mercoledì 13 aprile 2016
San Marco alle Paludi, forza, voglio rivederti presto intatta
Conosco la piccola abbazia di San Marco alle Paludi, alle porte di Fermo, da quando sono arrivata in zona: anzi, da prima di trasferirmici stabilmente.
Ricordo benissimo l'anno e anche la data in cui ci sono entrata per la prima volta: 2001, 6 ottobre. In quel giorno, è cominciata ufficialmente la vita matrimoniale della mia amica Tullia, detta così da noi italiani. Perché il suo nome vero è cinese, anzi vietnamita. Giusto stamattina mio marito ha sentito Thu, che da quel lontano giorno di quindici anni fa è andata a vivere nel Teramano e ancora una volta, come nel precedente post, a ripensarci, mi corre addosso un mini-brivido.
Sarà che questa piccola donna, costretta alla sedia a rotelle da una malattia invalidante che l'ha colpita quand'era una bambina, è sempre stata una maga. E' a causa sua (sì, diamole tutta la colpa) se poco tempo dopo sono venuta a vivere a pochi chilometri dalla chiesa di don Vinicio Albanesi, rimasta vittima, poco prima della mezzanotte di ieri, di un attentato esplosivo.
Stamattina, poi, tutto avrei immaginato fuorché di incontrare giusto quest'ultimo, il "padre" di Thu e dei molti altri ospiti della Comunità di Capodarco, un altro luogo fondamentale del mio passato.
Immagino (l'ho scritto) che fosse andato lì per un primo sopralluogo sull'entità dei danni subiti, a una prima occhiata piuttosto ingenti.
Cioè a dire che le probabilità di incontrarlo, in fondo, erano abbastanza alte. Eppure, pensando anche alla seconda volta in cui sono entrata in questa chiesina, ossia per il funerale di Pia Colonna, una donna fragilissima nel corpo ma dalla tenacia di una regina, secondo me, di casuale non c'è proprio niente.
Ma finiamola di mescolare la realtà alla fantasia. O al destino di cui vi ho già parlato.
Voglio davvero augurarmi che i tre episodi vandalici che hanno colpito la Chiesa fermana nel giro di due mesi siano "solo" gesti dimostrativi e intimidatori, come sembra sostenere don Vinicio.
In caso contrario, le tranquille contrade di questa schiva provincia potrebbero mutare natura nel giro di poco tempo.
Lo dico perché, come sappiamo, la percezione comune del senso d'insicurezza si è notevolmente acutizzata, quindi ha ragione il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro: bisogna essere vigili. In che modo e con quali strumenti, naturalmente, non è mia materia.
Tornando al biografico, ci tengo davvero che San Marco alle Paludi torni in fretta a essere quell'oasi di bellezza e di misticismo che ne ha fatto un punto di riferimento non solo per la città, ma anche per i visitatori che per caso o per scelta la vengono a visitare.
La quarta volta che ci tornerò, insomma, voglio che sia per un'occasione lieta. E che diamine.
Forza San Marco. Il terrore e la barbarie non ti avrà.
lunedì 11 aprile 2016
Da Fermo a Fermo... ad maiora!
Foto scattata nel 2011 a Fermo, in via Mazzini, poco prima della statua di San Savino |
La didascalia, stavolta, riassume più o meno tutto.
Stamattina sono tornata proprio nella via dove ho vissuto per sei anni. L'anno prima ero sempre a Fermo, ma in un'altra, fondamentale, casa.
Durante i sette anni passati sul Colle del Girfalco, come sapete, mi è successo un po' di tutto.
Credo di averlo già scritto, ma è bene ripeterlo: credo di essermi trasformata in una donna adulta proprio durante questi cruciali, a tratti dolorosissimi, sette anni.
Vado molto cauta con la novità che mi ha portato di nuovo alla base del punto più alto della cittadina marchigiana. Per ora mi limito a osservare che sembra davvero l'inizio di una fase nuova.
Detto in altri termini, forse davvero era necessario che lasciassi la collina per potermici riavvicinare con un altro spirito.
Comunque andrà a finire, oggi, dopo tanto tempo, ho risentito il gusto di un mestiere che credo mi abbia scelto, non il contrario, manco fosse una vocazione mistica.
Certe volte penso sul serio che sia tutto scritto e che conviene rilassarsi e lasciare che il giorno X si avvicini senza inutili resistenze. In altri casi, credo ancora di più che bisogna volere fortemente il cambiamento e concentrarsi per non farci cogliere impreparati.
Sono tutte sciocchezze, ma sì.
Dirò di più tra qualche tempo. E il tempo lo farà con me.
Oggi è meglio godersi il pomeriggio assolato, il primo con un cielo blu che ti spingerebbe a strapparti i vestiti e buttarsi a mare (ma la brezza lo sconsiglia, diciamo dai quaranta in su).
Rubando il motto all'altro blog, posso concludere solo in questo modo: ad maiora!
lunedì 4 aprile 2016
Tanti auguri, cara mamma
Da quando lei non c'è più, l'aloe sul balcone dei miei non ha più messo fiori così rigogliosi.
L'ultima volta che sono tornata, stava finendo di sfiorire un unico, solitario, braccio segaligno.
Ed è già tanto che la pianta sia riuscita a sopravvivere: l'estate scorsa era tutta marrone, rugosa come un pezzo di Grand Canyon. Invece si è ripresa. Misteri della botanica o di chissà cosa.
Se ci fosse stata ancora, le avrei per esempio raccontato della bizzarra pianta spuntata così, senza ragione apparente, dietro al piccolo, resistente ciclamino, uno dei pochi che mi sta dando qualche soddisfazione. Com'è possibile?, mi sono detta guardando i boccioli di alcuni fiorellini gialli di questa pianta aliena ben più alta di tutte le mie creature vegetali. Come diavolo sarà finita nel mio vaso, come diavolo ha fatto ad annidarsi giusto dietro al ciclamino?
Sì, gliel'avrei raccontato e immagino che le avrei pure mandato la foto che ho pubblicato ieri su Facebook anche via Skype. Oppure lei stessa mi avrebbe anticipato, scrivendo, non cliccando, "mi piace" sotto la stessa.
Oggi è un giorno malinconico, ma ancora una volta, come mi succede sempre più spesso man mano che si allontana il giorno in cui mia sorella ed io l'abbiamo vista andarsene via, non riesco a pubblicare le sue fotografie. Eppure ne ho di belle, di dolorosamente belle. Sarà per questo o sarà perché mi sembrerebbe di esporla ancora di più ai meccanismi dell'emozione social.
Bisognerebbe avere più pudore, più riservatezza. Sono sicura che lei sarebbe d'accordo, anche se, come una bambina, amava usare le faccine di Skype esattamente come faccio io.
Negli ultimi mesi l'ho sognata spesso: era viva, energica e ansiosa come lo è stata davvero, a tratti preoccupata per qualcosa, ma quasi mai malata. Non ho davvero idea di che cosa vogliano dire così tanti sogni su di lei e sul resto della mia famiglia. Spesso, infatti, ci sono anche mio padre e mia sorella, spesso siamo in case grandi, tipo quella che ormai non è più tra i beni comuni, della mia nonna materna. A volte sono presenti altri parenti non meglio specificati.
C'è casino come nelle riunioni vere che per fortuna facciamo ancora.
E c'è anche, ogni tanto, quella specie di morsa allo stomaco che mi prende quando siamo davvero tutti insieme, quel senso del tempo che fugge, quelle facce più smagrite o quei fisici un po' appesantiti, che sorridono e mangiano fingendo svagatezza.
A tratti ridiamo sinceramente, aiutati, forse, anche da un pochino di vino. Al commiato ci promettiamo di rivederci presto, ma già sappiamo che passerà parecchio tempo e che la volta successiva dovremo fare comunque un piccolo sforzo iniziale per ritrovare quel calore che ci fa star male a pensarci quando siamo lontani.
La famiglia è un'esperienza troppo simile e insieme diversa per ciascuno di noi. Qualcuno recide i legami per tempo, ma chissà se poi di notte sogna cose ben più complicate di quelle che capitano a me.
Oggi ho letto il vangelo del giorno, in onore suo. Mia zia (sua sorella) prende a me e mia sorella il messalino, che ha cadenza bimensile. Me lo sono portato anche a Venezia (in fondo negli alberghi ti lasciavano una Bibbia, almeno nei film sembra che succeda ancora così), ma lì non l'ho neanche tolto dalla valigia.
Oggi, invece, l'ho aperto: Luca racconta di quando l'Angelo avvisa Maria che avrà un figlio da un uomo chiamato Giuseppe, pure se quest'ultimo non la sfiora nemmeno. Il massimo del legame con l'Altissimo, il mistero della vita incarnato in questa donna così speciale.
Mia mamma era nata proprio oggi. O forse ieri, come mi ha raccontato molte volte. Pare che l'avessero registrata con un giorno di ritardo, infatti. Un bi-compleanno poteva capitare solo a lei, profondamente legata al cielo e alla vita.
La verità è che non ho ancora accettato di non poterla vedere mai più, anche se sono certa che possa sentirmi. E guidarmi ancora. La pensa così anche zia Zita, una persona straordinaria, che ieri ha compiuto 81 anni, la più simile a lei, sotto certi aspetti, almeno.
Se è davvero così, buon compleanno, cara mamma.
Magari quella pianta me l'hai portata tu. Mi piacciono i fiori gialli, forse lo sai.
Grazie di tutto. Ora e sempre.
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giovedì 31 marzo 2016
Il guizzo dei pesci, dal film di Alessandro Valori alla mia vita
Come saltano i pesci di Alessandro Valori è un piccolo film ambientato nelle Marche, per la precisione a Porto San Giorgio e Amandola, sulle pendici Monti Sibillini.
Sapevo del debutto nelle sale italiane previsto proprio oggi e, per una volta, ieri sera mi sono servita del mio tesserino per partecipare all'anteprima locale organizzata nella multisala di Fermo.
Mi ha molto colpito la partecipazione di massa di amici, parenti e autorità, ma su tutto ho apprezzato la leggerezza dell'atmosfera e, tutto sommato, anche della pellicola.
Senza lanciarmi in una recensione dettagliata (nella quale, inevitabilmente, scriverei anche quello che non mi è piaciuto), posso dirvi che il film scorre e che, se per caso doveste vederlo, non credo che vi addormenterete.
Anzi: è particolarmente simpatica la ragazzina "con il cromosoma in più", come dice la medesima attrice affetta dalla sindrome di Down, Maria Paola Rosini, che interpreta il personaggio di Giulia.
Altrettanto azzeccate le due vicine di casa della maestra Anna, morta nell'incidente stradale incipit dell'intera storia: si tratta di due signore che parlano nel vernacolo locale, vagamente italianizzato in modo da renderlo comprensibile anche al di fuori dei confini fermani.
Per certi aspetti, mi ricordano le zie della mia famiglia, anche se le stesse, come sapete, vivono piuttosto al di sotto del fiume Tronto.
In tutti i modi, avevo voglia, ve lo dico apertamente, di celebrare in qualche maniera la mia scelta di vivere in questa provincia d'adozione non proprio facilissima per una persona come me.
I locali, come succede in tutte le province italiane, fanno abbastanza gruppo a sé ed entrarvi non è proprio agevole.
Io, poi, sono piuttosto esigente, in fatto di gusti e di relazioni. E in generale, in qualsiasi posto, un conto è andarci in vacanza, un altro è viverci.
Detto questo, il mare, con quell'azzurro da medio adriatico che mi è così familiare, è proprio quello lì che appare sul grande schermo. E anche se non è più pulito del pezzetto lungo il quale sono cresciuta, anni e anni fa, mi piacerà sempre. Idem il porto e le barche che beccheggiano sotto il sole del luglio scorso, il mio primo luglio a Lu Portu (intervallato dai lunghi giorni teatini: sarà per questo che non mi sono accorta che stavano girandovi un film: alcune riprese sono state fatte a due passi dal palazzo in cui vivo).
A distanza di quasi un anno dal mio trasferimento sulla costa, non sono cambiate moltissime cose, ma vi garantisco che ogni volta che approdo nella stazione sangiorgese (anche l'ultima volta, che arrivavo da Venezia), io mi sento a casa.
Speriamo solo di passare dai sentimenti ai fatti, un giorno o l'altro.
Di avere quel "guizzo" con cui i pesci saltano fuori dalle reti dei pescatori per ributtarsi nel mare-lago della mia vita.
Buona fortuna, piccolo film.
E per quanto riguarda me, salterò dalla rete, o sì se lo farò.
mercoledì 30 marzo 2016
martedì 22 marzo 2016
La pace resta un valore, anche nel Medioevo versione 2.0
Sui social si è scatenato per l'ennesima volta lo scontro tra gli amici dell'Occidente e quelli che lo odiano (i bastardi che mettono bombe di sicuro non lo amano).
Non voglio unirmi ai cori digitali, ma una parolina sulla pace proprio non riesco a evitarla.
Noi esseri umani siamo ipocriti e contraddittori, ovvio, ma la pace è davvero un valore essenziale per la civiltà e ogni tanto va detto e ripetuto.
A meno di non volersi dichiarare del tutto incapaci e inani alla lotta per la preservazione della medesima.
Potrebbe, in effetti, essere proprio così: forse non abbiamo gli strumenti giusti per difenderci da assassini così ben organizzati ed equipaggiati.
Ma io, comunque, non sono Luttwak né qualche altro finissimo analista della guerra, quindi lascio sullo sfondo ciò che penso delle missioni di Caschi Blu e affini.
Mi amareggia solo, non potete capire quanto, di essere diventata adulta in anni così terribilmente senza speranza.
Ho compiuto trent'anni il 20 luglio del 2001, il giorno in cui è stato ammazzato Carlo Giuliani. Stavo facendo un indimenticabile stage alla Repubblica di Milano. Tornata con pizzette e pasticcini da offrire ai colleghi, li ho visti tutti lì davanti alla tv a commentare l'orrore in corso in quel momento a Genova.
Il giorno dopo la fine del mio stage, l'inferno dell'11 settembre (ma non sarà che porto sfiga? Ogni tanto, nei miei deliri narcisistici, mi viene da pensarlo).
Da quel momento tutto è cambiato. E oggi siamo qui, a piangere gli ennesimi morti.
Detto per inciso, l'incidente di ieri in Spagna, mi aveva già abbastanza rattristato: anche lì, come a Venezia, c'erano ragazze di questa splendida gioventù nata a metà degli anni Novanta, talenti sottratti al pianeta, che va morendo non solo per via delle guerre.
L'attentato di oggi, invece, è stata solo l'ulteriore, davvero raggelante conferma, di vivere in un Medioevo molto più buio di quello che ho conosciuto sui libri di storia (e sulle storie di Dago, anno più, anno meno).
La mia personale giovinezza se n'è pressoché andata insieme con l'avanzare delle tenebre. E se, come succede sempre, prima o poi tornerò, torneremo, umanamente e fragilmente, a sorridere, dubito che il futuro riservi davvero il sereno.
Mi dispiace di essere così cupa, ma oggi va così.
Se sapessi pregare, lo farei.
Polemicamente, voglio dedicare a tutti noi, anche ai più cinici o finti tali, la canzone che troverete sotto.
Aiutamoci, per quanto possiamo.
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lunedì 21 marzo 2016
Arte Laguna Prize a Venezia e la meglio gioventù del XXI secolo
Forse dalla foto non si capisce, ma sappiatelo: quelle cose tondeggianti che tappezzano la struttura a cono decapitato sono patate tagliate a metà, le piccole orizzontalmente, le grosse longitudinalmente.
A darci le indicazioni su come operare è stata Anna, la ragazza russa con la salopette che vedete arrampicata sulla scala. A suggerirci, invece, il metodo migliore per spalmare la colla e il misterioso "catalizzatore" è stato Giacomo, il tipo in primo piano con il berretto in testa e un sorriso da burlone toscano.
Chi sono, anzi, chi eravamo, a ricevere gli input? In rigoroso ordine alfabetico (tolta la sottoscritta): Benedetta, Chiara e Matilde, tre davvero splendide ragazze che ho avuto il privilegio di conoscere durante gli ultimi due giorni e mezzo dell'allestimento di Arte Laguna Prize, un premio per artisti provenienti da tutto il mondo che quest'anno celebra la decima edizione alle Nappe dell'Arsenale di Venezia.
Sono certa di tornare di nuovo sull'argomento, per cui non mi dilungo per ora sugli aspetti tecnici dell'evento. Vi dico solo che l'allestimento è visitabile gratuitamente dalle dieci alle diciotto fino al prossimo 3 aprile e che esiste anche una sezione di arte digitale nell'elegantissimo cortile della Fondazione Tim, a due passi da Rialto. Se le mie info non vi bastassero, visitate il sito di Arte Laguna e avrete quello che vi serve.
In questo post, invece, voglio parlare della meglio gioventù nata sul finire del ventesimo secolo che ho incontrato.
Ho scattato anche il ritratto che vedete sotto, ma ho preferito non metterlo troppo in evidenza perché, purtroppo, non conosco il nome della ragazza immortalata:
La fanciulla stava pulendo con l'acqua ragia le macchie residue di vernice e altre schifezze da cantiere che non saprei nominarvi e io, anziché aiutarla, l'ho omaggiata così.
Oltre a lei, ce n'erano molte altre che si sono massacrate, letteralmente, perché tutto nello spazio immenso delle Nappe fosse pronto per l'inaugurazione di sabato scorso.
Sul grosso dei loro visi ho visto concentrazione e determinazione. Il lavoro era molto e non sempre piacevole (non so chi abbia pulito i bagni, ma posso garantirvi che erano tirati a lucido), ma il clima è rimasto nel complesso festoso ed energetico.
Mi hanno contagiato con la loro bellezza giovane e insieme mi hanno profondamente intenerito.
Potrei dirvi molto altro su che cosa abbia significato per me passare quattro giorni da sola.
Vi accenno solo alla trasformazione che si è compiuta in me in meno di ventiquattr'ore: la sera dell'arrivo ero un tantino triste, ma già rinvigorita dalle conoscenze fatte durante il primo pomeriggio all'Arsenale.
Il giorno dopo ero così soddisfatta dall'essere stata coinvolta nella realizzazione dell'opera "patatosa" (come l'ho chiamata facendo il verso a petaloso, strappando una risata generale) concepita dal misterioso artista russo (Fiodor Pavlov Andreevich) di cui parlerò meglio in uno dei prossimi post, da dimenticarmi del tutto della solitudine.
Sabato notte, poi, non ho proprio avvertito il passaggio dalla veglia al sonno e infine domenica, mentre andavo alla stazione, ho provato solo una grande, piacevole, malinconia.
Per ora mi fermo qui: non vorrei tediarvi troppo.
Aggiungo solo che ho lavorato fisicamente, quindi ho avuto esattamente quello che desideravo.
Sarà dura, adesso, riprendere le fila interrotte e fare come dicevo a una delle ragazze che vedete sotto (Giorgia, vero leader in un corpicino da bambina) e cioè non mollare. Non è giusto, infatti, raccontare a chi sta diventando adesso donna o uomo che schifo è sentirsi più o meno sempre al punto di partenza.
Non va fatto in generale con nessuno perché, invece, il tempo scorre (corre) e io, probabilmente, dovevo provare l'esperienza complessiva di assistant e di viaggiatrice solitaria adesso. Proprio adesso.
Quindi, grazie di cuore, ragazze. E grazie all'unico ragazzo del gruppo degli assistant, Nicolò, che mi ha raccontato di aver rinunciato a un contratto da apprendista operaio pur di passare un mese all'Arsenale, un luogo davvero affascinante. C'è sempre tempo (eccome) per lavori di m., come dicevamo: continua così.
Dimenticavo l'ultimo, fondamentale, ringraziamento per l'ideatrice del premio Arte Laguna (con Beatrice Susa che purtroppo non ho conosciuto): Laura Gallon, una donna tenace e attenta, dalla quale non si può che imparare un sacco.
In bocca al lupo a tutti. E buona vita.
Sotto alcuni degli altri scatti, con dida incomplete, perché, purtroppo, non conosco tutti i nomi... pardonnez moi!
Chiara e Ilaria |
Nicolò e Laura Gallon |
L'inaugurazione! |
Al centro, Giorgia. A destra, Elettra. |
Beatrice Susa |
Silvia e Ilaria alla Fondazione Tim, sede della sezione arte digitale della mostra |
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