lunedì 15 febbraio 2016

Non lavoro ma non crollo: forza numi, fatevi sentire

Tyne Daly, la grandissima Maxine Gray nel "Giudice Amy", da oggi di nuovo su Giallo

Non ho ancora capito bene il funzionamento di google +, principalmente per pigrizia. Ringrazio, in ogni caso, quell'anima buona che spesso aggiunge un secondo "più" al mio, cliccato da me medesima abitualmente per rilanciare le sciocchezzuole che vado digitando.

Oggi è una giornata uggiosissima: speriamo che le mie piantine non se ne abbiano a male, visto che proprio ieri, per ansiogeno scrupolo di coscienza, le avevo annaffiate. Mi sento un po' come Moretti in Bianca che alla fine ne butta una di sotto dal terrazzo, dopo essersene uscito con "vuoi più acqua, meno acqua?", preso dal tipico sconforto di noi pollici grigi.

E però, a proposito di grigi, l'erba gatta è cresciuta eccome, contro ogni mia previsione, e pare piaccia alla felina dalle cinquanta sfumature della polvere. Inutile: mi sta troppo simpatica quando esce tutta entusiasta sul balcone e si butta con il corpicino sui ciuffi verde brillante. Dicono che debbano mangiarne con moderazione, altrimenti si drogano, ma capire se sia o meno sotto stupefacenza erbivora è davvero difficile. Bice (la grigia) ha una personalità piuttosto bizzarra già di suo: non mi pare che l'aggiunta di erba gatta alla sua dieta ne abbia alterato il comportamento. Che poi che male c'è a stordirsi un po'? Ha parlato Madama la lisergica, proprio: a me basta un bicchierino di qualsiasi cosa per entrare in tachicardia per tutta la notte successiva. Farà bene?

Ieri, in verità, ho bevuto un po' di più di un bicchiere: ma quell'americano era così dolce che non credevo fosse roba alcolica. O sarà che c'ho un'età e che non esco praticamente mai (faceva un caldo in quel bar: per chi gira in genere con due maglioni e doppi calzini i locali alla moda sono i Tropici).

L'occasione, però, era davvero lieta: compiva gli anni una delle mie insegnanti della Fermo 85. Una compagna di corsi ha avuto la bella idea di organizzarle una festa a sorpresa. Riuscitissima.
Tiziana (questo il nome della festeggiata) non se l'aspettava assolutamente ed è stato davvero tenero vederla con le lacrime agli occhi dalla commozione, quando ci ha trovati tutti lì ad applaudirla.

Ho passato una serata molto piacevole, insomma, anche se, ahimè, non sono sufficientemente di buon umore, nonostante gli incontri e i sorrisi sinceri.

Ho bisogno di lavorare: oggi guardavo le prime due puntate dell'ennesima replica del Giudice Amy e mi sentivo esattamente come Maxine, neanche la figlia, direttamente la mamma anziana voglio dire, che si era costretta a stare a casa lasciando il lavoro per occuparsi di figlia e nipote, ma si capisce lontano un miglio che proprio non ce la fa. Per buona parte del telefilm, infatti, la si vedrà nelle vesti di assistente sociale, con tutta l'umanità e la grinta che ci vogliono per affrontare storie spesso tremende, raccontate, se posso dirlo, da questo telefilm, con una poesia dal gusto retro che trovo tuttora un antidoto prezioso contro lo squallore diffuso.

Vedendo lei e anche Amy nei rispettivi posti di lavoro, avresti voglia di fare come loro, di massacrarti come sembrano fare i due personaggi per tenere insieme tutto, spese, educazione della piccola di famiglia, affetti e amicizie.
Purtroppo nel mio presente c'è solo una piccola parte di ciò che vedo sullo schermo e a volte, francamente, tutto questo mi stanca. Non lavorare stanca, lavorare gratis pure, ma, davvero, meglio lavorare gratis per qualcosa che ci piace, che aspettare un cambiamento che non verrà.

In tutta onestà, non rimango mai troppo ad aspettare. Anzi: molto spesso riempio i vuoti con qualche azione. Vanno benissimo tutte quelle che riguardano la sistemazione della mia casa, ne sono convinta, però mi manca la vita, mi manca quella sensazione di non aver abbastanza tempo per tutto.
Continuo a leggere di gente che corre, che non si ferma neanche per mangiare in santa pace: a me non succede praticamente mai. Mi ritrovo qualche volta a prendermi un tazzone d'orzo a metà mattina con un libro o un giornale affianco, seduta al tavolino un po' sconnesso di mia nonna (uno di quegli arredi che meno mi convincono e che nel mio attivismo vorrei far sparire).

Anche adesso, per dire, scrivo per riempire un vuoto, "per passare il tempo", usando un'espressione abituale di mio padre che mi ha sempre terribilmente appesantito, non per colpa sua.

Non dovrebbe mai succedere, in nessuna fase della vita, ma meno che mai nel pieno dell'età adulta, di fare qualcosa tanto per ammazzare il tempo.
Sento di bambini iper-organizzati che non saprebbero sopravvivere ai momenti di noia, ai buchi nell'agenda. Posso dirlo? Se andiamo avanti così, impareranno molto presto a gestirli: chi lo dice a queste schiere di ragazzini che oggi vanno a ginnastica, a calcio, a musica etc etc, che a trent'anni potrebbero essere costretti a fare lo stesso pur di non restarsene a ciondolare con le mani in mano?

Capisco bene quando mia sorella si augura che i suoi figli riescano un giorno a emigrare.
E però, davvero, non voglio fare la solita tirata sull'Italia che non va e sulle generazioni perdute etc etc. Oggi un africano che cerca l'elemosina davanti all'Eurospin mi ha chiesto un passaggio in auto per andare alla stazione: non aveva nemmeno i soldi per la tachipirina, sul suo viso ho letto una disperazione che io non ho mai provato. Certo: non mi posso sentire in colpa per questo, ci mancherebbe altro. E da un certo punto di vista, almeno stamattina il mio essere senza lavoro ha avuto un perché.

E' solo che ogni tanto è dura non saper cosa rispondere alla conoscente di turno che ti consiglia di dare ripetizioni, come se io non ci avessi già pensato da sola o, peggio, a quell'altra anziana, dotata per sua fortuna di pensione, in procinto di un soggiorno a Parigi di chissà quanti mesi, che non sto snobbando le ripetizioni (semmai sono le ripetizioni a snobbare me) e che farei ben più di quelle oggi stesso se mi si presentasse l'occasione.

Se mi si restituisse la possibilità di avere delle occasioni. Che è ben diverso.

Che fare? Continuare a cercare, a incontrare, a dire anche stupidaggini se succede (con i quasi estranei dovrei evitare di lasciarmi andare, lo so, ma non sempre ci riesco), a leggere, a scrivere, a pensare. E a sperare che quei piccoli segnali di cambiamento che intravedo oltre il grigio di oggi, siano davvero tali.

Mi auguro solo, quello sì, di avere abbastanza coraggio. A volte non ce l'ho avuto. E ne sto pagando le conseguenze ancora adesso.
Forse è proprio qui il punto, ma visto che l'ho vergato, adesso bisogna davvero che vada accapo.

Santi numi di qualsiasi natura, please, siate con me. E con chi sta vivendo analoghe turbolenze.
In bocca al lupo a noi.

mercoledì 10 febbraio 2016

Henry Miller e gli anti-eroi: un po' più di speranza no?



Oggi sono decisamente acciaccata, per cui potrei essere nello stato perfetto per lasciarmi andare al flusso sconnesso di parole che ho trovato in Tropico del cancro di Henry Miller.
Sto (ovviamente) facendo dell'ironia: resta però il fatto che nel complesso il libro scelto dal gruppo lettura della libreria Mingus de Lu Portu non mi abbia fatto impazzire.

Ci sono pagine, indubbiamente, interessanti, ma ho capito che a me l'eroe-antieroe maledetto, stringi stringi, mi sta sulle balle.
Vero che è stato scritto tra gli anni Venti e Trenta da un americano talentuoso nonché pieno di denaro (rispetto al grosso degli europei dei tempi, intendo) che poteva permettersi anche il lusso di vivere da pezzente. Vero anche che quegli anni sono assai diversi dai quasi Venti del XXI secolo, almeno in Occidente.

Resta però il fatto che io personalmente ho bisogno di storie con un principio, uno svolgimento e una fine, altrimenti m'annoio o mi arrabbio, il secondo stato d'animo migliore del primo sicuramente.

Del libro, mi piace molto l'ambientazione parigina: vi ho trovato delle analogie con Bel Ami, il bel romanzo di Guy De Maupassant citato - non a caso - dallo stesso Miller.
Non mi scandalizzano, non più di tanto almeno, le scene di sesso e la misoginia di fondo di tutti gli scoppiati amici del protagonista nonché di quest'ultimo. Non mi piacciono, d'altronde, neanche le figure femminili della storia, più o meno tutte prostitute vere o aspiranti tali.

C'è una solitudine assoluta e disperata in tutti i personaggi che lascia sgomenti.
Leggendolo, mi veniva da pensare: che diavolo ci fate tutti quanti a Parigi, in Europa, se poi dovete vivere così sballati? Non era meglio se ve ne stavate nelle tanto disprezzate campagne no limits della vostra patria lontana?

Davvero: che gusto c'è a rovinarsi se poi non si ha abbastanza talento e fortuna per sfondare nella letteratura, nell'arte in genere?

Da quel che ho capito, Miller è riuscito a cavarsela (cominciando anche a guadagnare bene) assai dopo essere ritornato in Usa e aver contratto diversi matrimoni più (presumo) una sfilza di malattie veneree che comunque non gli hanno impedito di campare fino a tarda età.
La consacrazione finale, tra l'altro, è arrivata nei mitici Sixties, quelli che hanno (per fortuna) modificato radicalmente i costumi dell'Occidente e che tuttavia hanno sdoganato gli scoppiati e gli sciroccati di ogni risma, che non sempre hanno fatto bene alle generazioni venute dopo.

In tutti i modi, non ho idea di come siano gli altri romanzi di Miller, per cui non posso giudicare. Ho però avuto la sensazione di leggere un Hemingway meno censurato e più decadente. Fiesta, ossia il romanzo del grande narratore americano che più si avvicina alla storia contenuta in Tropico del cancro, può indisporre quanto quello di Miller se lo si giudica circoscrivendo il campo di osservazione ai personaggi che vi sono tratteggiati.

Però quei tagli radicali alla prosa operati dall'autore del Vecchio e il Mare ne hanno reso la lingua più attraente, almeno per me che non amo le scritture troppo ridondanti.

Che altro dire? Se non ci fosse stato il gruppo lettura sangiorgese, dubito che sarei riuscita ad arrivare fino in fondo a Tropico del cancro, per cui va bene così.
E poi mi viene da fare anche un'altra considerazione: forse Miller voleva infondere il senso di disagio e disgusto che ho provato leggendone le descrizioni piene di puzzo e sporcizia esteriore e interiore.

Quindi chapeau allo scrittore che per campare ha fatto davvero il traduttore, il correttore di bozze e il giornalista.

Vorrei solo, infantilmente, un po' più di speranza. Peace and love, come nei già citati mitici Sixties (e Seventies), insomma, quelli che ho incarnato ieri (esponendomi al pubblico ludibrio, come vedete nella foto sopra) alla festa di carnevale del borgo marinaro.

Ma sono una donna, avrebbero detto lui e i suoi amici, che altro aspettarsi se non quella cosa lì.

Mi domando di quanto squallore, di quanta violenza e morte abbiamo ancora bisogno per deciderci a cambiare stile di vita.

La domanda è naturalmente retorica.

Al prossimo libro, amici.

lunedì 1 febbraio 2016

Aria nuova, aria diversa



Venerdì scorso ho ordinato il divano nuovo. Dovrebbe arrivare in cinquanta giorni e, devo dire, in tutta incoscienza, che non ne vedo l'ora.
La cosiddetta fase due della mia vita procede a una certa velocità.

Per la prima volta dopo anni ho smesso di "festeggiare" il mezzo compleanno (i primi sei mesi svoltati i quali piomberò dritta dritta nel 45esimo), perché ho fretta di compiere concreti passi in avanti. Prima che sia troppo tardi, probabilmente.

Sono terrorizzata (a tratti) dal timore che non riuscirò mai più a lavorare, ma al contempo so che agitarmi in questo mezzo bicchiere d'acqua non mi porterà da nessuna parte.

Così vado avanti con la sistemazione della casa, il primo posto (lo dico piano) dove, finalmente, mi sento davvero bene.

Pare che per noi cancerini (bleah) la casa sia importante: bella originalità.

In ogni caso, come immagino succeda a molti, mi piace provare questa sensazione.

Sto sognando spesso mia madre.
Non mi va di parlarne, non sono ancora pronta per scriverne nel modo giusto.

Faccio, in generale, sogni pazzeschi: sarà che sto leggendo Tropico del cancro di Henry Miller, una scrittura disordinata, a tratti fin troppo per i miei gusti autistici.

O sarà che non ci sto capendo granché, se non che voglio, fortissimamente voglio, aria nuova.

E l'avrò, ne sono convinta.
Ma sarà diversa, molto diversa, da quella che sognavo anni fa.

Lo intuisco dai sogni ricorrenti sul giornalismo e sui giornalisti (facce che non ho mai visto, chissà se esistono davvero) che si alternano a quelli con mia mamma mischiati a varie comparse reali (tipo la simpatica compagna di ginnastica che mi ha fatto i capelli l'ultima volta!) e irreali (i parrucchieri fermani, di cui uno handicappato e l'altro con la pipa...).

Staremo a vedere.

Voi pazientate con me.
Se vi fa, of course.

venerdì 29 gennaio 2016

Zalone e la giusta terapia... premestruale



Un paio di settimane fa ho letto un pezzo di Iciaba Scego sulle mestruazioni.
Era ben scritto e sosteneva (in super-breve) che la proposta di Pippo Civati di abbassare l'Iva sui "tappi per la bernarda" (citazione, ahimè vera, da un amico) sia cosa civile, perché noi femmine, quando c'abbiamo quella roba lì ogni mese, siamo abbastanza ko.

Più di qualcuno ha ironizzato sulla (diciamo così) marginalità di una problematica del genere rispetto a urgenze obiettivamente più pressanti.
A me, comunque, non pare una cazzata, ma se Civati e chi per lui pensa di vincere le prossime elezioni partendo da sta' assunto qua, farebbe meglio a... farsi una cura di film e video di Zalone, come la sottoscritta, che ne ha guardato a iosa proprio in quei giorni là.

Il video che rilancio sopra ne è un esempio pratico e si trova sul canale Youtube di questo genio barese: mi sono iscritta ieri, giusto un attimo prima che arrivasse la piena rossa. 

Siccome però, quando quest'ultima arriva, di solito, il picco in giù dell'umore è già stato toccato, ormai ne sono certa: il fatto che si sia mantenuto a un livello accettabile nei giorni immediatamente precedenti, è solo grazie alla somministrazione massiccia delle puttanate intelligentissime di questo trentottenne pelato.

E chi lo giudica razzista, omofobo, grossolano etc etc, non ha capito proprio nulla. Se ne faccia una ragione l'Italia della prima Repubblica che non si scorda mai, quella della canzone colonna sonora di Quo Vado?: se mai dovessimo finalmente uscirne, il merito sarà solo di gente come lui. 

Speriamo solo che la bambina che ha messo al mondo anche per me ne erediti la parte migliore (non parlo della panza). Inventando originali strategie in rosa anti-sindrome. 

Thank you, Checco: la prossima volta, anziché girare lo spot del farmacista e della "botta" che dovrebbe darle il marito, ricordati della sindrome, roba assai più rognosa di quell'altra cosa là, per la quale, comunque, un rimedio si trova sempre. 

Ci siamo capiti?

martedì 26 gennaio 2016

Adottare un quattrozampe? Una scelta "pesante"...


Deve essere un po' come succede con i figli. Voi madri e padri, semmai, smentitemi, ma se lo fate, per piacere, siate sinceri come sto per esserlo io.
A volte gli amici a quattrozampe sono pesanti. Lo diceva spesso pure la mia, di madre, riferendosi alle buonanime di Sancio e Stino (detto Fausto), che le stavano sempre addosso.

Bice la grigia (immortalatami in grembo giusto stamattina) è capace di andare avanti minuti, buoni quarti d'ora, a tallonarti miagolando, con modulazioni dell'ugola da cantante lirica, finché non ti siedi da qualche parte e non le permetti di impastare (fare la pasta, fare ron ron, o come dite voi in altre parti d'Italia).

Certe volte, obiettivamente, mi verrebbe da sbalanzarla da un'altra parte (mi viene il dubbio che il verbo della prima coniugazione in -are da me succitato non esista nella lingua di Dante. Pazienza. Tanto si capisce. Credo).
Ma poi, come (immagino) facciano anche le brave mammine con i loro adoratissimi pargoli, mi piego e lascio che mi martirizzi. Perché certe volte mi fa pure male con quelle unghiette fini fini ma affilatissime. La pretesa, infatti, non si esaurisce con l'innalzamento delle temperature, ma se hai una maglietta fina, la zampetta unghiata trapassa, eccome se lo fa.

Detesto essere considerata una gattara. Non lo sono affatto. Almeno, non nel senso classico del termine.
Per un breve periodo, quando abitavo in cima al colle del Girfalco, ho rischiato di diventarlo: ne vedevo così tanti, in massima parte neri, sulle scale dell'hotel anni Cinquanta tuttora in disuso, da non riuscire a ignorarne il destino. Certe sere, quando tornavo dalla palestra in auto, mi venivano incontro in diversi, quasi tutti ancora cuccioli, sperando che lanciassi loro qualche croccantino.

Ho cominciato a evitarli dopo che ho dovuto (meglio: voluto) raccattare il corpo senza vita di un povero gatto sbilenco, al quale mi ero un pochino affezionata. Dopo quella volta, no, no, no, non vi guardo: un'altra fregatura no.

Ho anche tentato, ve l'assicuro, di dissuadere mio marito dall'adottare i nostri due attuali coinquilini, ma lui, niente, si era fissato e quindi ok al ritorno dei gatti nella mia quotidianità.

Siamo partiti malissimo. Il povero Chet-Ciccio ha fatto la fine che sapete (se non la sapete, di certo non ve la somministro). Non contenti, abbiamo perseverato e zac, gabbati doppiamente dalla teppaglia minuscola che ci costringe a queste sedute di human-therapy (a suo assoluto vantaggio, per intendersi) e da Nino, il gatto tonto dalla pelliccia obiettivamente eccezionale (crociato come un antico combattente in Terra Santa), che, peraltro, mi ignora quasi totalmente.

Ogni tanto (ogni tanto?) quest'ultimo vomita: giusto oggi appena dopo pranzo, nella fase più delicata della digestione (di noi umani: stavamo per prendere l'orzocaffè), tiè, sul copridivano. E dire che l'abbiamo portato dalle veterinarie, abbiamo cominciato a comprare croccantini di classe A++, ma niente, soprattutto il maschio, con una certa frequenza, sente l'impellente bisogno di sporcare qualche copertura anti-felino. Spero, con tutto il cuore, che non lo faccia mai nel letto, altrimenti è la volta buona che lo libero sulla spiaggia.

Oh, raga, sto esagerando: mi ci vedete voi ad abbandonare un animale? Suvvia. Voi genitori siate onesti e ammettetelo: una bella colonia rieducativa per i vostri innocui piccini non l'avete mai sognata?

Il problema, però, resta.
Certe volte ho come l'impressione che noi umani abbiamo bisogno di legacci per sentire di avere un ruolo. Peggio: per dimostrare a noi stessi che per qualcuno siamo importanti.
Poi, però, che cosa accade? Che importanti lo diventiamo davvero e allora sta' cosa del dominatore e del dominato, da porno soft per le moderne casalinghe (oh, tra parentesi, non sapevo neanche che ieri mandassero il film delle sfumature di grigio, di cui a giorni esce un'altrettanto orribile parodia), ci sta un tantino scomoda.

Allo stato attuale, Bice e Nino non potrebbero mai cavarsela all'aperto, ne sono più che certa. Per loro sarebbe come passare dal Grand Hotel alla Siria.
D'altronde, quale umano vorrebbe essere nella seconda, ora come ora?
Ed è ben per questa ragione, umanitaria più che umana, in sostanza, che quei due mi tollerano ancora come loro compagna di casa.

E dire che li accarezzo spesso, che parlo loro con le vocine sceme come si fa con i poppanti, ma niente: se potessero, mi ci manderebbero eccome sotto una tenda militare.

Tanto, hanno Paolo, il loro Vate, il loro nume tutelare. Quello che la mattina, il 99% delle volte, si alza elargendo loro l'attesa porzioncina di sfilaccetti senza salsa (l'unica edibile per i signori), quello che, pur detestandoli a tratti molto più di me, si scervella con estenuanti ricerche su internet da cellulare, per cercare altri alimenti anti-vomito. Quello che dispensa loro bacini facendo intenerire persino un cuore di pietra come me.

Sarà per questo che gli inquilini baffuti non mi considerano molto? Eppure, vorrei dire loro, pure io vi svuoto la lettiera (almeno rimuovo i solidi quando devo buttare la spazzatura), anche io ho voluto il grattatoio a torre per la signorina grigia, pure io, spesso, vi cambio la ciotola d'acqua... insomma esisto!

Niente. Per Bice, al limite, posso andare ancora bene come stuoino scaldasonno; Nino, ogni tanto, mi concede di grattargli la pancia appesa. Ma niente più.

Mi fanno compagnia? Il livello del mio stress sarebbe molto maggiore se non ci fossero?
Non saprei. Certo, le ultime analisi erano particolarmente buone, ma temo che dipenda più dal fatto che non ho niente da fare. Esattamente come loro, con l'importante differenza, manco a dirlo, a loro assoluto vantaggio, che quei due là non hanno (ma proprio per niente) ansie da prestazione e possono (ooooh) dormire buona parte della giornata, senza ricevere i fastidiosissimi messaggini di Infojobs che ti rammentano la triste y sfigata realtà.

Insomma, è bello avere animali? No: la domanda è mal posta.
Arrivo alla risposta girandoci intorno. Così.

E' come stare costantemente dentro a una puntata di Superquark e rendersi conto di che merdine siamo noi a due zampe. Davvero. I gatti scelgono chi amare senza inutili sensi di colpa: Nino mi tollera, tutto sommato, ma non mi pare afflitto dal fatto (oggettivo, ve l'assicuro) di non provare nulla di più.
Bice mi dà più valore (sarà che vede che sono poco più grande di lei e che ogni tanto, per blandirla vergognosamente, le allungo anche qualche pezzettino dei miei pasti, decisamente più interessanti di qualsiasi croccantino extralusso), ma non si pente neanche per un istante quando salta giù dal mio grembo senza neanche dirmi "grazie per il tuo tempo".

Diciamo, in definitiva, che convivere con gli animali è istruttivo.

E che quando non li vedo per un po' di giorni, ne sento la mancanza.

Incatenata a vita. Capito?

Quindi, voi che non ancora li avete, pensateci bene.

lunedì 25 gennaio 2016

Checco Zalone e la lezione spettacolo su Sky del 2011

Ieri sera, alla fine, sono andata a vedere Quo vado?
Ho già scvitto una stvonzata su Facebook, pev cui non mi vipeto (sappiatelo: non sono una vadical chic, anche se all'univevsità aspivavo a diventavlo. Poi si invecchia, pev fovtuna), ma credo che il miglior modo per vecensive il film di Luca Pasquale Medici, in arte Checco Zalone, sia di linkarvi sotto la bellissima lezione-spettacolo andata in onda nel 2011 su Sky, in occasione dell'unico film che non ho visto di questo mio quasi fratello minore (quello sull'araba che voleva fare un attentato al duomo di Milano, per capirsi. Una vita fa, visti i tempi, ahinoi).

Lo definisco così per due ragioni: anagrafica (Checco ha quasi 39 anni, 6 meno di me) e geografica (sento fortemente vicine le sue origini meridionali: la zia che vedrete nella lezione è un mix di un paio delle mie).
Per il resto, non c'è storia: Zalone è un fuoriclasse. Speriamo solo, come dice lui, che non si infighettisca. Ma dubito che lo farà.

Buona visione, amici.











martedì 19 gennaio 2016

Tv-series, tra prime ed enne-enne-visioni... meno male che ci siete



Adeline Briard e Kader Cherif sono colleghi poliziotti: lei è parigina doc, lui di origine magrebina, come l'attore protagonista da cui prende il nome la serie francese, in onda in questo periodo tutti i lunedì su Giallo, ambientata, una volta tanto, non nella capitale, bensì a Lione.

Nella vita, i due bei volti del serial "bleu" sembrano piuttosto diversi da come si mostrano in scena, almeno, stando ai video di presentazione del telefilm che ho trovato su Youtube: soprattutto lei, Carol Bianic, sorride parecchio e sembra tutto il contrario del personaggio che interpreta nel telefilm, ossia l'animo "masculine", contro quello femminino, nonché ostile alle regole, rappresentato dal suo collega maschio.

Abdelhafid Metalsi, come si chiama realmente l'attore che veste i panni del poliziotto mammone cresciuto a telefilm, ha, a dirla tutta, lo stesso sguardo paraculo che mostra in scena, ma, se posso dirlo, appare meno scuro, meno adulto, del suo personaggio. Del resto, nel telefilm, è padre di una ragazza di quattordici anni, che vive un po' da lui e un po' dalla ex moglie, avvocato.

Non c'è molto da dire sui casi in cui si imbattono i due detective, semplicemente, perché, a ben guardare, la struttura "scoperta del cadavere-indagini-colpo di scena finale" è più o meno sempre la stessa di tutti i telefilm a sfondo giallo ma non troppo noir. Resta però la piacevolezza di assistere a una recitazione non troppo impostata, come capita troppo spesso negli omologhi americani, da cui quasi tutti i telefilm made in Europe prendono spunto.

Ed è inoltre originale anche la trovata di far calcare a un franco-algerino le orme di precedenti illustri poliziotti del Vecchio Continente (o comunque tali di origine) come Kojak o Colombo, due dei modelli televisivi del nostro Kader, che l'hanno spinto a diventare poliziotto.

Detto altrimenti, in sostanza, Cherif è molto simpatico, ma lo è pure Adeline, che finge di disapprovarne gli interrogatori poco ortodossi a casa sua, davanti a un'araba teiera di tè.
Vedremo come proseguiranno le storie: da quel che ho capito, comunque, il telefilm è molto apprezzato anche in patria. E meno male, visti i tempi non proprio rassicuranti.

Cherif è il mio preferito, ma nel palinsesto di Giallo e Top Crime (w il digitale terrestre per chi non ha Sky e non ha voglia di pagare ulteriori denari per lo streaming) ci sono anche altri serial degni di nota.

Interessante è, per esempio, Falco, tutti i giovedì su Top Crime, remake di Last Cop, il telefilm tedesco incentrato sul ritorno alla vita del poliziotto Mick Brisgau dopo vent'anni di coma.
L'idea è la stessa, dicevo, ma il tenore della narrazione è decisamente più drammatico. Anche in questo caso siamo in Francia, però a Parigi, e anche qui c'è un mistero su chi abbia sparato al nostro eroe, facendolo restare tra la vita e la morte per troppo tempo.

L'attore che interpreta il redivivo si chiama Sagamore Stevenin (classe 1974), tipo minuto, faccia sveglia, il collega amico (come nell'equivalente tedesco) si chiama Clement Manuel, ed è un ragazzone un po' imbranato con le donne, che credo crescerà nelle puntate che devo ancora vedere.

L'atmosfera è più cupa, si sorride poco, ma più vado avanti e più l'apprezzo.

Simile, ma se possibile con sfumature ancora più grigie, è l'effetto che mi fa Missing Persons Unit - Mpu, serial di origine belga che va in onda su Giallo il mercoledì, in cui si torna alla squadra di più poliziotti guidati da un capo carismatico. Man mano, si capiranno meglio i profili psicologici dei singoli protagonisti, ma è chiaro che tutti hanno qualcosa che li tormenta. Mi attrae la complessità delle trame, ma se dovessi raccontarvene una nei dettagli, mi perderei. Il che significa (almeno credo) che in questo telefilm conta assai più il mezzo (la visione d'insieme) del messaggio (la singola trama in svolgimento).

Pur intrigandomi le storie europee, concludo questa carrellata sulle serate televisive della sottoscritta con due serial per eccellenza made in Usa, non foss'altro perché ne ho visto la maggior parte delle puntate per via del gran numero delle repliche che ne hanno dato in questi anni sia su Giallo sia su Top Crime.

Sto parlando di Law and Order-vittime speciali, da una parte, ma soprattutto di Law and Order-Criminal Intent.

La detective Olivia Benson, alias Mariska Hargitay (ho appena letto che è una delle figlie di Jane Mansfield!) interpreta il suo ruolo di detective assegnato a orribili casi di violenza sessuale con una sensibilità molto femminile e una serietà da fuoriclasse del ciak. E' anche vero che si cala nei panni della poliziotta dal 1999; però, niente da dire, gli attori americani sanno il fatto loro, qualunque cosa stiano recitando.

Un vero gigante è, a questo proposito, Vincent D'Onofrio, il detective Robert Goren sulla scena, il primo protagonista di Criminal Intent, con accanto la piccolina più cattiva che c'è, ossia Katherine Erbe, alias Alexandra Eams, sua partner e amica.
Da quel che so, il grosso e alto attore si è ammalato proprio durante le riprese del telefilm, dopodiché, pian piano, ne è uscito e ha fatto molto altro: di origine italiana, ha una mobilità sgangherata, da doctor House, che lo rende estremamente affascinante, pur essendo precocemente invecchiato e via via sempre più appesantito. Un talento del genere, era difficile da rimpiazzare e credo che ne abbia sofferto anche la sua partner di scena, secondo me molto affiatata con D'Onofrio anche fuori dal set.

E infatti, in contemporanea con l'ultimo periodo di D'Onofrio (al quale era stato imposto di girare al massimo dieci episodi all'anno) e la piccina attrice, sono arrivati, prima Chris Noth (il "Mister Big" di Sex and the City) e Annabella Sciorra (in scena noti come Mike Logan e Carolyn Barek, poi sostituita da Alicia Witt, alias Nola Falacci) e alla fine Jeff Goldblum e Saffron Burrows, ossia i detective Zach Nichols e Serena Stevens, i cui episodi (godibili: Goldblum rende bene il tipo goffo ma geniale) sono in onda in questo periodo il sabato sera.

Con gli ultimi due attori, nel 2011 si chiude il telefilm, che stando a Wikipedia, aveva perso ascolti dopo l'uscita del cast storico. La produzione vuole però dare il commiato finale proprio con D'Onofrio ed Erbe: degli ultimi otto episodi trasmessi in Usa nel giugno del 2011 temo non vi sia traccia in Italia. Almeno non su Topcrime che a breve ricomincerà di nuovo dal primo episodio, Robert Goren ancora magro, e Alex Eams con un visino da ragazza.

A personaggi visti e rivisti come loro finisci per affezionarti, quasi fossero amici di famiglia. Un po' come Colombo, uno dei miti di Cherif, che, a proposito, stanno rimandando per la stramilionesima volta.

Mi dispiace un po' di essermi persa le serie tv del momento (da House of cards a Newsroom ad altre di cui ignoro persino i nomi), però che ci vuoi fare? Prima o poi si troveranno senza troppi magheggi da smanettoni.
Nel frattempo, quando proprio non ne avrò proprio più dell'ennesima replica, posso sempre fare qualcos'altro.
Leggere, magari.
Vivere ancora di più.

E voi?
Buone prime, seconde terze etc etc visioni, amici di Madamatap.