sabato 24 ottobre 2020

Vivere all'estero - genesi ed epilogo di un esercizio di tedesco

Lo so, continuo a violare l'Abc della comunicazione online, ma direi che a quasi cinquant'anni me lo posso anche permettere.

Dopo questo incipit garrulamente sarcastico, aggiungo una breve precisazione sull'immagine sopra riportata, fitta di oscure parole germaniche.

Si tratta di un esercizio di scrittura, che mea sponte ho voluto ammannire al prof di tedesco. Mancano ormai poche settimane alla fine del mio secondo e presumo ultimo corso di questo splendido 2020, per cui ho deciso di farlo fruttare finché Corona non ci separi.

Eh sì, perché non è mica detto che riusciremo a concluderlo in presenza, vista la crescita di casi persino nella Felix Austria, dove la gggente ha fatto scorta come ogni fine settimana di birre&carta igienica, felice stavolta di avere un giorno più per sfondarsi.

Mi spiego meglio: qui lunedì è la Festa della Repubblica, ossia tutto chiuso e sbarrato a partire dalle 18 di oggi fino a martedì prossimo, un lungo auto lockdown che farà impazzire di gioia prima i consumatori seriali di lattine, dopo l'efficiente (speriamo) sanità nazionale.  

Scusatemi, ma una volta che mi parte la vena sarcastica, faccio fatica a controllarmi.
Torno al punto. 

In vista della lezione di ieri, il prof ci aveva chiesto di riflettere sul tema "Vantaggi e svantaggi di vivere all'estero". L'argomento era stato scelto democraticamente dalla classe. Ognuno di noi avrebbe dovuto indicare quali fossero i personali Pro e Contro e da lì, sempre secondo il prof, avremmo dovuto "streiten", discutere.

Bene: pur se dotata della vena sarcastica di cui blateravo poco fa, non amo molto i dibattiti, forse per via della mia piccola voce. Perché è sicuro che a un certo punto di qualsiasi scambio di pareri, anche del meno acceso, intendo, finirà per predominare chi parla più forte.

Nella mia classe, ad esempio, c'è un russo, simpaticissimo, brillante e ironico come pochi, che però, ahimè, non è capace di modulare il tono. Il suo banco monoposto (senza rotelle) è nella fila dietro la mia e, a occhio e croce, tra noi ci saranno almeno due metri. 
Eppure: ogni volta che parla, è come se mi condannassero a stazionare nei pressi della mia lavatrice quando parte la centrifuga. Provate un po' voi a sovrastare il suono di una centrifuga rumorosa. Io, di certo, non gliela fo.

Quindi, con sano e demodé spirito pratico teatino, ho buttato giù i miei "Vorteile" e "Nachteile" dello stare in Austria, in maniera anche da avere una traccia scritta, in caso di necessità.

Il russo di cui sopra ha vissuto in vari Paesi, quindi la sua visione non poteva che differire totalmente non solo dalla mia, ma anche dalla maggioranza del resto della classe.

Di certo, ascoltandolo (in silenzio, aspettando che tacesse per potergli fare delle domande senza rischiare di compromettere le corde vocali), ho capito che di sicuro non potrei vivere né in Svezia né in Norvegia. "Troppo freddo, mica come qui a Vienna?", ha detto il nostro biondissimo giramondo.

Insomma, alla fine non c'è stato un vero dibattito: anche se non tutti abbiamo esattamente la stessa idea dell'Austria, ognuno ha potuto raccontare la propria esperienza, in un'atmosfera distesa, benché sottilmente malinconica. 
 
A dirla meglio, ho avuto proprio l'impressione che tutti, compresa io, volessimo farci forza a vicenda ascoltando il racconto dell'altro.

Il vantaggio principale?
Imparare una lingua nuova. E' incredibilmente arricchente e tiene il cervello in allenamento, ha detto mi pare la sveglia giovane mamma rumena. La sua vicina di banco, una dolcissima trentenne di origine bulgara, molto più minuta di me, ha aggiunto che vivere all'estero aiuta ad "allargare gli orizzonti". Gliel'avevo già sentito dire, ma stavolta mi ha fatto ancora più simpatia, perché ho pensato alla fatica che sta facendo per mantenersi, lavorando nella cucina di un pub, tra austriaci che le parlano in dialetto.

"Qui c'è la sicurezza", ha precisato la giovanissima afgana, la mia vicina di banco velata, due occhi da principessa mediorientale, che ha parlato di quanto sia stato difficile all'inizio, circa due anni fa, capire e farsi capire. Nonostante qualche sguardo critico rivolto al suo capo coperto, dice che Vienna le piace perché è piccola (!) e piena di cultura e natura.

Il principale svantaggio?
La distanza dagli affetti, dalla famiglia in particolare, più che dagli amici. Di questi ultimi, la giovane mamma rumena ha raccontato di come i suoi siano spariti, dopo un po' che si era trasferita. "Eppure ci sono le tecnologie, potremmo sentirci facilmente - ha precisato - ma evidentemente non erano interessati davvero a me". 

Per la lontananza dalla famiglia soffre molto la giovane mamma moldava, la Miss della classe, dotata di un incantevole visino di porcellana. Con una voce se possibile ancora più flebile della mia, ha detto che le manca la vita che faceva nel suo Paese (che ho scoperto essere un grande produttore di vino, grazie a un altro esercizio che ci aveva assegnato il prof). Le manca sua madre, ha sottolineato, e poi, povera, l'infanzia che ha trascorso lì.

Per chi ha figli, come lei e qualcun altro, ho l'impressione che possa essere ancora più complicato interagire con i nativi. 
Il vicino di banco della moldava, un cantante lirico rumeno molto amabile e scherzoso, ha parlato dei gruppetti di bambini che giocano rigorosamente divisi per nazionalità, come ha potuto osservare quando accompagna suo figlio al parco. 

Razzismo in Austria? Il tema è stato solo sfiorato, ma nessuno, in effetti, ne ha parlato apertamente, forse perché è sempre troppo vivo in tutti gli Ausländer, che cercano di costruirsi una nuova vita, il ricordo delle file dal Magistrat per farsi rilasciare i documenti, la scortesia di alcuni impiegati, i controlli di polizia, presumo più severi per i non europei. 

Tutto liscio, nessuna polemica? Direi di no. C'è stato però un solo intervento, quello del giovane istruttore subacqueo egiziano, che ha asserito, piuttosto lapidario: "Integrazione? No, grazie: non ne ho bisogno". 

Che cosa voleva dire?
Nulla, o per meglio dire, tutto.
Quando era ancora al Cairo, ha raccontato, si è sentito non di rado un "Außerseiter", ossia uno che stava da un'altra parte, uno fuori dal coro. 

"Anziché parlare di come gli austriaci vedono gli stranieri, ognuno di noi si dovrebbe chiedere: ma quando vivevamo a casa nostra noi personalmente quanti stranieri conoscevamo?", ha sottolineato, "quanti, voglio dire, erano nostri amici intimi? E non parlo solo degli stranieri, ma anche degli altri 'diversi', omosessuali, trans e via dicendo. Che cosa vuoi che conti la razza? Wir sind alle Tiere!".
Che significa: "siamo tutti animali". 

Il giovane egiziano ha due occhi neri neri e una parlantina molto vivace. 
Non è felicissimo dell'Austria, me l'ha detto a parte una volta, durante una pausa, ma evidentemente l'origine del suo scontento non ha niente a che fare con la razza, la sua e quella di chi ci ospita. 

E in effetti, riflettendoci, gli dò ragione.

Se dovessi riassumere in una parola qual è il sentimento che accomuna tutti noi espatriati, userei spaesamento.

Prima o poi lo proviamo tutti. Per qualcuno non va via facilmente, altri lo mettono a tacere pur avvertendolo sempre almeno un po'. Altri ancora, i più fortunati, dal mio punto di vista, smettono di soffrirne. 
E si sentono finalmente a casa.

Non so dirvi se mai succederà anche a me, tenendo conto anche delle ragioni che mi hanno spinta fin qui. 

Però, come ho scritto nell'esercizio, sufficientemente diplomatico per essere diffuso nell'universo telematico (per chi riuscirà a decifrarlo: apropos, riporto la versione corretta dal prof. Se ci sono errori residui prendetevela con lui!), sono curiosa di vedere che cosa mi riserva il futuro.

Ma la cucina austriaca non mi piacerà mai! 
 
Scommettiamo?
;) 

martedì 13 ottobre 2020

Auf Wiedersehen, Italia


 

Lo ammetto. Me lo sentivo che stavolta non ce l'avrei fatta, ma evidentemente la vita ha in serbo per me nuove sorprese. Belle, coinvolgenti e concrete sorprese. Voglio crederlo ciecamente.

Sto parlando della preselezione del Concorso Rai, la seconda sostenuta negli ultimi cinque anni. La prima mi era andata meglio: ero riuscita a superarla, piazzandomi alla fine di quella lunga cavalcata 210ma sugli iniziali circa tremila partecipanti.

Stavolta concorrevo per le Marche, quindici erano i posti in palio su circa 270 vincitori da distribuire anche in altre regioni.

Come i partiti di quattro gatti che non riescono a superare la soglia di sbarramento alle elezioni, ecco, stavolta pure io sono stata segata. E il bello che ho anche capito perché, anche se fino a mezz'ora fa ho sperato nella classica botta di deretano imprevista.

Non ho risposto a dieci domande volutamente, perché la risposta sbagliata sarebbe stata valutata negativamente, mentre quella non data avrebbe avuto solo zero. Avevo fatto così anche l'altra volta, solo che l'altra volta, probabilmente, ne avevo tralasciate di meno. 

Che cosa mi ha fregato? La Storia dell'arte, la mia amatissima quanto sconosciuta Storia dell'Arte (due erano di una facilità sconcertante, ma in quel momento avevo il vuoto totale). E poi le altre, paradossali, sul contratto giornalistico 2013-2016.

Quando le ho lette, quasi non ci potevo credere. Mi era balenato il dubbio che me lo dovessi rileggere, ma ripassando per l'ennesima volta tutto il ripassabile, ho ritenuto - errando - che un contratto scaduto già da quattro anni non potesse essere una valida materia d'esame. E invece lo era e io sono una fessa.

Una cosa simile mi era successa all'esame di Diritto Privato all'università. Era il mio terzultimo esame, avevo aspettato a lungo prima di darlo, ma non volevo lasciarlo proprio alla fine per evitare di arenarmi a un passo dalla laurea.

Da brava studentessa avevo frequentato tutto l'inverno il seminario della prof, una specie di Cerbero in gonnella piena di capelli grigi. Facevo anche domande, esattamente come mi succede adesso al corso di tedesco. Ero così "fleißig", come si dice qui dei secchioni.

A ridosso della prova, mi capitano sott'occhio gli appunti su un argomento molto specifico (ricordarselo adesso, quasi trent'anni dopo, sarebbe inquietante) e io mi dico che no, non valeva la pena riguardarselo, figuriamoci se me lo chiedono.

E invece il grigiocerbero lo tira fuori. Ricordo bene le mie gambe irrigidite sotto la scrivania, e, non so perché, totalmente divaricate, in una posizione oserei dire ginecologica. Comincio a rispondere arrampicandomi sugli specchi, aiutandomi con la mia una volta proverbiale memoria fotografica.

Casco argenteo non abbocca, capisce che ce sto a provà e infatti mi fa osservare l'incompletezza delle mie argomentazioni.

E lì viene fuori lo spirito un filino polemico e paraculo che ogni tanto si affaccia sul mio faccino raggrinzito. "In effetti - oso dirle - l'argomento non era molto chiaro neanche durante il seminario".

L'occhialuta creatura dantesca si agita vagamente sulla sedia e ribatte: "Signorina, sia seria, non usi questi mezzucci da leguleio. L'ho vista a lezione, per cui le offro 23. Che fa, accetta?".

Ma certo che accetto. Vielen Dank, professoressa Rottemeier e a mai più rivederci.

Ecco. Se mi avessero dato la possibilità di parlare, avrei fatto notare il paradosso di chiederci qualcosa sul contratto che, diciamolo, è diventato come l'Eldorado per i cercatori di pepite. 

Però, obiettivamente, come l'argomento che non avevo ripassato all'epoca, ci stava qualche domanda sul mezzo con cui, bontà loro, i novanta colleghi cominceranno un domani il loro percorso professionale da Mamma Rai. Sperando, tra l'altro, che nel frattempo lo rinnovino. Finalmente. 

Un po' più paradossali le domande sulle Marche, più adatte - a ridaje il leguleio e i suoi tristi mezzucci - agli studenti di Beni Culturali che a noi (leggi: a me) eruditi a metà.

Insomma, non è andata.

Mi consola, parzialmente, vedere tra gli ammessi molti giovani, gente, intendo, nata tra il 1991 e i secondi anni Ottanta. 

A loro auguro lunghe e felici carriere, sperando che un domani si ricordino di noi vecchietti che abbiamo pagato l'iscrizione all'Ordine, i contributi all'Inpgi2 (e io per brevi, fortunati periodi anche all'Inpgi) per anni, confidando che un giorno il vento sarebbe girato.

E' già da tempo che non credo più che il giornalismo fosse davvero la mia strada. L'ho amato molto, moltissimo, tutte le volte che ho potuto scrivere anche una sola riga e persino in quest'ultimo mese, in cui mi è toccato rispolverare manuali e leggi professionali, come quasi vent'anni fa.

So bene però qual è il motivo che mi ha portato a Vienna e credo di aver fatto la scelta giusta, nonostante la delusione lavorativa iniziale.

E adesso che succederà?

Keine Ahnung. 

O meglio. Intanto finisco il corso di tedesco (apropos, come dicono qui: giovedì ho la simulazione dell'esame finale. Mortaccen, devo studiare).

Dopodiché (direi nel frattempo) continuerò a cercare un lavoro, come fanno tutti, come fa chi sa che, comunque andrà, andrà bene.

Punto e a capo. 

Auf Wiedersehen, Italia. 



domenica 2 agosto 2020

Sospensioni d'agosto


Non ho mai fatto il bagno nel Danubio e credo che anche per quest'anno passerò. A dirla tutta, non amo molto nemmeno la piscina: mi secca assai l'idea che debba mettermi a nuotare per forza, un attimo dopo essermi pucciata in acqua. 
Ma quanto può essere brutto il verbo che ho appena usato?
Tra l'altro il correttore me lo segna come errore.

Tant'è.

Amo entrare in acqua un poco alla volta. Noi gente dell'Adriatico, d'altra parte, siamo fatti così. Siamo viziati. Vuoi mettere il piacere che si prova a starsene a riva, i piedi appena appena in ammollo, poco dopo i polpacci, le ginocchia, le cosce e poi, alt: per il bacino e la pancia, beh, che fretta c'è. Prima camminiamo un po'.

Ecco: se fossi al mare in questo momento, approfitterei del grigiore della giornata per andare un po' avanti e indietro in quell'acqua magnificamente brodosa, così vituperata dai troppi connazionali che si lagnano per le meduse e il clima tropicao di questi ultimi anni. 

Per carità, a chi piace l'idea che potremmo ritrovarci tutti appassionatamente in una vignetta dei Peanuts insieme con Spike, il fratello di Snoopy che parla con i cactus. 
Nell'attesa dell'Apocalisse prossima ventura, consiglierei però a tutti di fare un salto in una qualsiasi città del Nord Europa con analogo clima lattiginoso ma puzzolente come una discarica per via della mancanza di acqua e brezza marina. 

Che poi un altro effetto del riscaldamento climatico, almeno credo, ma bisognerebbe chiederlo al pacifico Luca Mercalli o all'altrettanto bonario meteorologo di La7 che ora non ricordo come si chiami, è che si passa in poche ore dal forno crematorio alla bufera artica. La sottoscritta, per dire, si è beccata l'altra sera un "Gewitter" epocale, mentre tornava in bicicletta dalla palestra.

Non sono esattamente Jack London, per cui non nascondo di essermela abbastanza fatta sotto, pur essendo riuscita a rifugiarmi appena in tempo sotto lo squallido androne di un negozio di telefonia (era sera: l'ho capito solo qualche giorno dopo dove diavolo mi fossi andata a rintanare). 

Prima di decidermi a proseguire fino a casa, ho potuto osservare la potenza dei fulmini che illuminavano il cielo a giorno e la massa d'acqua spostata dal vento, a sua volta mostrata in tutta la sua imponenza dai lampioni. 
Il giorno dopo, però, non è che avesse granché rinfrescato. 

E così mi sono decisa ad andare in piscina. "La piscina" per eccellenza, per quanto mi riguarda, almeno finora.
Sto parlando del magnifico spazio all'interno del parco di Schönbrunn.

Posso contare sulle dita di una mano le volte in cui ci sono stata: l'anno scorso ci ho portato anche il Bipede, in un'analoga giornata di calura e con analoga nostalgia adriatica.

Per fortuna ho trovato un lettino libero a bordo vasca, un miracolo autentico, considerata la folla di gente di ogni età che aveva avuto la mia stessa idea su come passare un sabato pomeriggio d'estate. 

Nella prima mezz'ora ho tentato di leggere e prendere il sole, ma proprio come mi succede al mare, alla fine ho girato il lettino verso la vasca e mi sono messa a guardare i bagnanti. 

L'età era varia, molte panze al vento come in Italia, vari palestrati, qualche ragazza caruccia, meno i ragazzi, e poi quella donna non più giovane, con un viso da cinema incorniciato dai capelli bianchi raccolti, che si è appoggiata al bordo per riposarsi un po'.

Per un attimo ho temuto che fosse in difficoltà, e invece, eccola lì, che sguscia via placida e agile tra i corpaccioni in verticale con occhiali da soli annessi. 

Non volevo bagnarmi subito, troppa gente in acqua, troppo poco lo spazio tra la scaletta e i ragazzotti ai lati. E poi da lì dovevo nuotare subito e, ve l'ho detto, io sono viziata.

Così ho fatto prima una doccia, dopo un po' ho bagnato le gambe sulla scalinata della vasca per i "nichtschwimmer" e però avevo gli occhiali da sole e no, non potevo bagnarmi la testa. Allora li ho poggiati sulle ciabatte e splash. Si fa per dire.

Ho sguazzato per pochi minuti. Vicino a me una giovane mamma giocava a palla con i suoi piccini.
Che cosa avrei pagato per essere uno di loro. Almeno avrei avuto un'ottima scusa per usare il tukano che vedete nella foto.

L'ho comprato l'anno scorso, un po' per gioco un po' sul serio.
Avevo pensato che per fare il bagno nel Danubio mi ci sarebbe voluto un supporto di salvataggio. Per i braccioli, beh, sarei stata piuttosto fuori età, ma il tukano, o meglio ancora il flamingo rosa, vanno tanto di moda: chi mai avrebbe avuto da ridire se una signora se ne fosse avvalso per tenersi a galla?

Fatto sta che non sono riuscita ad usarlo. 
Ai tempi lavoravo e i giorni liberi quasi mai coincidevano con il meteo favorevole. A settembre siamo tornati in Italia, ma me lo sono scordato qui a Vienna. E pazienza: tanto nel mio mare non ne avrei avuto bisogno.

Al ritorno, ho riposto il tukano ancora chiuso nella sua confezione in fondo all'armadio. Poi è arrivato l'autunno e poi l'inverno e sopra ci ho piazzato una busta con i costumi e altri accessori estivi tristemente poco utilizzati. 
Finché è tornata la primavera con lockdown annesso e l'incertezza liquida nella quale navigo ancora.

La figlia dei miei proprietari è una bambina simpaticissima. A maggio ha compiuto 7 anni. Perfetta per il tukano.
Gliel'ho fatto trovare davanti alla porta di casa con un biglietto. Per imballarlo, avevo usato una carta regalo natalizia: ho scritto che, in fondo, quello era il suo Natale e altre scemenze simili.
La piccola ha gradito ed io ne sono stata felice. 

Durante l'estate i suoi genitori hanno installato una piscinetta nel giardino. Anche loro, a dirla tutta, non l'hanno usata poi così tanto, ma io speravo che prima o poi tirassero fuori anche lui, il salvagente trendy acquistato dalla loro bizzarra inquilina italiana, in uno dei tanti accessi di saudade.

Finché è successo, proprio ieri sera, al termine di questa mia giornata rilassante, finalmente estiva, sospesa tra un passato spesso cupo e un futuro che non so dove mi porterà. Ho guardato giù dalla finestra e ho visto il volatile di plastica adagiato su una sdraio. Credo che abbiano fatto il bagno di notte: bravi loro. 

Ogni estate dovrebbe regalarci momenti del genere, e dovrebbe darli a tutti, a prescindere da quante rughe abbiamo. 

Giusto ieri ricorrevano i miei primi due anni a Vienna. Non riesco a crederlo e insieme mi pare che sia davvero successo di tutto da allora. 

Non ho ancora del tutto superato quello che mi è successo qualche mese fa (me lo dicono i sogni sui colleghi che a volte mi svegliano nel cuore della notte. Nell'ultimo mi avevano ripreso con loro, ma io non volevo tornare), eppure il tempo è passato e ieri, per fortuna, ero in quel posto bellissimo, a guardare le foglie degli alberi baciate dalla luce.

Tra un paio di settimane comincio un nuovo corso di tedesco, livello B2, intermedio superiore. Vado fiera di come ho gestito il tempo passato dalla fine del contratto ad oggi e sono orgogliosa che qualcuno, finalmente, se ne sia accorto. 

Però non so cosa sarà di me, durante il nuovo corso e soprattutto dopo.

Nel frattempo, mi aggrappo all'estate e alla sospensione che ci regala l'acqua e l'azzurro e le lunghe serate di stelle. A quelle che ho visto davvero, anno dopo anno, agosto dopo agosto, a quelle che ho immaginato di vedere anche da qui, a mille e più chilometri dalla mia bella Italia.


mercoledì 1 luglio 2020

Nuovo curriculum, nuova vita. Si spera. Fortissimamente



Ho svariate foto nuove, a partire dalla prima che avevo scattato all'inizio del lavoro di riscrittura del mio Lebenslauf, parola difficilissima, a un primo (ma anche secondo) sguardo, che significa curriculum vitae.

Sto combattendo contro il fortissimo desiderio di tornarmene in patria, in giacca e/o camicia, oppure direttamente in pantaloncini da corsa e canottiera come in questo momento.

Ma alt, già, non bisogna lamentarsi. "La lamentela puzza", dicono i saggi. E hanno ragione, anche se mi fanno girare lo stesso le balle, come mi capitava da ragazzina, quando sapevo di avere torto, ma me ne andavo comunque in camera mia sbattendomi dietro la porta.

In fondo, adesso ho un "LL" (abbreviazione della parola di cui sopra, qui molto utilizzata) leggibile, oltretutto in ben due versioni: lang und kurz.

Nella prima ho riassunto in poche righe le mansioni svolte nelle vesti di giornalista, freelance in buona parte dei casi, e dipendente, in alcuni. 

E' stata la consulente di un Centro per il lavoro al femminile qualificato (Abz, acronimo di Arbeit Bildung Zukunft, Austria) di Vienna a suggerirmi di specificare meglio che diavolo abbia mai fatto dalla laurea in avanti. 

Sempre lei (un donnone in birkenstock con un solido sguardo su caschetto grigio) mi ha anche suggerito di scegliere una foto migliore di quella che le avevo mandato inizialmente.
Gli scatti che vedete sopra sono i suoi preferiti.

A dirla tutta, la tipa preferisce in modo particolare quella con la camicia. Me l'aveva già detto al telefono, di farmi una foto in camicia, dopo aver visionato la vecchia versione del curriculum.

Immaginatevi la scena: io davanti al pc, con lo scrausissimo cellulare austriaco attaccato all'orecchio, per cercare di capire il più possibile quel che andava dicendo la mia interlocutrice. 

Mi arrivano forti e chiari due concetti:
1) il mio vecchio curriculum era langweilig, che vuol dire noioso;
2) la foto, oddio la foto, ma come ti è venuto in mente di usare quella foto?

Ve la mostro qui, giusto per completezza di informazione: 



Ora, la foto di cui sopra, effettivamente, non era stata scattata all'uopo, ma l'avevo utilizzata per sostituire la precedente che era francamente un po' troppo antica. Mi ero detta: se qualcuno dovesse mai chiamarmi per un colloquio in base alla foto di una decina di anni fa, che colpo si prende quando gli si para davanti, diciamo così, una signora un tantino più agée?

Ricordo tra l'altro anche la circostanza in cui era stata scattata, una volta tanto non il cellulare, ma con mia Nikon che ancora gliel'ammolla. Eravamo in uno chalet a pochi metri dal mare, io e il Bipede, a prenderci  un aperitivo, dopo un pomeriggio di fine maggio, passato a occuparmi delle elezioni amministrative a Lu Portu. Ero piuttosto stanca, ma lo sguardo mi pareva almeno intelligente e niente affatto langweilig.

E però aveva ragione lei: mi si vede persino la bretella del reggiseno, e che diamine. 

Quindi sotto a rifarsi le foto (tralascio le prime, sgorbi irricevibili, scattate da una macchinetta di una squallida stazione della metro).

Il passaggio intermedio era una foto in cui sorrido debolmente. Questa: 

"Besser" (meglio), dice via mail la consulente (notate la camicia country).

Poi però mi vede di persona ed evidentemente capisce che c'è del potenziale comico nella mia figurina, quindi mi suggerisce di sfoggiare il sorriso a trentadue denti (o quanti sono), che in genere salta fuori o quando sono particolarmente imbarazzata, o quando sono molto, ma molto divertita.

Le mostro uno degli scatti che avevo utilizzato per il profilo Facebook: "Viel besser!", dice, anche se lì avevo il mento poggiato sulla mano, quindi un po' troppo amica della porta accanto, per cui gliene mando un'altra, inserendola stavolta direttamente sulla bozza del nuovo curriculum. Questa:



"Viel, viel besser", ma nel frattempo accolgo il suo ulteriore invito ad immortalarmi in differenti outfit, "visto che la fotografia la diverte" (tradotto: "non ci ha niente da fare, si faccia pure altre foto, almeno facciamo vedere che ci stiamo impegnando, tutte e due"). 

E in effetti, la fotografia mi diverte e finché lo Stato austriaco mi paga, tutto sommato, me lo posso anche concedere.

Mi trucco, mi sistemo alla meglio i capelli (che avrebbero bisogno di una "Friseurin" degna di questo nome: Il Milanese Imbruttito mi darebbe della terrona perché c'ho il parrucchiere solo a casa mia. E che ci volete fare?) e procedo.


Sinceramente: tra le due pubblicate a inizio post, io preferisco di gran lunga la foto in giacca e maglia bianca. In quella a destra mi sento una tirolese. Ma d'altra parte lo sospettavo: alla consulente piace di più quest'ultima versione, chissà se per amor di patria.

Sia come sia, eccovi qua il mio LL fresco fresco di correzioni: 



 C'è anche la versione "kurz" ma ve la risparmio, anche perché non si legge niente, lo so. Era solo per darvi un'idea di come ho passato questi ultimi mesi.

Corso di tedesco finito (per ora), Lebenslauf pronto, annuncio generico scritto, prime candidature mandate.

Come concludere?
Mi sento un po' come un pescatore che attende sulla riva, la canna in mano, l'amo a pelo d'acqua.

Non ho niente, caratterialmente parlando, del pescatore, o forse sì, vista la pazienza che ci sto mettendo. 

So di certo che non è finita qua, ma vorrei al contempo evitare ulteriori delusioni.
Sperare va bene, benissimo anzi, illudersi no.

Come fare?
Qualche idea mi frulla per la testa, ma ve ne parlo la prossima volta.

Al momento, continuate a fare il tifo per me.
Danke schön, liebe Leute, dalla tirolese che è in me.

Grazie, dall'italiana sempre più italiana. Ogni giorno di più.