sabato 15 marzo 2014

Indifesa è la memoria: Massimo Del Papa omaggia Enzo Tortora


 
Indifesa è la parola: Massimo Del Papa non poteva scegliere titolo più adatto per riassumere l’esperienza umana e giudiziaria devastante vissuta da Enzo Tortora, negli stessi anni in cui mi trasformavo da bambina in ragazza. Appena ieri, per la storia del nostro Paese, ma antica come il Pleistocene per la memoria collettiva.
Io medesima, lo dichiaro apertamente, non conoscevo i dettagli della vicenda di questo giornalista di estrazione borghese, liberale, per niente condiscendente, né nella sua professione né, probabilmente, nel privato.
Un uomo tutto d’un pezzo, per così dire, vecchio stampo, di quelli che non guardavano di buon grado le conseguenze prodotte dal Sessantotto, inviso, presumo, alla intellighenzia dei pennivendoli di allora, ma temo non solo delle aree più estremiste, rosse e nere.
Come ben raccontato da Massimo, un uomo così subisce una vera e propria metamorfosi, che lo traghetterà nelle fila del partito radicale, a combattere le battaglie di altri detenuti in attesa di giudizio come lui, altri condannati anche colpevoli a differenza sua, ma privi di santi in paradiso.
Tortora rifiuta, ed è questa una delle cose che non sapevo, di avvalersi dell’immunità di parlamentare europeo e sceglie la cella, ritenendosi “fortunato”, lui che ci passa mesi bollenti insieme ad altri sette detenuti, contro i sedici normalmente assiepati in una manciata di metri quadri.
Da buon giornalista e uomo di cultura, parla e scrive molto: toccanti quelle che dedica alla figlia e tragiche quelle che non ascolterete nella versione breve del video che ho ricavato dalla serata al teatro di San Ginesio, in provincia di Macerata (è stato faticoso scegliere quali brani inserire, ve l’assicuro), che pronuncia nell’ultima intervista televisiva rilasciata a Giuliano Ferrara, su Rai due, il suo canale, pochi giorni prima di morire.
Quel che fa male, molto male, è conoscere l’epilogo di questa brutta pagina di malagiustizia italiana: gli stessi giudici che l’avevano condannato in primo grado, con una sentenza poi completamente e definitivamente sconfessata da quella d’appello, in seguito hanno fatto carriera.
Massimo li elenca uno per uno, compresi gli incarichi che poi sono andati a ricoprire.
Per certi versi, la sua teoria di ingiusti, mi ha fatto pensare al caso Ustica e ai troppi vertici dell’Aeronautica che non hanno pagato per aver depistato per anni, portandosi dietro altre morti, la verità su quell’enorme ferita inferta al nostro Paese.
“Ma che razza di Paese è mai questo?”, si domanda, retoricamente, Massimo verso la fine del monologo.
E io invece chiedo: come possiamo, io compresa, avere la memoria così corta?
È umano, sia chiaro, voler rimuovere ciò che ci addolora: anche perché in casi del genere che cos’altro potremmo fare?
Ve lo dico, come la penso, stavolta sì.
Possiamo solo usare cuore e cervello: il primo per provare un po’ di empatia anche per chi non fa parte della nostra stretta cerchia di affetti; il secondo per informarci, approfondire, andare oltre la superficialità del presente.
Non posso quindi che dire ancora grazie a Massimo, per questo sforzo che ha compiuto anche per me.
Non era semplice ripercorrere una storia che so quanto senta anche con le sue corde più intime: lo si vede, del resto, da come ha “recitato” i discorsi di Tortora.
E dico grazie, pubblicamente, anche a suo fratello Paolo, al quale sono legata affettivamente, per come ha saputo assecondare con la sua splendida musica le parole, spesso indigeribili, pronunciate dal fratello.
A voi che non eravate con me la sera del 7 marzo 2014, in uno dei molti piccoli scrigni d’arte nascosti sulle colline marchigiane, buona visione del sunto, sicuramente parziale, di quella magnifica serata.
Guardate, ascoltate, emozionatevi e riflettete.
Solo facendo tutte queste cose, e non solo in questa occasione, del resto, la vita acquista un senso.
O no?

lunedì 10 marzo 2014

Marcella e la vera amicizia. Per sempre

 
 
 
E poi succedono cose del genere. Piccoli miracoli che ti strappano un sorriso. E anche un po' di commozione trattenuta.
Marcella è mia amica da sempre.
Ci saremo anche allontanate, non solo geograficamente, ma la nostra essenza è ancora tutta qui, nella foto che vedete sopra e in quelle sotto.
 
E io, in fondo, l'ho sempre saputo.
Un'amicizia nata ancora prima di noi, grazie a quella, tuttora molto solida, tra i nostri genitori, non può perdersi solo per colpa della vita.
Marcella, forse, certe cose di me non le ha capite né potrà capirle.
Io, a mia volta, non sarò mai in grado di essere così naturalmente affettuosa, così naturalmente simpatica come lei.
 
Scrivo queste parole con molta lucidità.
Tra me e lei, la pallosa fifona sono sempre stata io.
Tra la mia e la sua Barbie la sua era sempre un pizzichino più bella della mia perché era giusto che fosse così: Marci non ha paura di mostrarsi, non ce l'ha mai avuta, o se ce l'ha avuta, l'ha saputo nascondere molto bene.
 
Io, invece, temevo il cavallo della Vidal, piangevo anzi, quando lo vedevo correre libero sulla spiaggia, ascoltando quella musica che adesso non so più come facesse.
Marcella è riccia, di quel riccio che ho sempre amato molto.
Ha un sorriso che mi riempie tuttora di gioia e che molti anni dopo ho ritrovato nella sua bellissima bambina.
 
E' stata la mia amica più importante, lei che mi faceva ascoltare Paul Young e mi usava come coretto quando sognava di diventare una cantante.
Lei mi ha fatto conoscere Michael Jackson e anche se facevo la snob già a tredici anni, sotto sotto avrei voluto imparare tutta la coreografia di Thriller.
 
Marcella è sempre stata coraggiosa, come io ho imparato solo dopo.
Non si è mai vergognata di mostrare le lacrime né ha mai finto, almeno non con me, sentimenti diversi da quelli che provava.
Non credo di aver mai avuto un'altra amica come lei.
 
Certo, c'era anche Mariangela, il terzo membro dei cosiddetti Tre Porcellini, com'eravamo affettuosamente chiamate dai nostri genitori.
Con Mariangela ho fatto però altri giochi. Grazie alla più piccola del trio, effettivamente, ho imparato a tirar fuori un po' più di carattere. Con Mariangela non potevo sedermi e fare la lagna, non me l'avrebbe permesso.
 
Con Marcella, invece, ero la spalla di questa piccola leader per dna.
Non mi pesava affatto seguirla a ruota, anche se dovevo spiazzarla un po' quando le parlavo del mio amico immaginario.
Ricordo proprio che mi diede (indirettamente, certo) della pazza quando le parlai di Andrea Dublino e di suo cugino, due giovani mai esistiti che io avevo collocato alle cinque palazzine, un quartiere di Chieti Scalo all'epoca considerato malfamato. 
 
Mi sa che aveva ragione. Un po' di pazzia, a ben vedere, nella mia famiglia c'è, ma di quella inoffensiva, che tutt'al più fa male solo a noi medesimi.
Marci, invece, è sempre stata sana, di una salute fisica e mentale che ho sempre ammirato.
 
Il che, ovviamente, non vuol dire che non abbia sofferto (da ragazzina, probabilmente, pensavo che solo io potessi provare sentimenti del genere. Ve l'ho detto: ero pallosa e presuntuosa), ma la sua vitalità ha sempre prevalso e io le sono immensamente grata di volermi ancora bene.
 
Oggi, Marcella, ho imparato a non nascondermi né cerco più di farmi accettare a tutti i costi.
Con te non ne avevo bisogno e infatti mi prendevi in giro per il cavallo di Vidal e per Andrea Dublino: non sai quanto mi hai aiutato a guardare all'esterno della mia testa, del mio cuore.
 
Con molte amiche, o cosiddette tali, incontrate più avanti negli anni, non sono più riuscita a essere così aperta: ho sempre pensato che fosse meglio recitare, anche solo parzialmente.
E mi sono trasformata nella donna "solare", nella Cica che consola, che sdrammatizza.
 
Non sono così o comunque non sono solo così.
E tu, e credo anche Mariangela, lo sapete.
 
Peccato non essere vicine, peccato non potersi parlare a cuore aperto, ridendo (magari!) di noi.
 
Dei tuoi meravigliosi occhiali in queste foto e della mia faccia da formaggino, sempre quella nonostante le rughe.
E dei nostri fondoschiena... il mio un po' più grande del tuo, è evidente!
 
Grazie di tutto.
Tua amica per sempre.
A.

 
 
Ps Bellissimo il parco macchine del cortile, eh già! W la A112!!!
 


 
 



martedì 4 marzo 2014

In viaggio con Loretta Emiri (e la sua mamma) da Monte Giberto all'Amazzonia!


Che effetto mi fa leggere il mio nome in fondo alla locandina in arancio che vedete qui sopra! Sapete perché?
Perché l'incontro con Loretta Emiri è stato così casuale da farmi pensare che non lo sia stato affatto.
Per il momento mi limito a scrivere solo queste parole. Ciò che più conta, infatti, è che veniate a sentirla parlare, con la sua voce cristallina e la sua prosa asciutta e accurata.

Rimando a dopo il nostro incontro il resoconto di quella che già so sarà un'esperienza indimenticabile: a partire dal viaggetto che ci faremo con la Micra scassata verso Monte Giberto (per i non locali trattasi di un paese in provincia di Fermo).

Non vedo l'ora di avere di nuovo a bordo le due Thelma e Louise di Narni pronte sempre all'avventura... parlo di Loretta e della sua simpaticissima mamma. Io faccio solo la chauffeur (di qui la dicitura "conduce" sulla locandina. Ma potrebbe darsi che farò solo l'aiuto-ch etc etc, se ci dovesse scortare il mio burbero dal cuore d'oro consorte: quanta pazienza ci vuole, eh, Adarella?).

A sabato alle 16, allora: vi aspettiamo!

lunedì 3 marzo 2014

Un'altra storia da biblioteca... scritta da Marcello Pesarini!



La foto che vedete sopra è stata dalla sottoscritta scattata in occasione di Storie da biblioteca, edizione 2013, alla Romolo Spezioli, la biblioteca civica di Fermo da me molto amata e un po' di più conosciuta proprio grazie all'esaltante gioco-concorso, di cui ho parlato varie volte su questo blog (l'ultima qui).
Ve la ripropongo qui giusto per presentare il bellissimo resoconto della serata di premiazione scritto da Marcello Pesarini, uno che - stavolta mi permetto io di giudicare! - usa le parole con grande scioltezza.

Prima di lasciarvi al suo testo, mi prendo ancora un attimo di tempo per ringraziarlo: nessuno mi aveva mai dato della "spiritosa e furbetta". Almeno non in pubblico!
A voi, buona lettura.


Fermo là: scrivere è sempre meglio

Storie da biblioteca: concorso per viaggiare al centro di un mondo tutto da scoprire Premiazione dei vincitori della seconda edizione

presso la biblioteca “Romolo Spezioli di Fermo”

 

di Marcello Pesarini

 

 

L'Italia attraversata dalla stessa Sanremo dell'anno precedente, con l'alto patrocinio dello stesso governo del precedente, mentori Calandrino e Buffalmacco, si Ferma riverente per leggersi, e guardarsi in faccia, attraverso i ritratti della scrittura e della fotografia.

 

Storie da biblioteca, concorso organizzato dalla Sezione Marche dell’AIB (Associazione Italiana Biblioteche) in collaborazione con l’Associazione culturale RaccontidiCittà e con Narcissus.me di Simplicissimus Book Farm, dà prova di crescita alla sua seconda edizione, sia nella qualità degli elaborati che nel numero di persone che coinvolge al di là dei partecipanti. È questo il suo scopo.

 

Perché un concorso di scrittura e fotografia estemporanea nell'epoca dei social network che si sono aggiunti alle altre forme di espressione maturate nel 20esimo secolo? Perché ad ognuno giova il suo. Comunicare è anche una gara ad esprimersi, a cercare contatto, affetto, a sognare di poter manipolare il mondo circostante, e non c'è miglior viatico per iniziare a farlo che ritrovarsi in una biblioteca un venerdì o sabato pomeriggio in quindici-venti armati di computer e macchina fotografica e, dopo un giro illustrativo delle meraviglie nascoste, cimentarsi per quattro ore a ritrarre e raccontare il paesaggio circostante, vero e immaginato. Vince chi partecipa, perché avrà comunque la possibilità di rivedersi con gli altri e le altre, confrontarsi ed entrare in antologie pubblicate su ebook, e poi farsi nuovi amici, a partire dai bibliotecari, i veri maestri di cerimonia.

 

Compreso lo spirito, addentriamoci nella descrizione degli effetti di tali pratiche su partecipanti e promotori. Conduce la serata, fra pareti di libri rigorosamente in ordine alfabetico, Maria Chiara Leonori in vece di Natalia Tizi (o il contrario) per assunta incompatibilità di ruoli con la figlia Elena Ferracuti, partecipante nella sezione scrittura. Salutano Francesco Trasatti, assessore alla cultura del Comune di Fermo, veramente al posto che gli compete per la sua storia artistica e per coinvolgimento politico didattico, Tommaso Paiano, presidente uscente AIB Marche, reduce da stagioni che hanno reso l'associazione un tangibile faro di cultura e integrazione sociale, e Silvia Seracini dell’Associazione RaccontidiCittà, ideatrice, conduttrice e cocciuta sostenitrice del concorso e della sua necessità.

 

Nel silenzio si sente un clarinetto suonare: ci prende per mano e ci porta ad una chitarra, una voce li completa. Sono Marzio Moriconi e Marco Milozzi, due veraci prodotti del fermano, che con le loro storie vere, anch'esse da biblioteca, ricordano al pubblico la guerra, la pace, i destini intrecciati dei popoli d'Europa e del Mondo. L'impegno di Marco, animatore culturale, pacifista, studioso instancabile, torna alla ribalta senza concedere nulla al mestiere, né ai maestri della guerra, come li chiamava già Bob Dylan nel 1963.

 

Simona Binci inaugura il leggio con il suo racconto dove, in punta di piedi, entra nella biblioteca, incastonata nelle antiche mura. I bambini giocano sul pavimento di vetro trasparente e prendono confidenza con un luogo che consideravano per “grandi”.

 

Alessandra Cicalini, furbetta e spiritosa, snocciola immagini di lavoro e combatte lo stress snocciolandosi gli esuberi dal naso.

Il tema di quest'anno è il lavoro in biblioteca, quindi la precarietà, la licenziabilità, la non licenziabilità, il dualismo se con la cultura si mangi oppure no. Ovviamente noi, partigiani dei diritti e della decrescita felice, troviamo molto più produttiva per l'umanità la lettura piuttosto di una bomba, l'alfabetizzazione piuttosto di una discarica dove ricoverare prodotti inutili. Alessandra ci gioca molto per non tediarci ed il suo messaggio è al passo coi tempi senza venirne schiacciata.

 

Corre invece Elena Ferracuti, che automatizza tutta la costruzione, dota i libri di tapis roulant, i campanelli di trillo sensitivo, e ci  aspetta che la raggiungiamo lì.

 

Sandro Mongardini, solo foto poche parole, dice lui. Ma come ci racconta dolcemente una giornata di lavoro, ospiti, studi, giovani proiettati verso la maturità. Saluta e va.

Mariangela Pistolesi, lo confesso, dovrà fare l'esame del sangue per fugare i dubbi di essere di origine hobbit. Non avete provato ad ascoltare le sue testimonianze, fatte di fruscii, mugolii, ricordi di tristezze ormai lontane ed invece prossime a tutti? No, vero? Io invece sì, ed ancora mi asciugo le lacrime alla sensazione dell'affetto filiale ritrovato quando lo si dava per disperso. L'empatia fatta a Fermo, anche questa alla “Romolo Spezioli”.

 

Giocondo Rongoni è il beniamino di tutti e tutte. Pare sia lui ad aprire e chiudere i battenti del locale, prima di chi è stato assoldato alla bisogna. Ma con la sua curiosa voce è tanto intelligente a confrontarsi con gli altri fotografi con il giusto spirito di emulazione, scoprendo meccanismi ed il loro utilizzo tanto da meritarsi il nomignolo di Hugo Cabret. Di Fermo, of course.

 

 Maria Laura Tirabassi ci riporta nella scrittura. È la conferma che la gioventù non si nega a questa pratica: la assimila ai suoi ritmi, cadenza i sentimenti per non lasciarsi andare troppo, sorride ai libri, ama i locali, e se chiede aiuto alla tecnologia è perché ognuno di noi quando è nella stanza d'albergo anche solo per una notte deve spostare un po' il comodino, per sentirselo suo.

 

Saremo capaci tutti noi che abbiamo partecipato, aiutato, diffuso le iniziative a farle continuare? Saremo all'altezza delle prime esperienze, fresche ed ingenue?

Diffonderemo l'insegnamento in giro per le Marche (nemo profeta in patria)?

Convinceremo gli amministratori da una parte ed i cittadini dall'altra della necessità di inventarsi sempre nuovi momenti di aggregazione, scambio, istruzione?  Essi tanto necessitano in un paese dove almeno il 70% della popolazione non sfoglia se non un libro all'anno, ed il 15% ne legge moltissimi, ed è lo stesso 15% che li scrive senza avere di conseguenza un pubblico.

 

Simplicissimus Book Farm con i suoi regali ai vincitori, buoni per l’acquisto di ebook e servizi di self-publishing farà la sua parte. L'AIB, le amministrazioni coinvolte pure. La rialfabetizzazione richiede un intervento massiccio della scuola, ma la contaminazione di base che viene praticata da proposte come Storie da Biblioteca, oltre a divertirci di più, costa anche poco.

Grazie soprattutto a chi non è stato nominato, per mancanza di memoria di chi scrive.

lunedì 24 febbraio 2014

Renzi, la scuola e il futuro dei Millennials

Foto di Maria, studentessa dell'Istituto comprensivo di Petritoli (Fermo)

Giusto a metà del suo discorso al Senato, Matteo Renzi ha parlato di scuola, lanciando una promessa: la prima meta del suo prossimo viaggio per l'Italia in qualità di Presidente del Consiglio (ma già pensa a ripartire?) sarà proprio in uno dei troppi istituti scolastici in affanno. Speriamo che sia vero, non tanto il tour promozionale, quanto l'esito che dovrebbe scaturirne, ossia lo sblocco dei fondi destinati alla ristrutturazione delle nostre scuole statali, da sempre ospitate in stabili fatiscenti e/o nuovi, ma realizzati con materiali talmente scadenti da apparire vetusti già all'indomani della loro inaugurazione.

L'augurio di buon lavoro al neopremier, classe '75, quattro anni meno di me, è d'obbligo. E anche se mi sto arrendendo, giorno dopo giorno, a uno scetticismo sempre più distaccato dai mali del presente, credo davvero, in cuor mio, che il ricambio generazionale stia davvero avvenendo.
Mi dispiace per chi rosica, anche tra i quarantenni come me, ma, sinceramente, era ora.

I nuovi gggiovani, d'altra parte, non sono tutti "ciucci e presuntuosi", secondo la definizione che aveva carinamente affibbiato alla generazione alla quale apparteniamo sia io che Renzi (anche se lo odio per essere tanto meno vecchio di me) la mia prof di matematica. La stessa che, che la sua anima riposi in pace, mi fece venire un complesso più grosso delle mie muscolose gambe dicendomi davanti a tutti che dovevo mettermi a dieta.

E' questo uno dei motivi per cui non ho un bel ricordo delle scuole medie. Tra gli altri, la sensazione che nutrivo allora (e dalla quale, temo, non mi sono liberata del tutto) di essere ancora incompleta, preda com'ero delle normali pulsioni ormonali della crescita.

Di recente, però, ho cambiato radicalmente idea su questo periodo della vita.
Il merito va tutto ai ragazzini dell'Istituto comprensivo di Petritoli, uno dei tanti paesi-presepe della provincia di Fermo che costellano i colli di quest'angolo delle Marche.

Molti di loro, probabilmente, sarebbero stati descritti dalla mia prof in modo molto simile, ma per fortuna il ricambio generazionale sta attraversando anche il corpo docente (anzi: è arrivato prima lì che in Parlamento, se vogliamo dirla tutta).

E' infatti grazie alla nuova generazione di docenti (accanto a un'illuminata quanto ristretta fetta di prof di più lunga e comprovata esperienza, che comunque era ancora giovane ai tempi delle medie mie e di Renzi) se in questa piccola scuola è nata, tra il primo e il secondo quadrimestre, la "Settimana integrativa", durante la quale i ragazzi hanno la possibilità di cimentarsi in discipline diverse dalle pur importanti materie previste nei programmi ministeriali.

Suddivise in moduli di due ore ciascuno, le attività extra che si sono svolte durante questa settimana sono aumentate anno dopo anno, come hanno raccontato i ragazzini stessi nel loro bellissimo Tg, che purtroppo non posso diffondere per motivi di privacy.

In molti casi, si è puntato sulla stimolazione della loro creatività attraverso l'uso delle mani: sono rimasta davvero incantata dagli oggetti in peltro, dalle incisioni, gli origami e gli aquiloni che alla fine della settimana hanno anche messo in vendita, destinando una parte del ricavato alla beneficenza.
Ho particolarmente gradito, poi, le lampade del laboratorio chiamato "Riciclo e riuso", frutto della nuova vita data alle vaschette per la ricotta.

Ho trovato inoltre molto poetico ascoltare le canzoni composte dai ragazzi sulle note di una musica di loro stessa ideazione, nel laboratorio condotto dal prof di musica, uno di quelli che mi ha parlato non bene dell'istituzione scuola, ma molto bene dei ragazzi, capaci di tirare fuori cose straordinarie se adeguatamente motivati.

Personalmente, ho potuto verificare quanto avesse ragione nei due laboratori nei quali ho dato il mio contributo, soprattutto perché, in fondo, io non ci ho messo quasi nulla di mio: i protagonisti assoluti di pressoché tutte le trovate escogitate durante quelle straordinarie giornate sono stati loro.

Anche se per poco tempo, ho così avuto l'occasione di conoscere un po' più da vicino alcuni esemplari di "Millennials", come vengono chiamati i ragazzi nati dopo il 2000 con una definizione che è già uno slogan spesso usato in accezione negativa.

Non avendo figli, ma solo due nipoti di qualche anno più giovani di questi ragazzi nati in contemporanea con l'esplosione di Google, non ne sapevo (e in fondo ancora adesso non ne so) un accidente.

Però quel che ho visto non mi è parso affatto male.
Ho provato enorme tenerezza e anche entusiasmo per queste pietre grezze che vanno forgiandosi, per queste vite ancora aperte a tutto, per la dolcezza e anche la teppaglia di alcuni più furbetti ma stringi stringi ancora bambini.

Se fossi una vera prof, ho paura che non riuscirei a trattarli con la giusta severità. Ma chissà. Forse diventerei più antipatica della prof di matematica, che in verità antipatica non era affatto, solo un po' rude.

Di sicuro è un'età delicata, bisognosa più che mai di guide valide.
Se sapessero quanta fatica facciamo noi adulti a mostrarci all'altezza delle loro aspettative... ma forse lo sanno ed è anche per questo che, spesso, non ci sentono abbastanza autorevoli.

Del resto, come possono degli adulti condannati a un'adolescenza infinita da una società sempre più demenziale porsi come modelli?

Butto la domanda, dal mio piccolissimo spazio, al "giovane" Renzi, quello che sa usare Twitter sicuramente meglio di me, che conosce i programmi tv e le musiche dei Millennials più di quanto io mai potrò fare visto che ha pure dei figli, che, furbamente, ha parlato proprio di scuola per accattivarsi la fiducia dei molti giovani genitori che lo circondano, per fortuna anche nelle stanze dei bottoni.

Se c'è un salto da fare, mister Fonzie, è proprio questo: dimostriamo di essere diventati grandi. Cioè a dire: usiamo pure i social, il tablet e hasthagghiamo pure i pranzi della domenica e i gol dei viola, ma per piacere, comportiamoci da adulti quando serve dicendo anche qualche no.

Il primo no forte e chiaro che vorrei sentire è al perpetuarsi dei poteri forti, sempre quelli, di generazione in generazione. Il che vuol dire un sacco di cose, per esempio basta con il cemento, sì alla riconversione delle produzioni inquinanti in attività il più possibile "green", sì alle competenze e no ai nepotismi, sì alla multiculturalità e no alla finta integrazione, sì a più incentivi a chi lavora con la cultura e con un turismo a misura d'uomo (ma di più d'anziano, donna, bambino e pure animale domestico).
Sì all'Europa degli scambi umani e non solo di merci. Perseguimento non solo a parole ma vero e concreto dell'evasione fiscale (ci vorrebbe Giorgio Bracardi e il suo "in galera!").
etc etc....

Solo se saprai fare questo e io voglio darti fiducia, per una volta, forzandomi a non restare solo apparentemente Zen, mi sentirò appena appena meno inquieta.
Non tanto per me, che forse ho già fatto il mio tempo, quanto per questi ragazzi con i visi di latte e l'energia della vita.

Una vita che dovrebbe essere felice. Il più possibile.
Ce la farai?
Speriamo.
Anzi: #speriamo.

venerdì 21 febbraio 2014

Dewey il gatto e le biblioteche pubbliche, calore e cultura garantiti!


 
 
Il video che pubblico sopra è in inglese senza sottotitoli, ma penso se ne capisca ugualmente lo spirito. Soprattutto, è impossibile non essere attratti da quella macchia di pelo rossa e dall'inconfondibile suono delle sue fusa, in braccio a un'impiegata della libreria comunale di Spencer, una cittadina dell'Iowa diventata celebre nel mondo proprio per aver ospitato, da una fredda notte di fine novembre 1987 fino a una altrettanto triste giornata di fine 2006, l'indimenticabile Dewey Readmore Books.
 
L'altisonante nome scelto per battezzare il micino lasciato da qualche ignoto nella buca di restituzione dei libri che vedrete a un certo punto nel video si adattava perfettamente alla sua personalità.
 
Pur essendo un enne enne senza pedigree, Dewey aveva infatti qualcosa di nobile e delicato che non poteva che conquistare.
Devo però farvi una confessione: se non mi avesse parlato di lui Natalia Tizi, una delle preziose impiegate della Biblioteca comunale Romolo Spezioli di Fermo, probabilmente non avrei mai conosciuto la sua storia.
 
C'è qualcosa, infatti, che mi trattiene dal comprare i libri sugli animali, sui gatti in particolare, i miei preferiti in assoluto. Ossia il timore che possano essere trattati solo come fenomeno commerciale.
 
Detto da una che si è autoprodotta un libro fotografico sui propri gatti sembrerà un controsenso, però non posso farci nulla: prima di avvicinarmi a un libro incentrato sui magnifici felini in miniatura, debbo sentirmi sicura della sincerità di chi l'ha scritto.
 
Così, quando ho cominciato a leggere la vera storia del gatto da biblioteca a stelle e strisce, ero un pochino titubante.
Sono bastate, credo, una decina di pagine per ricredermi totalmente.
Si vede che Vicki Myron, la direttrice della biblioteca di Spencer che ha affidato le sue memorie a un bravo scrittore, era innamoratissima del "suo" Dewey.
Oltretutto, le vicende che lo riguardano sono intelligentemente inserite nella storia della cittadina dell'Iowa, passata attraverso una grave crisi economica, anticipatrice, ahimè, dei grandi cambiamenti sociali che oggi stanno interessando tutto il mondo.
 
Dewey è stato, inoltre, un vero e proprio porto di pelo al quale la bibliotecaria tornava con infinito sollievo dopo le molte traversie anche fisiche da lei vissute.
E anche se, come ogni tanto l'autrice accenna nel libro, non tutti lo hanno amato allo stesso modo, non c'è stato giorno della vita di questo gattone rosso che sia passato nell'indifferenza e nell'anonimato.
 
Del resto tutti i gatti si fanno notare, anche da chi li teme.
E Dewey, a leggerne le memorie, era perfettamente consapevole di chi fossero i suoi amici e i suoi nemici... per esempio il veterinario!
Di certo non ne avevano paura i bambini che lo vedevano comparire da un momento all'altro durante l'ora della lettura delle favole, né la maggior parte degli anziani, che ne apprezzavano la riscaldante energia anti-stress.
 
Dewey è vissuto quasi vent'anni e questo, in qualche modo, mi consola.
 
Ho perso tre gatti nella mia vita e so che lasciano un vuoto incredibile.
Certo, ogni volta che arriva un cucciolo, si ricomincia daccapo ed è davvero sorprendente accorgersi di quanto ogni gatto sia completamente diverso dall'altro.
 
Però, proprio per questa ragione, la mancanza di quelli che sono tornati nell'empireo felino, non è facile da colmare. Durante i mercatini estivi, per dire, più di una persona che si è fermata a sfogliare il mio libro, poi non l'ha preso rivelandomi di essere ancora lutto.
La stessa Vicki Myron ha finito per andare in pensione non molto tempo dopo la scomparsa del gattone rosso.
 
Per fortuna, però, qualunque sia l'esperienza personale di ciascuno, i ricordi restano.
Ed è esattamente a questo scopo che, venendo a me, ho realizzato il mio Che gatti: per suggellare la nascita di una nuova amicizia, spero, tra noi bipedi e loro quattrozampe, che, come ho scritto di recente su Minime Storie, sto ancora imparando a decifrare.
 
Approfitto infine ancora di Dewey e del bel libro che la sua "mamma" americana ha voluto dedicargli per sottolineare l'importanza delle biblioteche pubbliche nelle comunità locali.
Leggendo la sua storia, non ho potuto infatti fare a meno di pensare al clima di grande calore umano e di straordinaria professionalità che si respira in ogni angolo della Romolo Spezioli, la biblioteca di Fermo che ho avuto l'onore di conoscere un po' più a fondo grazie a Storie da biblioteca, il concorso di scrittura e fotografia promosso dalla sede marchigiana dell'Associazione italiana biblioteche e dall'associazione Racconti di città.
 
Giusto ieri sera c'è stata la piacevolissima serata di premiazione, dalla quale sono tornata con un libro in dono, assai affascinante già dal titolo: La vita non è in ordine alfabetico di Andrea Bajani.
 
Grazie ancora per tutto.
E... se posso permettermi di darvi un suggerimento: prendete anche voi un vostro gatto da biblioteca! Potreste chiamarlo Spezia o Romolo... Che ne dite?
;-)


sabato 15 febbraio 2014

Chi espone e chi dispone, ovvero Il segreto del tempo


Troppe cose da fare, alcune belle, alcune meno.
La foto che vedete sopra è stata scattata a Ostra Vetere, poco prima che ci buttassimo ad allestire per la seconda volta la mostra già portata a Intanto, lo spazio collettivo degli artisti che si è tenuto durante il periodo natalizio a Fermo per la quarta edizione.
Non sto parlando con il plurale maiestatis, bensì della mia amica Maria Loreta Pagnani, che a Ostra Vetere abita.
 
Non ho tempo di scendere nei dettagli, ma vi dico solo che alla fine dei tre giorni (due e mezzo, va) di Festa della Merla, scenario della nostra esposizione, quel manifesto che qui vedete arrotolato non c'era più.
 
Per la mia intelligente e sensibile compagna di viaggio (metaforico, ma in qualche modo anche reale: Maria Loreta è sempre in movimento, come me), il furto è stato un segno del destino, positivo. Per qualcuno che era con lei (al momento della sottrazione indebita io non c'ero già più), invece, semplicemente il manifesto rubato è servito a coprire qualche testa sguarnita d'ombrello.
 
Anche se fosse così, fa niente: il segreto del tempo si esplica anche così.
C'è chi espone e chi dispone. Anche degli oggetti altrui.
Detto ciò, vi lascio.
 
Mia mamma mi parla mentre scrivo e io non so sicura di che cosa sto digitando.
Fa parte anche questo, però, del segreto del tempo.
Se volete sapere di che cosa sto parlando, andate su Minime Storie.
E capirete.
Forse.