L'incontro al
Teatro di Porto San Giorgio sulla storia d'amore tra
Sibilla Aleramo e Dino Campana è partito con spezzoni del film
Un viaggio chiamato amore con
Laura Morante e Stefano Accorsi. A sceglierlo, gli organizzatori del terzo dei quattro appuntamenti chiamati
I giovedì dell'arte, un ciclo di lezioni voluto dai
Licei artistici di Fermo e del paese ospitante.
Accorsi, ve lo confesso, non mi piace granché, per cui è probabile che abbia alzato il sopracciglio (destro o sinistro) senza accorgermene.
I pregiudizi sono una brutta bestia, difficile da domare, ma quel poco di sale in zucca che mi è rimasto ha permesso al resto del mio corpo di restare incollata sulla sedia della platea del bel teatrino e di mettermi in ascolto.
Sinceramente: le lettere che la Aleramo scrisse durante l'anno d'amore con il poeta tosco-emiliano (lette dal vivo da
Carla Chiaramoni) mi sono sembrate sciocchine, non troppo dissimili da quelle che potrebbe scrivere qualsiasi persona molto innamorata. Eppure,
il loro legame, giunto in una fase della vita di questa donna affascinante e contraddittoria, morta nel 1960 a 84 anni,
è assai letterario. Inevitabile, insomma, che se ne ricavassero film e che si moltiplicassero emuli di ogni risma.
Le poesie di Dino Campana, poi, o almeno, quelle lette (da
Carlo Pagliacci) durante la lezione, mi sono sembrate bellissime. Non ne avevo idea, sono sempre più ignorante, per cui bene così.
Ho trovato molto brava, come già l'anno scorso a Belmonte Piceno,
Sabrina Vallesi, la professoressa moderatrice: spero davvero che stia allevando almeno qualche fiore speciale tra i suoi studenti.
Ad averne di prof così.
In sala c'erano
rappresentanti di tutte le generazioni, dai liceali alle signore dell'Università dell'educazione permanente e del tempo ritrovato di Grottazzolina: piccole perle di vita di provincia, di quelle che ti fanno dimenticare, almeno per qualche ora, problemi presenti e futuri.
Nota a margine sul poeta fermano
Franco Matacotta, di cui lungo conoscevo solo la lapide sul corso cittadino, all'altezza della sua abitazione: doveva essere
un bell'opportunista, di quelli con la O maiuscola, almeno stando alla lettera di addio che gli scrisse la Sibilla.
Certo: sarebbe facile malignare sulla quarantennale differenza d'età tra loro (lei, naturalmente, la
vecchia della coppia), ma se è vero che il nostro vip locale sottrasse le lettere tra la scrittrice e il poeta orfico non è che ci faccia proprio una gran figura.
Davvero: non ne so nulla, per cui mi limito a queste impressioni a caldo.
Mi domando, in ogni caso, se
le multi-relazioni di questa antesignana del femminismo non siano dipese anche dalla
violenza dalla medesima subita a soli sedici anni, dall'uomo che poi le famiglie costrinsero a sposare. Da quel che ho capito, non si trattò di un episodio isolato, per cui non oso immaginare quanta sofferenza si possa accumulare giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Dino Campana stesso, affetto da seri disturbi mentali, finì per essere accecato da gelosia morbosa e, manco a dirlo, di nuovo violenta, al punto che la scrittrice visse reclusa in un paesino alle pendici della Val di Susa per tentare di non vederlo mai più.
Antesignana del femminismo, certo, ma anche
costretta ad abbandonare il figlio pur di allontanarsi dal marito-padrone. Sibilla non lo vide mai più: quanto una scelta del genere finisca per segnarti nessuno può saperlo.
Insomma: l'incontro di ieri mi ha lasciato
svariate domande aperte.
Un giorno, forse, leggerò
Una donna, l'autobiografia di Sibilla Aleramo, il cui cognome, ho scoperto da un pezzo della
Ventisettesima Ora del Corriere della Sera, è l'anagramma di
amorale, come questa signora (che nella realtà si chiamava
Rina Faccio, era di origine alessandrina, ma girovagò tra Civitanova Marche, Milano, Firenze e poi Roma), scelse di chiamarsi.
Amorale non significa, ovvio, immorale.
A me dà l'idea che, invece,
una morale ce l'avesse eccome.
La morale della libertà, con tutte le conseguenze che la medesima comporta.
Mi piace pensare che i suoi multi-amori abbiano placato almeno un po' il vuoto che più o meno ci afferra tutti.
Sarà stata almeno qualche giorno davvero felice?
Non dò risposte. Non ne ho.
Buone domande a voi, amici.