giovedì 7 giugno 2012

Pratiche di resistenza (disadattata) ai cafonacci

Carlo Verdone in Troppo forte
E fu così che mi alzai dal lettino di legno pesante (quelli di metallo sono arrivati qualche anno più tardi) e andai a dire al bagnino se per cortesia potevano abbassare un po' il juke-box perché non riuscivo a sentire la musica proveniente dalle mie cuffiette. Doveva trattarsi del walkman arancione, plasticato, non di quello dal design più elegante che utilizzavo ancora a inizio 2000. Ero molto giovane e molto polemica, insomma, e quando potevo, cioè quando le giornate non erano troppo calde, scendevo in spiaggia con la maglietta del Manifesto, quella con il neonato che dormiva beato e la scritta "la rivoluzione non russa" stampata sotto l'immagine.
Mi sentivo in lite con il mondo intero? Ma no: solo con i frequentatori del lido El Pareso, Francavilla al Mare, al confine con Pescara, il regno di Gomorra, come ebbe a dire mia sorella non più di tre-quattro anni fa.
Eppure, in un certo senso, quel posto è rassicurante: nonostante sia trascorso poco più di un quarto di secolo dalla prima volta che ci siamo capitati, la mia famiglia d'origine ed io, e benché oggi si sia in preda di una crisi più nera dell'abbronzatura di molti dei suoi avventori, lì sembra che il tempo non sia mai passato. E nemmeno il mio atteggiamento ostile, aggiungerei, e quel perverso (ma sì, è così) masochismo che ci fa tornare tutti là di anno in anno, benché sia chiaro che l'antipatia sia reciproca. Poi, certo, l'ombrellone a pochi metri dal mare, che in certi giorni ha una luce e una chiarezza che sembra di essere ai Caraibi, ci fa dimenticare tutto il resto. Fino al successivo "Vingenzo al bar" gracchiato dall'altoparlante, oppure, più spesso, al nuovo avviso "C'è da sposhtare urgendemende la mercedes parcheggiata in doppia fila", oltre, naturalmente, al silenzio squarciato dall'immancabile juke-box, che da una cert'ora del pomeriggio, negli ultimi anni, perennemente acceso quand'ero adolescente, avvilisce timpani e morale di chi vorrebbe giusto un po' di pace. E però, come dicevo, anche la famiglia Cicalini è preda dei cliché: perché tutte le volte che uno di noi è accolto (bastonato) dal fracasso, si domanda come sia possibile. Com'è che di anno in anno continua a esserci così tanta gente che si affolla nello stretto piazzale antistante la concessione senza tenere in alcun conto delle auto già posteggiate? E com'è che nessuno chiama direttamente il carro-attrezzi anziché ricorrere ai gestori dei due stabilimenti confinanti? E perché il juke-box è sempre a quei decibel da discoteca? E com'è che tutti i bagnanti (TUTTI) canticchiano a memoria le orribili melodie urlate dal dannato aggeggio? Perché siamo gli unici che non si mettono a ballare sul lettino? Le risposte sono molteplici, alcune più sociologiche, altre più freudiane.
Tra quelle del primo tipo, la più lampante e tautologica, direi anzi, "eziologica" è: perché, oltre a essere in Italia, qui siamo neanche a Francavilla, bensì direttamente nel regno dei cafoni.
Questi ultimi una volta li chiamavamo i rozzi, con la bella o aperta, alla chietina maniera. Mi piaceva in particolare come pronunciava la parola il nostro amico Marco M., con la sua voce fortemente nasale. In seguito, abbiamo preso a definirli cafonacci, istruiti in ciò da mio padre, che ha la seguente teoria: cafonaccio si diventa, ma già da bambini si è cafoncini, poi crescendo ci si trasforma in cafoni, infine invecchiando si acquisisce lo status definitivo.
E dire che appena sbarcata a El Paraculo, come l'aveva ribattezzato sempre il nostro amico Marco M. (un freddurista davvero unico), avevo anche provato a fare amicizia con i cafoncini-cafoni. Sì, perché ai tempi era una graziosa quattordicenne, facile preda dell'occhiale da sole a specchio a caccia.
E qui si entra nel regno delle spiegazioni psicologiche al nostro perdurante ritornare a Gomorra. Per darvene la sintesi più efficace, ricorro nuovamente a mia sorella e al bisogno familiare di scegliere le soluzioni più "scrause" per sentirci più vicini al popolo. Al popolino. Perché chi ci crediamo di essere, noi piccolo-borghesi di una cittadina del centro-sud, per disprezzare chi sta più in basso di noi? Starne a contatto, anzi, ci dà la misura della nostra superiorità e la conferma che mai, MAI, potremo scendere a quel livello.
Eppure. Eppure bisogna stare attenti. E secondo me io l'ho scampata bella, ma un po' ho rischiato, e precisamente proprio l'anno in cui siamo arrivati là.
Ma mi sono ripresa in fretta, favorita anche da mia sorella, ben più avanti nel processo di de-scrausamento. Grazie a lei, infatti, già alle medie avevo appreso che la giacca di jeans senza maniche che a me tanto piaceva, era un chiaro simbolo di rozzezza o rozzeria (un'altra parola molto in voga ai tempi), e che mai, MAI, avrei dovuto indossarne una. Il liceo classico ha fatto il resto: nel giro di un inverno mi sono trasformata in una disadattata, anche se per la presa di coscienza definitiva della mia attuale condizione ho impiegato tutti gli anni intercorsi da allora.
All'inizio del processo, dunque, ero troppo apertamente ostile, il che mi permise, sì, di tenere a debita distanza il grosso degli habituè balneari, però in cambio finii per condannarmi a una sorda e annoiata solitudine nelle giornate più belle dell'anno e della vita, tutto sommato.
Ogni tanto, certo, era possibile riderne insieme, come quella volta che, di ritorno dalla spiaggia, mi sentii apostrofata da un gruppo di operai in pausa pranzo, nel ristorante sull'angolo della stradina che mi avrebbe ricondotta a casa. "Valendino, valendino, valendino", ebbe a pronunciare una voce da baritono e di una lentezza messicana, mentre passavo con la mia maglia a metà coscia (le mie odiate cosce) a pochi metri da loro.
Con mia madre e mia sorella ci ridemmo su e ancora oggi, quando rivanghiamo l'episodio, ci affiora una risata. E però, continuo a non capire. A non capire perché in tutti questi anni non abbiamo cambiato stabilimento. Sarebbero bastati pochi metri. Perché pure alla Siesta, dove di certo non c'è un circolo di intellettuali, però si sta meglio, se non altro perché il juke-box non è mai così alto.
Forse, però, una ragione c'era. Eccola l'illuminazione. Perché potessi finalmente scriverne, a futura memoria. Mia e della mia famiglia, i miei veri fan. Gli unici, forse, per cui accetto giusto un pizzico di scrausamento pur di passare un po' di tempo con loro.
Però, cari genitori, ve lo dico da adesso: per quanto mi riguarda, mai più a pranzo al Paraculo. Citando un anziano ex bagnante di origine foggiana, trasmigrato allo stabilimento fighetto poco più a sud dopo aver subito una grave offesa dai cafonacci gestori, pure io "indietro non torno".

mercoledì 6 giugno 2012

Coming out



E no, che avete capito?
Almeno fino a prova contraria, non ho cambiato preferenze talamiche. E' solo che ho deciso di non nascondermi più, almeno non del tutto. Perché, come sostiene giustamente mia madre, è pur vero che le parole mascherano, assai più di quanto possa sembrare persino a me stessa.
In ogni caso, credo che sia giusto metterci almeno il nome (per la faccia, beh, accontentatevi del disegnaccio nuovo scelto come intestazione e della fotografia di me treenne) soprattutto perché ogni tanto parlerò di cose serie. Perché il non-lavoro, pur se affrontato con scioltezza non pedante, è pur sempre faccenda che fa rabbrividire. In alcuni casi, a dire il vero, fa proprio morire e anche se non ho intenzione di unirmi alle giaculatorie neomelodiche sullo Stato assente e il governo ladro, è pur vero che bisogna avere rispetto di chi soffre per i continui respingimenti oltre i confini delle assunzioni. Un problema che, come ho già avuto modo di dire nel primo post della rubrica "Gli Sfaccendati", non riguarda solo i giovani e i giovanissimi, ma ahimè anche molti quarantenni e cinquantenni. Di qui la mia decisione di non parlare solo dei coniugi Sfaccendati per eccellenza, bensì anche degli altri.
Nelle storie di cui verrò a conoscenza userò naturalmente sempre il mio tipico tono di leggera ironia (beh, certe volte scivolo nel sarcasmo, lo riconosco) verso un Paese tanto bello quanto fragile, in tutti i sensi.
Però di ogni parola che scriverò mi prenderò tutta la responsabilità, per rispetto verso il mestiere che malamente - e raramente - ancora esercito e soprattutto per un senso civico radicato come una quercia secolare. Su quest'ultimo aspetto, peraltro, non ho alcun merito particolare, dal momento che mi è stato insufflato nel sangue direttamente alla nascita. E se non ci credete, beh, provate a seguirmi e ve ne accorgerete.
Alla prossima.

lunedì 4 giugno 2012

Sfaccendati di tutto il mondo (?), uniamoci

Niente da fare? Quasi quasi mi faccio uno shampoo
Uno passa l'infanzia a sognare di diventare grande, immaginando di trasformarsi un domani in un giocatore di basket o in un macchinista di treni (ho in mente due persone precise che hanno espresso questi propositi giusto ieri) e poi si ritrova a dover elemosinare un lavoretto qualsiasi, più per sentirsi occupati che per l'aspettativa di una possibile remunerazione.
Meglio non aggiungere altre parole onde evitare accuse di sterili piagnistei.
Leggiucchiando poco fa "Il faro" di mio cognato Massimo, però, m'è caduto l'occhio sulla storia di una sua amica che ha subito un ingiusto licenziamento, ma che poi, al dunque, ha preferito tirarsi indietro di fronte alla prospettiva di una causa, di certo lunga (questo è sicuro) e chissà se fruttuosa.
Perché il problema di chi ha contratti instabili (e basta con la parola precario, peggio che mai se declinato con la K) o inesistenti è ottenere adeguato risarcimento per eventuali ingiustizie subite.
Se per esempio, come temo, la mia unica (piccola) fonte di reddito dovesse venir meno con l'esaurirsi dell'attuale mese, con chi potrei prendermela? Proprio con nessuno, non avendo alcun contratto (Kontratto?) né lettera d'incarico. Né, d'altronde, la ragazzina che ha preso il mio posto (ignoro a quale compenso e con quante altre mansioni aggiunte) nella gestione del prodotto editoriale elettronico in bilico può fare molto davanti alla parola magica "crisi" (quante potenziali K fungibili con la C), probabile causa del mancato rinnovo del suo rapporto a termine, in corso ormai almeno da un paio d'anni, dopo un periodo da stagista neolaureata, un privilegio, ormai, per una grossa quantità di giovanissimi e giovani come lei.
Ed è ben per questo che lo scorso inverno non ho disdegnato di fare la custode (... K?) per una mostra né mi sembrerà degradante tra qualche settimana occuparmi di schede elettorali per due giorni e mezzo.
Insomma: gli Sfaccendati si arrangiano come possono.
C'è tuttavia un però inaccettabile: nessuno, sottolineo, NESSUNO, si può permettere di mancarci di rispetto, facendoci sentire peggio che paria.
Se mi sono proposta di scattare foto per un giornaletto locale di nessun pregio, per esempio, non vuol dire che non merito neanche un "no, grazie" via email. Se poi lo stesso direttore del cosiddetto mensile prende a pretesto un refuso - coperto da un'orrida pecetta - lasciato dalla grafica su un redazionale (inutilmente lecchino) per non pagarle diversi mesi di lavoro, beh, no, in quei casi qualcosa bisogna fare.
E se proprio non gli si vuole fare causa per paura che la spesa non valga l'impresa, una rappresaglia alternativa (taglio gomme auto? imbrattamento dei pacchi dei giornali scovati negli androni dei palazzi?) non ci starebbe male.
In definitiva, ho preso una decisione per la presente rubrica: visto che a essere Sfaccendati siamo tanti (ma tanti tanti), ogni volta che potrò allargherò il resoconto delle giornate di lavoro in ribasso e creatività in rialzo (un prezioso antidoto per non soccombere alla depressione) a tutti gli altri non-lavoranti o lavoricchianti con cui avrò modo di entrare in contatto.
Perché finché avrò voglia e tempo di scrivere, insomma, non mi resta che scrivere.
Per me (di certo) e per interposta persona.
E a chi tornerà da queste parti, grazie del vostro sostegno.

giovedì 31 maggio 2012

Doveva essere solo un brindisi


Si dice che scrivere aiuti anche a buttare fuori i ricordi sgradevoli. Sarà anche così, ma da quella festa di compleanno cui, malauguratamente, ho deciso di prendere parte è già passato un certo tempo eppure io non riesco ancora a metabolizzarla.
Anche adesso, per dire, mi accorgo che le parole escono a fatica e che non so proprio da che parte cominciare.
Fingiamo di essere su The Mentalist e che Patrick Jane mi abbia appena sottoposto a ipnosi.
Dove sei?
In un locale affollato... musica altissima... cafonacci dappertutto... tra poco però brindiamo e andiamo via... almeno così mi hanno detto...
Che cosa fai?
Sono in piedi vicino a un tavolo bianco... dietro di me un tizio con i pantaloni bianchi e la camicia nera muove il bacino in modo scomposto... è tozzo e mezzo pelato... di un colorito mattone... vicino ha due quarantenni (ultra) in minigonna e stivali borchiati... l'unz unz è sempre più forte...
Vorresti scappare?
Sìììì... ma non so dove... provo a scendere in spiaggia, fa freddo, ma mi tolgo comunque le scarpe... mi avvicino alla riva e scorgo un tizio che guarda il mare... romantico? Ma no! Sta pisciando sulla riva, che schifo! E se la sabbia fosse piena di cacche? Aiuto... torno indietro... ma che vuole quello? Che gli importa se sono lì tutta sola?
Sei sola?
No... sono con una coppia di amici... siamo a un compleanno... è una festa a sorpresa... ma perché non ci portano la dannatissima torta e lo spumante così ce ne andiamo? Sono stanca, la musica è orrida e cominciano a farmi male le gambe a forza di presidiare il tavolo. Non c'è neanche un buco per sedersi e poi dove mi metto? Vicino al tamarro che si dimena? Ma per carità.
Che musica mandano?
Ma non saprei... roba techno... prima avevano rispolverato dei classici napoletani... 'O Sarracino mi piace pure, ma non tollero la vista di quelle due tardone mezzo svestite che si agitano sulle sedie muovendo i loro seni scoperti... E dire che amo ballare... ballonzolo sul posto... mi faccio pena, ma non so che cos'altro fare...
Non cominci a rilassarti?
Ma proprio no! Mi difendo, fingo... e poi chi diavolo è sta' gente con queste facce da periferia semi-rurale? E quegli orridi plateau... e quei pantaloni pitonati... madonna...
Non parli con nessuno?
E come si fa? La musica è altissima! E poi con chi dovrei parlare, scusa? Di certo non con quella specie di Golem che mi ha avvicinato non appena siamo entrati. Fare amicizia con te? Ma per favore, sgomma. E quell'altro con quel penoso foularino che mi ha chiesto se il compleanno era il mio e continuava a fissarmi con un sorriso ebete da lontano?
Non potevi buttarti nella mischia visto che ti piace ballare?
Impossibile! Non ci si poteva muovere e poi mi terrorizzava il dj... Uriano The Voice, credo... o comunque uno con un nome simile... C'era un addio al nubilato... MA STASERA TUTTE LE DONNE SONO SINGLEEEEEEE!!!! Ma che ti urli, maledetto? Ma il top doveva ancora arrivare... MORRIS CARROZZIERIIIIIIIIIIII!!!!! L'avrà gridato almeno una decina di volte... ma chi cavolo è? un calciatore di una squadra locale, pare... E che nome ha? Ma che vada a lavorare... andate tutti a lavorare, lazzaroni...
Non stai esagerando un po'?
NO! e poi NO! Mai vista una così grossa concentrazione di buzzurri, oltretutto pure anzianotti in maggioranza... era un inferno. UNO STRAMALEDETTO GIRONE DANTESCO.
Non c'è stato proprio niente di positivo?
La torta... buonissima... ma mi ci sono avventata sopra come il salvagente del Titanic... devo aver fatto una pessima figura con gli amici della festeggiata... pazienza... dovevo pur consolarmi con qualcosa... non sono neppure riuscita a ubriacarmi... ero troppo traumatizzata dal contesto...
Ti senti meglio adesso?
Ma... forse sì... ormai è andata... ma... e se mi invitano di nuovo come devo comportarmi? ho paura di non essere capace di dire di no... aiuto, aiutatemi...
Un modo c'è.
Quale? Dimmelo, per favore...
Aderire al gruppo Facebook Trovarsi male, di grande conforto in casi simili.
Ah sì? Allora non capita solo a me di subire torture così...
No. Però, se posso darti un consiglio, la prossima volta da' retta a tuo marito o almeno consultati con chi si è già "trovato male".
Ah... d'accordo... sono testarda e recidiva. E forse pure un po' masochista. Ma cercherò di darti retta...
Bene. Allora puoi svegliarti.
...
?
!
#
]
*
Grazie, Patrick.

(come sono gentili questi tizi in camice bianco...)

lunedì 28 maggio 2012

Lavorando per sottrazione, invecchiare è un'arte

Pietà Rondanini, Michelangelo
Me ne ha parlato un grande artista conosciuto lo scorso inverno, ma non l'avevo mai vista. Per quel che poco che capisco d'arte, mi sembra veramente un capolavoro.
Mi piace pensare che invecchiando gli artisti di tutti i tempi imparino a lavorare sempre di più per sottrazione. Di sicuro sembrerebbe averlo fatto Michelangelo, che da giovane scolpì opere maestose come il David e la Pietà più famosa, quella romana, anzi vaticana.  Più avanti negli anni, invece, sarebbe arrivato alla conclusione che non servisse definire alla perfezione i contorni per restituirci il corpo e il dramma della finitudine umana.
Ai grandi, ai più navigati e di provato talento, in sostanza, bastano due tratti, due martellate (si fa per dire) ed ecco che viene fuori la vera essenza, il vero volto, imperfetto e limitato, dell'uomo.
Chissà che un giorno non succeda anche a me, benché io non sia un'artista.
Però uso le parole e conosco la fatica del metterne una dopo l'altra con accuratezza non pedante.
E dire che da ragazzina scrivevo temi brevi, a tratti quasi ermetici, che raramente mi hanno permesso di superare il 7. Probabilmente, era giusto così: non avevo ancora l'età giusta sintetizzare in maniera adeguata i miei pensieri, così che finivo per risultare un po' oscura. Oltretutto, con la mia grafia da medico condotto, dovevo essere doppiamente illeggibile.
E d'altra parte la brevità non è per forza virtuosa, bensì può essere anche sinonimo di sciatteria.
Malfatti sono per esempio quei tg che puntano tutto sulle super-brevi, le breaking news che ho citato nel post dell'altro giorno, che non di rado toccano vertici di fastidioso nonsenso.
Ma qui l'arte o la letteratura non c'entrano.
Però, magari, invecchiando, anche i giornalisti imparano a sfrondare, componendo veri e propri haiku al posto di semplici ultim'ora.
Chi può dirlo. Di certo non io che sto qui che mi arrampico sugli specchi per cercare una conclusione che non c'è.
Trovata: vi lascio con l'enigma leonardesco proposto dall'artista che mi ha parlato della bellissima scultura di Michelangelo. Anche per questo occorre una certa maturità. E arguzia.

MUT       TUM

NEM       MEN

A            A

LOS       SOL

NOC     CON

Meditateci su e buonanotte.

domenica 27 maggio 2012

Politicanti e teste pensanti, incompatibilità a prova di meches

Susanna Camusso da giovane


No, in effetti non mi assomiglia per niente, però il gioco con mia madre, che si svolge quasi tutto via sms, sulle presunte analogie tra la leader della Cgil e la sottoscritta è molto divertente.
Qui, per dire, le differenze tra noi sono ancora più palesi, innanzitutto perché io non ho una capigliatura così folta, e poi perché lei è chiaramente castana, mentre io, alla sua età di allora (nella foto sopra mi pare sui trent'anni, ma chi può dirlo), ero stra-bionda. 
E allora come si origina lo sciocco scambio di messaggini con la mamma?
Per via delle meches più chiare che alla fine ho deciso di abolire: adesso il tono cenere (un tantino spento) della mia chioma volatile (ho i capelli più fini dei filini d'argento dell'albero di Natale) si è reimpossessato della mia testa, mentre la Susy nazionale non rinuncia al tocco di luce artificiale, forse per nascondere i capelli bianchi. Un problema che, per il momento, io non ho. Quando il biondastro naturale sarà sostituito dal grigiastro altrettanto fisiologico, beh, allora è facile che torneremo a essere di nuovo molto simili.
E chissà se allora deciderò di rassomigliarle ancora di più sotto un altro aspetto, che forse abbiamo davvero in comune. Per il momento, comunque, la pasionarietà che mi contraddistingue preferisce "restare nell'ombra". 
Con quest'ultima locuzione, sempre via sms, una forma di comunicazione che evidentemente prediligo (era ancora in corso l'offerta tim dell'autoricarica), ho liquidato un sindacalista marchigiano che voleva a tutti costi farmi candidare alle elezioni per il direttivo nazionale.
Pazza, penserà qualcuno. Ma no, assai saggia, come potrete capire tra un attimo.
Era una mattina qualunque, una delle solite in cui, mentre finisco di lavarmi, ascolto Pagina Tre e tutto Primo movimento, quando faccio particolarmente tardi. Ogni tanto, mentre sono seduta sul sacro trono, approfitto per accendere i cellulari, con l'illuso, malcelato desiderio di leggervi finalmente qualche novità interessante.
E in effetti quella volta una breaking news è arrivata davvero. Uso l'espressione cara al tgcom per sottolineare la natura ansiogena della suddetta. 
"Ciao, sono xxxx". Prima ancora di risentirne la voce, sapevo già con chi avrei avuto a che fare. Erano almeno un paio d'anni che non si faceva vivo, ma nella mia rubrica era rimasto il soprannome che ormai ho imparato ad affibbiare a tutti i miei contatti, soprattutto a quelli più molesti. No, il Seccatore... E che diavolo vuole? Perché gli ho risposto, direte voi (in piedi davanti alla tazza, con lo sciacquone non ancora schiacciato). Per una sola, pratica ragione: il mio bieco bisogno di denaro sonante, se possibile da guadagnare in fretta senza grossi sforzi. 
Nelle passate consultazioni elettorali ho fatto la scrutatrice, ma dovevo immaginare che un tipo come il Seccatore mai si sarebbe scomodato a telefonarmi solo per ingaggiarmi di nuovo per la bassa - e per questo da me molto ambita - manovalanza.
No, il Seccatore cercava di ben peggio. Lui voleva uno schiavo (anzi: una schiava, perché un po' di quote rosa ci stanno bene, e io, ha precisato, sono adulta, ma anche giovane e carina. E vabbè) da spedire alle riunioni, un pappagallo che ripetesse a memoria la lezioncina imbeccata da lui in persona.
L'errore, però, l'ho commesso io: ho esitato a dirgli immediatamente di no, grazie, cercati qualcun altro da manovrare, perché, in effetti, di starmene qua nell'ombra, circondata da giornalacci pieni di marchette o a compulsare (assai di rado, sono troppo deprimenti) siti web di cosiddetta informazione locale non sono molto felice. E infatti ho creato non a caso "Gli sfaccendati", con il non secondario intento di sputtanare almeno un po' il sistema di favoritismi e squallori vari che impediscono alle persone di buona volontà, soprattutto se dotate di qualche talento, di trovare la giusta valorizzazione. E in genere non parlo di me, come avrete visto.
Insomma, ho tentennato perché, per una volta, mi sono chiesta se non potessi davvero dare una mano anche ad altri in condizioni simili alle mie: da poco ne è capitata una a una giovane professionista molto capace, la cui unica colpa è di essere sempre gentile ed educata. Non appena mi darà l'autorizzazione, ne parlerò più diffusamente. In ogni caso, è vero che c'è bisogno di ricambio, di aria nuova, in tutte le istituzioni, sindacato dei giornalisti compreso.
Insomma: gli ho chiesto ventiquattr'ore di tempo per rifletterci su. Più passavano le ore, però, e più mi dicevo che una proposta da un personaggio così avrebbe comportato solo inutili grane. Nel frattempo, mi sono consultata con Sfaccendato man, scettico ma molto rispettoso di una mia eventuale risposta favorevole, e con un altro paio di persone fidate. Per una delle due, poteva essere una buona cosa se solo fossi riuscita ad arginare il Seccatore. L'altro, credo, si è rattristato alla prospettiva di passare due giorni e mezzo al seggio senza la mia compagnia. Perché, diciamolo, i votanti sono pochissimi e per il grosso del tempo ci si gira i pollici: il lavoro perfetto, insomma, soprattutto se affrontato con qualcuno d'interessante con cui chiacchierare. Un privilegio che, credo, avrei perso se mi fossi candidata: perché, immagino, non si può essere insieme aspiranti sindacalisti e volenterosi scrutatori. Probabilmente non lo saprò mai né è detto che possa a questo punto ottenere l'incarico di basso livello, ottimo per una persona che non vuole "uscire dal cono d'ombra", come mi ha esortato a fare il Seccatore, concludendo il suo tentativo di ingaggio con "I want you", manco fossimo in Ncis
Durante le ore di pensatoio, non potendo fare altrimenti, ho peraltro chiesto (rigorosamente via email) proprio allo Zio Sam di noialtri (che, a proposito di somiglianze, sembra un po' Maurizio Landini) dell'eventuale incompatibilità tra i due ruoli. Sapete come mi ha risposto? Chiedendomi di chiamarlo la sera stessa. Per fortuna, ho spento il cellulare durante l'ora di step. Mentre mi asciugavo i capelli in palestra, ho riacceso il dannato apparecchio ed eccolo là, con il suo stalking telefonico. Sì, perché ha riprovato per almeno altre due volte, costringendomi a spegnerlo definitivamente alle 22.40, molto prima del solito (ho saputo poi che ha provato a estorcere il mio fisso a un'amica e collega, che assai provvidamente s'è guardata bene dal darglielo. Ma guarda tu che insistenza).
Ed è stato così che sono riuscita a strappargli le ventiquattr'ore richieste, ma stavolta mi sono guardata bene dal riattivare il telefonino mentre facevo la toilette la mattina dopo.
Con molta piacevolezza, ho finito perciò di ascoltare Primo Movimento (c'era il concerto di Beethoven per violino e orchestra, l'unico con il sublime arco composto dal Maestro: non potevo proprio perderlo), dopodiché, prima di mettermi alla scrivania, ho riacceso.
Di seguito ho trovato: una chiamata da un numero sconosciuto, una dal Seccatore e un provvidenziale sms di un mio caro amico che ha avuto esperienze sindacali e proprio per questa ragione da me consultato il giorno prima come jolly per la decisione finale. Eccovene il testo, da me all'uopo conservato: "Rifiuta senza indugi, hai troppe cose tue da fare che richiedono tempo".
In genere, funziona così: quando c'è da decidere qualcosa, aspettiamo solo che qualcuno ci confermi in quello che pensiamo già. Così è stato anche in questo caso. Soltanto, avrei voluto comunicare le mie intenzioni al Seccatore di persona, senza inutili pressioni. Oltretutto, desideravo anche precisargli che se c'era da dare una mano operativa, non di facciata, io ero disponibile. 
Invece, con il suo comportamento, se la può scordare. 
La telefonata dal numero sconosciuto era di un suo pupillo, nonché nuovamente candidato alle consultazioni di fine giugno. Per lo meno lui è stato gentile e non ha insistito più di tanto ("non faccio il venditore: se hai deciso così pazienza", mi ha detto con molta tranquillità). Mi ha anzi ringraziato, cosa che non ha fatto il Seccatore, né prima né dopo. Qualche istante prima di parlare con il suo pupillo, gli avevo infatti già scritto un sms per comunicargli la mia scelta.
"Decisione presa: preferisco restare nell'ombra". 
Ammetto di averci messo un pizzico di sarcasmo, ma d'altra parte ho anche rinnovato il mio interesse per la consulta del lavoro autonomo. In cambio che cosa ne ho avuto? Un silenzio da far paura. Neanche un vaffanculo. Nada de nada. A riprova dell'assoluta falsità del suo "I want you" e di tutte le altre boiate con cui ha provato a convincermi.
Morale della storia? Politicanti e teste pensanti sono del tutto incompatibili.
Ed è per questo che, credo, alla fine non somiglierò mai alla Camusso, non me ne voglia la sindacalessa per eccellenza, meches o non meches sulle nostre chiome.
Preferisco vivere. Nella mia doratissima ombra. 
E voi?

giovedì 24 maggio 2012

Di Fisica o chimica e dell'omofobia nazionale

Angy Fernandez, alias Paula in Fisica o chimica

Torno per l'ultima volta (ma chissà) sul telefilm spagnolo che mi ha fatto così tanta compagnia durante lo scorso inverno, perché mi sono resa conto che la querelle Freccero-Borgonovo è finita persino sui giornali spagnoli.
In particolare, se n'è occupato "El Mundo" che in estrema sintesi ha accusato l'Italia di essere omofoba e bigotta. Ma che bella figura, veramente.
La notizia è riportata dal blog Televisionando che ha trascritto (male: forse per colpa del traduttore automatico offerto dai pc. Magari una controllatina non ci stava male. E vabbè) i commenti di alcuni attori che hanno preso parte al telefilm. Si trattava dei ragazzi noti sullo schermo come Yoli, Roman, Ruth ed Erica (quest'ultima peraltro ha avuto un ruolo davvero inquietante: altro che l'omosessuale Fer!), i quali si sono soffermati sui concetti di finzione e realtà, mettendo in risalto che quanto messo da loro in scena fosse, per l'appunto, ascrivibile alla prima.
Qualcuno ha però anche precisato che nelle loro scuole in qualche caso accadeva ben di peggio di quanto attribuito allo Zurbaran e che di episodi di ragazze rimaste incinte per mancato uso di preservativo (come successo al personaggio di Paula, nella foto in alto) ne capitavano eccome. Però anche i loro genitori si sono scandalizzati esattamente come è successo in Italia, semplicemente perché non conoscono il mondo (forse un po' ristretto: ma chi è che a 15-18 anni ha ampi orizzonti?) in cui vivono i loro figli. 
Poi, certo, è vero che la tv può spingere all'emulazione, ma come ho già avuto modo di dire nei post precedenti, nel telefilm si cercava di far passare il messaggio che drogarsi è sbagliato, che avere storie tra allievi e prof non è esattamente normale e che l'omosessualità non è così facile da vivere in un contesto sociale che la rifiuta.
Ed è proprio quest'ultimo aspetto, tra l'altro, ad aver scatenato l'alzata di scudi contro il telefilm, come ha scritto un blogger presumo omosessuale cui dò piena ragione, considerato anche quanto mi capita di ascoltare sulla Zanzara di Giuseppe Cruciani, trasmissione che va in onda su Radio24 dal lunedì al venerdì, dalle 18.40 alle 20.50 circa. Ebbene, non appena il conduttore della radio della Confindustria accenna ai "froci" e alla malattia di cui sarebbero affetti secondo vari benpensanti di predominanza cattolica (ma tra gli ex Pci quanti ragioneranno allo stesso modo?), arrivano puntuali le telefonate di ascoltatori pronti ad associarsi alla rampogna espressa dai suddetti.
Devo ammettere che ci sono rimasta male: non pensavo che in questo Paese ci fosse ancora così tanta gente che si sdegna per gli amori omosessuali in una maniera, se posso dirlo, viscida, direi di più, sessuofobica. Insomma, pur criticando l'aspra reazione di Carlo Freccero all'articolo di Libero, vera causa, a mio avviso, dello stop definitivo al telefilm, credo però che l'Italia abbia davvero un problema di forte arretratezza culturale se alla fine, dopo aver rimandato daccapo le puntate dedicate all'amore tra Fer e David, se n'è concluso che Fisica o chimica andasse chiuso definitivamente.
Perché è successo proprio così: dopo l'ipocrita slittamento di un quarto d'ora della messa in onda per essere sicuri di non stare più nella fascia protetta, la Rai è tornata indietro di una serie (o forse due) per dare la possibilità a tutti, compresi i maniaci sessuofobi di cui sopra, di rivedersi per bene tutti i baci omosessuali tra i due ragazzi. Non voglio soffermarmi oltre sul probabile godimento pruriginoso causato agli sporcaccioni nazionali, ma se davvero si volevano proteggere i minori da scene considerate troppo forti, non sarebbe stato logico andare avanti arrivando alla conclusione della serie? Perché nel telefilm mica si parlava solo di omosessualità? C'erano altre storie incrociate, compresa la partenza del bel Cabano per l'Inghilterra, accompagnata da una melensa melodia cantata da Angy-Paula che tanto mi aveva commosso ai tempi.
Proprio con quest'ultima voglio salutare per l'ultima volta (ma chissà) i fan di Fisica o chimica, e tutti gli ex ragazzi come me che dal telefilm hanno tratto giusto un po' di leggerezza e di allegria, la stessa che da adulta ho potuto rivedere nei volti degli studenti del Montani, così simili (probabilmente) a quelli che avevo conosciuto in tv. Confido in voi per cambiare le teste di questo Paese: forse ce la potete fare.