E' passato quasi un anno dalla mia esperienza sui
Sibillini (ne ho parlato su
Minime Storie, se vi va andate di là), ma non immaginavo quanto si fosse sedimentata dentro di me, fino a stamattina.
Ho appena finito di rileggere il raccontino che ho ricavato da uno degli esercizi proposti da
Minuti Scritti, l'appassionante manuale di scrittura creativa di
Anna Maria Testa, che suggerisco a tutte le persone che vogliano divertirsi un po' con le parole.
Non ricordo con precisione quale fosse la traccia da seguire ed è peraltro probabile che l'abbia cannata. Di una cosa, infatti,
mi sono resa conto, mentre svolgevo a uno a uno gli esercizi della Testa:
parto per la tangente con una rapidità più che felina.
Il risultato che vi propongo sotto, perciò, è
frutto del mio divagare attorno agli input letti nel manuale, ma il motivo per cui lo condivido è solo uno: mi fa troppo pensare ai miei
Racconti dal passato, la rubrica che trovate in alto, accanto a
Gli sfaccendati.
Mi piacciono
le storie ambientate in treno da sempre, è evidente.
E quelle in cui
i sogni che si intrecciano con la realtà.
Niente di che, certo, però, forse,
la mia cifra personale è tutta qua.
A voi (se lo gradirete),
buona lettura.
UNA MAGA PER AMICA
“Non c’è estate senza mare!”, osservò con enfasi Liliana.
Marco la trovò ridicola: “Hai ragione, tesò, ma che ci possiamo fare se
dobbiamo stare su?”, le rispose guardando dal finestrino le macchie degli
ombrelloni e qualche corpo in ammollo. Tanto contento non era neanche lui, ma
il lavoro è il lavoro. E poi la montagna in fondo non gli dispiaceva. “Scusate
se mi intrometto, ma dove state andando?”, chiesa la signora occhialuta seduta
di fronte a loro. Moriva dalla voglia di attaccare bottone, i due ragazzi se
n’erano accorti già alla partenza, diverse ore prima, dalla stazione di Lecce.
Accanto a lei, un ometto di mezza età, tutto insonnolito
aprì un occhio solo, come i gatti, disapprovando assai di essere stato
svegliato da quell’improvvido vociare. “Che diavolo gliene importa dove vanno
quei due disgraziati?”, pensò tra sé e sé, aggiustandosi meglio sul sedile.
Educatamente Liliana rispose: “A Trento e poi in Val di Non:
faremo gli animatori turistici in un hotel, tutta l’estate”. Istintivamente le
venne da abbassare un po’ lo sguardo.
Marco socchiuse appena gli occhi indirizzando anche un vago
sorriso alla signora. “E léi?”, le domandò per pura cortesia..
“Ah, che bello il pugliese! Mio marito era di Bari, ma
viveva a Tricase… io sono di Milano, invece, mio marito non c’è più e i miei
figli abitano a Londra. Eh, com’è brutta la vecchiaia…”, sospirò con il chiaro
intento di proseguire la conversazione.
Invece niente: i due ragazzi non sapevano proprio cosa
risponderle. Con la testa erano già proiettati lontano, dubbiosi e forse
spaventati. Ce l’avrebbero fatta a resistere senza la cucina della loro mamma e
i loro rispettivi fidanzati? “Brutta davvero, già, meno male che quei due non
hanno abboccato, va”, pensò con sollievo il tipo, serrando di nuovo gli occhi.
“Biglietti, prego! Signore? Signore?”.
Stravolto, si accorse del ghignare dei due ragazzi, mentre
cercava affannosamente il biglietto in tutte le tasche. La signora lo guardò dubbiosa.
“Eccolo qua”, sospirò il tipo.
La signora gli sorrise. “E poi dicono le borse delle donne,
eh… dove è diretto?”.
Stavolta non poteva sfuggire.
“Padova”.
“E’ veneto?”.
“No”.
“Va in vacanza?”.
“No”.
“Lavoro?”.
“No”.
Liliana e Marco seguivano lo scambio come fossero a una
partita di tennis.
Che cos’altro gli avrebbe chiesto prima di mollare?
“A Padova ci sono dei miei cugini, non li vedo da molto.
Magari qualcuno sarà anche morto... la vita è così, del resto, prima dà e poi
si riprende tutto. Ma voi siete giovani, non ci pensate, eh”.
Nessuna risposta.
Il tipo richiuse gli occhi.
Marco e Liliana si infilarono gli auricolari.
La signora si alzò, prese la sua borsa e, chiedendo
permesso, uscì nel corridoio.
Si addormentarono per davvero.
Ridestandosi, non poterono credere ai loro occhi.
Non c’era più un bagaglio, né di Marco né di Liliana né
tanto meno del tipo laconico. “Ma che accidenti?? Ma quella p… ma porc…”, gridò
quest’ultimo in preda al panico.
Liliana sbiancò e pianse, Marco si tastò le tasche
atterrito: non aveva più neanche il cellulare. E adesso?
Scrutando intorno, alla fine, notò qualcosa sul sedile
dov’era seduta prima la signora. Era un foglietto bianco, piegato in due. Marco
lo lesse tra sé, mentre Liliana e il tipo cercavano di fare altrettanto
assiepandosi intorno a lui.
“Belli miei, avete presente quei personaggi delle favole che
si travestono per sottoporre gli umani a qualche prova? Beh, che ci crediate o
no, io sono uscita da una storia delle più antiche. Volevate arrivare
tranquilli tranquilli a destinazione? Bastava che mi parlaste un po’ di più,
giusto qualche battuta, eh, magari anche sul tempo. E invece avete fatto come
tanti, zitti zitti, le cuffie e il sonno forzato.
Beh, la prossima volta ci penserete due volte.
Ah, dimenticavo. Volevo dirvi giusto una cosetta in più. La
vostra roba è in buone mani. C’è tanta gente che c’ha bisogno.
Adieu. La maga
Sibilla”.
Tiziana richiuse il libro e chiese alla mamma: “Mamma, a che
ora arriviamo? Rispondimi, per favore. Sennò poi mi devi ricomprare tutti i
vestiti”.
La mamma guardò interrogativamente la sua bambina e poi le
disse: “Tra pochi minuti. Anzi, svelta, rimetti il tuo libro nello zaino, su…
ma che cosa stavi leggendo? Non è una storia per bambini, mi pare”.
“Me l’ha dato la maestra Ida, quella delle Marche,
ricordi?”.
“Ah, la streghetta bruna, sì sì. Comportati bene con lei, mi
raccomando”.
“Sì, sì... abbiamo tutti i bagagli, ci vuole bene”. Tiziana
si accorse che la mamma non la stava già più ascoltando.
Giorni dopo la sentì domandarsi: “Dov’è finito il mio
rossetto?”.
Pensò alla signora che chiedeva l’elemosina davanti al
supermercato.
Era in buona mani, poteva stare tranquilla.