buttandomi in faccia la sua infantile rivalsa antropologica.
Davvero, se gli fosse toccato di andare in pensione a 54 anni, come a tanti delle generazioni passate, sarei stata felice per lui, se questo era, è, il suo orizzonte di vita.
Meno capisco il discorso sull'ereditarietà del posto di lavoro. Anzi, direi che un po' mi fa orrore, considerato il modo in cui starà crescendo suo figlio e il "trotismo" dilagante.
E tuttavia, l'aspetto vieppiù triste di questo episodio è il senso d'immobilismo che mi restituiscono persone così, simbolo di una terra, di un paese, ostile al diverso, al nuovo, allo straniero, esattamente come venticinque anni fa, quando ho preso a scalpitare per il desiderio di conoscere il mondo.
Ammetto di non essere andata molto lontano: Molestia, hai ragione tu: non ho combinato granché, ma la testa non si è mai più richiusa né mai sarà possibile.
E se anche un giorno dovessi venirti a chiedere delucidazioni sui fondi pensione, beh, di sicuro troverò un'altra maniera per mettere alla berlina la tua noiosa piccineria di provincia.
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