Alla fine ne ho avvistato uno. Era nero, grigio e rosso, con un bel corpaccione.
Nonostante i lunghi giorni di maltempo e l'impalcatura invadente, quando l'ho notato stava saltando sul ramo di uno degli alberi su cui, immagino per anni, lui e i suoi simili hanno continuato a costruire le loro tane.
Ho scoperto come sia fatto un picchio qui a Vienna. Prima, non ne avevo mai visto uno così da vicino.
Ricordo di averne parlato su Facebook, una volta. Anzi: devo averlo fatto direttamente poche ore dopo la scoperta, conoscendomi. In fondo, mi piace condividere le belle notizie, come si dice in gergo social #cosebelle. Chissà se esiste davvero quest'hashtag o se me lo sono solo sognato.
Ricordo di averne parlato su Facebook, una volta. Anzi: devo averlo fatto direttamente poche ore dopo la scoperta, conoscendomi. In fondo, mi piace condividere le belle notizie, come si dice in gergo social #cosebelle. Chissà se esiste davvero quest'hashtag o se me lo sono solo sognato.
Ho vissuto come in un sogno per quasi tre anni.
Potrei dire in una specie di incubo, ma, sforzandomi di restare social (#thinkpositive), diciamo che qui a Vienna ho passato mesi più pesanti e altri più leggeri.
Ricordo con piacere i primi giorni in hotel e le gite sul lago con i miei giovani colleghi. Nonostante le delusioni successive, professionali soprattutto, capisco solo adesso, al risveglio da questo lungo sonno agitato, che, di meglio, loro, per me, non potevano fare.
Sarà per questo che ogni tanto ne sogno uno o me li vedo lì tutti insieme, garruli e felici.
Solo su quelli più adulti tra loro faccio sogni meno lusinghieri, ad eccezione dello speaker di mezza età risposato con un'affascinante coetanea di origine moldava che non mi appare mai. Evidentemente, nonostante tutto il tempo passato dall'ultima volta che li ho visti, non riesco a farci del tutto pace.
Un giorno non lontano ci riuscirò, però. Adesso ne sono sicura.
Mi basterà chiudere per l'ultima volta la porta di casa, con i gatti (urlanti) al seguito e riprendere la via del mare.
Stavo per scrivere "vita" anziché "via". Un bel lapsus, degno dei concittadini di Sigmund. A proposito di Freud, mi sovviene in questo istante un ricordo cretino, di quelli che tiro fuori dal cilindro quando voglio sdrammatizzare.
Le mie coinquiline dell'università avevano scritto un biglietto con una frase firmata "S. Freud". Non rammento assolutamente se fosse indirizzato a me o se me l'avessero solo mostrato. Fatto sta che io ne ho letto il contenuto a voce alta finché, arrivata alla firma, non avendo idea che cosa fosse quella S puntata, ho detto: "San Freud". Giù risate.
Santo Freud mi sta proteggendo anche adesso, credo.
La madre è causa e origine di ogni cosa, anche se per le femmine dovrebbe valere di più il complesso di Elettra. E infatti, molto presto, dal padre, almeno in visita, tornerò.
Dalla madre, invece, mi sono dovuta separare ormai quasi sette anni fa, il 7 giugno di una giornata di quasi estate, dopo la strana invasione di vespe sul balcone di casa e altri presagi meno divini, successi più o meno un mese prima.
Al dolore per il distacco, all'epoca non so quanto davvero percepito come imminente, si mischiava anche una grande energia vitale, mia, di mia sorella, di mio marito e mio padre.
Tutti insieme l'avevamo accompagnata all'ospedale di Terni, per un intervento che ci avevano presentato, o forse eravamo noi che ci eravamo convinti che lo fosse, come risolutore.
La sera abbiamo mangiato in una pizzeria piuttosto anonima, di quelle che, probabilmente, avremmo scelto durante una vacanza di famiglia. Bisognava mantenersi calmi e, per riuscirci, probabilmente abbiamo parlato di inezie per tutto il tempo. L'animo meridionale sa essere anche molto compassato, quando vuole. O almeno: nella mia famiglia siamo melodrammatici solo in brevi, topici, momenti. Tutto il resto del tempo, dissimuliamo, sorridendo anche un po'.
Il sole al ritorno picchiava parecchio e la vecchia Micra nera di mio marito di certo non lo schermava. Con la mano attaccata alla maniglia in alto dello sportello, la mamma non ha detto neanche una parola. Era seduta davanti, io vedevo la sua schiena incassata nel giaccone scuro. Non so come facesse a resistere.
Accanto a me doveva esserci papà, ma io non lo vedo, in questo momento. Anche lui, evidentemente, stava zitto. Parlava per noi il rumore del motore.
Di certo temevamo che quella vecchia macchina potesse lasciarci a piedi, forse evitavamo quasi di respirare perché ci portasse a destinazione.
Molti anni prima i miei avevano percorso quel valico appenninico, quel bellissimo valico tra l'Umbria e le Marche che avevo fatto molte volte pure io a bordo del pullman che mi portava a Firenze, per venire alla mia laurea. Nevicava. Papà l'aveva presa piuttosto male.
Come primo regalo, mia mamma mi aveva portato un bongo africano. Ce l'ho ancora adesso: l'ho usato nella mia casa di Porto San Giorgio come porta - lampada. Ora è in soffitta, in mezzo ai mobili da rimettere al loro posto, non appena torniamo.
Il sogno, a tratti più simile a un incubo, dicevo, sta infatti per chiudersi.
Con lui, anche le lacrime versate pregando per il meglio, stanno per esaurirsi. Finalmente.
Mi manca moltissimo mia madre, mi è mancata da pazzi la mia casa, i miei ricordi, la mia famiglia. Poco fa mi ha chiamato papà per farmi gli auguri per la festa della mamma.
Caro, tenerissimo papà, io non sono una mamma, ma ti ringrazio per gli auguri. Ho avuto una mamma speciale, che forse un po' mi ha reso comunque madre, creatrice di parole, almeno.
Dentro di me lei vive sicuramente e a mia volta io penso di essere rimasta in parte nel suo utero, per proteggermi da un mondo che, senza confessarmelo mai apertamente, mi è sembrato spesso troppo grande e ostile.
Eppure ho vissuto, come tutti. Con me porto la sua forza e il suo amore, quando mi ha spinta ad andare a laurearmi, per esempio, o quando, viceversa, mi ha rimproverato con asprezza per qualche mio comportamento che trovava sbagliato.
Non sono perfetta, cara mamma, non lo eri anche tu, ed è meraviglioso sentirti ancora più vicina proprio per questo.
A te dedico queste parole, nel giorno della tua festa.
A me non resta che tornare.
E ricominciare da dove ero rimasta.
Ridendo anche un po'.
che bella la tua capacità del RICORDARE, che è una delle grandi risorse della nostra personalità. Leggo che c'è il ritorno a mare. Quanti cambiamenti nella tue e vostra vita! Il tuo blog mi fa sentire viva la vicinanza con te
RispondiEliminaEh sì, caro Paolo, abbiamo deciso di tornare in Italia: troppo forte la nostalgia e sempre più chiaro in tutti e due quanto bello sia il nostro Paese e accogliente la nostra casa. Sono certa che d'ora in avanti andrà davvero tutto bene, senza illusioni e retorica. Un abbraccio affettuoso e speriamo a presto, magari anche dal vivo!!
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