venerdì 30 marzo 2012

Caro Mario ti scrivo

Anche i big scrivono lettere, soprattutto nei giorni di relax. E' successo a Mario Monti alle prese con la missione cino-giapponese, che ieri, bontà sua, prendendosi una giusta giornata di pausa, ci ha voluto spiegare che cosa intendesse dire quando ha detto che gli italiani hanno più fiducia in lui che nei partiti.
Anche volendo, come voglio, evitare i talk e le trasmissioni radiofoniche che parlano di suicidio (ieri, salendo in auto, sono stata accolta dal funereo tema di un programma di Radiotre. Ho subito ripiegato su Billie Holiday: la malinconia è una cosa, la disperazione un'altra), è inevitabile che ogni tanto incappi nell'attualità. 
E tuttavia, essendo questo spazio mio e solo mio, preferisco affrontarla da un collaterale punto di vista. 
La premessa è: caro MarioBros, la sfiducia della parte onesta del Paese va ben oltre l'impietoso (impietosissimo) giudizio sull'intero sistema partitico nazionale. Ti spiego perché (e scusami per il tu, ma se Luca Sofri saluta con un ciao il suo pubblico, pure io, che parlo da me a me, posso permettermi un tono amichevole).
La diffidenza nutrita da quelli che pagano tasse, canoni di locazione, contributi, tessere di circoli, iscrizioni alla palestra, bollette, benzina etc etc fino all'ultimo centesimo e puntuali neanche se fossimo in Svizzera si estende a quasi tutta la classe dirigente italiana, della quale, ebbene sì, fai parte anche tu, superministro tecnico.
E sai perché, pur dandoti ancora qualche speranza (più che altro per non perderla io del tutto), non siamo convinti che tu sia poi così diverso dagli esponenti dei fritti partiti che hai giustamente bacchettato?
Perché hai cominciato il tuo mandato rivolgendoti sempre ai soliti, tracciabili fino al midollo osseo, che non sarebbero capaci di rubare neanche una caramella.
Ieri mattina ero in un negozio e aspettavo oziosamente che la mia amica finisse di chiedere informazioni. A un certo punto, tra un'occhiata distratta e l'altra agli oggetti esposti, sono stata attratta dalla conversazione che si stava svolgendo tra l'altro negoziante e un omino anziano. Parlavano di ristrutturare il locale, anche se l'ho capito solo dopo. "Senti - diceva il vecchietto - s'ho costruito una palazzina abusiva... ci s'ho ricavatu tre appartamendi... vuoi che c'abbia paura de fà du colonne?".
Eccoli qua gli italiani. Quelli in cui io non mi riconosco affatto, gli stessi che, poi, molto probabilmente, non hanno mai saltato neanche un'elezione. Ma sai qual è il problema, caro professore? E' che queste persone non hanno del tutto torto: se non c'è nessuno che li controlla, che li multa non appena mettano in moto la betoniera per costruire o raddoppiare volumetrie in posti chiaramente inadatti allo scopo, continueranno a mangiarsi suolo in tutta tranquillità, convinti, magari, di essere dei benefattori perché loro sì che danno lavoro ai "muratò" e fanno "girà" l'economia.
E sai quel che più mi spaventa, Mariuccio? E' che se arriveranno davvero i cinesi e gli indiani con i loro denari, questo Paese così culturalmente arretrato finirà per essere sommerso da un infinito blob di cemento in nome della crescita e della ripresa.
Senza una visione non si va da nessuna parte. Neanche tu e i tuoi ministri piangenti e insieme sprezzanti  del destino di chi vorrebbe ancora averne uno non proprio buio. Di chi paga (e fa sacrifici, eccome) tutto fino alla fine, ma che comincia a essere stanco di non avere nulla, ma proprio nulla, in cambio.
Concludo, comunque, con la solita nota positiva: i platani hanno cominciato a rimettere le foglie e gli ippocastani sono di nuovo molto verdi. L'acqua del mare, ieri, era limpidissima e tra poco torneranno le rondini. Torna anche tu in patria e, per favore, da' un'occhiata anche tu al paesaggio italiano e aiutaci a difenderlo dai barbari, interni ed esterni.

mercoledì 28 marzo 2012

"Fare giornalismo": what does it mean?



Sfaccendato-man è una vera miniera di informazioni. Sulle ultime tendenze del mondo del lavoro ne sa davvero assai più di me. Giusto ieri gli è arrivata questa inserzione, che riporto pari pari di seguito:

"Il compito del Redattore è quello di aprire un giornale on-line gestito in piena autonomia redazionale e commerciale ed inserito in un network il cui centro direzionale è Senigallia. 
Il vantaggio di far parte di un network sono molteplici (legale, tecnologico, know how, burocratico, logistico, di avviamento, ecc). Contratto quadriennale ed impegno minimo di almeno di due anni.Servizi offerti: Set-up grafico, affiancamento editoriale, affiancamento nell'accreditamento; Servizi compresi nel canone mensile: server, banda, domino ed email; piattaforma ed aggiornamenti; archivio fotografico; consulenza legale su articoli e commenti; assistenza editoriale e tecnica".


E fin qui potrebbe sembrare quasi (quasi) allettante, anche perché, di questi tempi, chi è che ti offre un contratto quadriennale (minimo)? 
L'entusiasmo scema però subito subito, leggendo le competenze richieste. Eccole:

"Titolo di studio: diploma di maturità" (e vabbè: quanti giornalisti non hanno la laurea? Di certo non è una discriminante, considerato poi quanto inutile sia il pezzo di carta accademico per chi ha frequentato facoltà umanistiche);

"Esperienza minima: non richiesta" (ah! quindi prendete anche i pivelli? gli fate fare il praticantato? Ottimo! Mmmh, mi sa che non è così...);

Requisiti minimi: (qui viene il bello) "Persona che ama fare giornalismo, curioso, attento alle vicende della sua città, capace di interpretare i fenomeni, di saperli documentare e che sappia scrivere bene; discreto e non invadente, gentile e desideroso di crescere nella professione di giornalista anche on-line. Buona dimestichezza con gli strumenti informatici e il web grazie ai quali riesca a creare relazioni e collaborazioni; anima commerciale ed intraprendente nel vendere spazi pubblicitari; capacità di lavorare in team."


Ora, pur ben sapendo che non esistono solo i grandi media e che soprattutto non tutti hanno la possibilità di accedervi per uno stage, un contrattino o per una gita con la classe, temo che nel suddetto annuncio vi sia più di un elemento di oscurità. 
Qualcuno mi saprebbe spiegare che cosa significa, concretamente, "amar fare giornalismo" e al contempo essere "discreto e non invadente, gentile e generoso di crescere nella professione"? 
In particolare, m'inquieta assai l'ultimo aggettivo: la generosità è sicuramente una bella dote, ma nello specifico che cosa implica? Qualcosa mi dice che la suddetta debba esercitarsi nei confronti del proprio datore di lavoro e della busta paga ricevuta in cambio.
Mi sbaglio? 
Stavolta non ho voglia, ma sto meditando seriamente di cominciare a candidarmi a questi annunci e di vedere come va a finire. Sempre che mi chiamino, perché, per esperienze pregresse, qualcosa mi dice che verrò scartata in partenza. Probabilmente non mi riterrebbero sufficientemente gentile e discreta. E poi, lo ammetto, pur essendo bastevolmente intraprendente, non ho un'anima molto commerciale. 

A quest'ultimo proposito: capisco che le piccole realtà editoriali debbano arrabbattarsi come possono. 
Però niente mi toglie dalla testa che scrivere pezzi "gentili" e andare a caccia di pubblicità allo stesso tempo (magari presso gli stessi soggetti su cui si è scritto) crei piccoli, ma in realtà grandi, conflitti d'interesse.

Succede in continuazione, lo so benissimo, come sono consapevole anche del fatto che pure nei grandi gruppi editoriali i giornalisti debbano sottostare tutti i giorni alle leggi del proprio editore-padre padrone.
Cioè: se muore Doro Della Valle, è ovvio che tutti i media, ma proprio tutti, debbano, non solo darne la notizia (che comunque è tale in ogni caso), ma anche, se possibile, tesserne l'elogio funebre.
Poi, magari, la pagina dopo c'è una bella scarpa del noto marchio di Casette d'Ete.
Insomma, il conflitto d'interesse non ce l'ha solo Berlusconi, ma un bel discreto numero di persone.

Però, per chi lavora nei giornali più importanti, almeno, c'è qualche tutela in più (ancora per un po', almeno) in caso di pezzo un po' più invadente o di qualche improvvisa alzata di orgoglio contro lo strapotere degli inserzionisti.
Nelle piccole realtà, invece, si rischia di ritrovarsi fuori dalle balle ben prima che scada il contratto sottoscritto (già un lusso piuttosto raro), sia per la paga da fame (si aprono scommesse in merito) sia perché si è risultati in poco tempo sgraditi a qualche politicante locale che magari ha pure la fabbrichetta di materiale edile che ha sponsorizzato il sito, il giornale o quel che era.

Oppure, semplicemente, accade un'altra cosa: il team intraprendente in cui si era avuta la fortuna di essere annoverati, dall'oggi al domani, puff, sparisce nel vuoto, perché l'imprenditore di turno si accorge che non ha più i denari per l'attività. No sponsor no sito (né giornale, newsletter etc etc). 

Che fine faranno i valenti redattori ingaggiati? Beh, se sono giovani giovani (come penso siano nella maggior parte dei casi), transiteranno in qualche altra magnifica realtà editoriale. Se sono più grandicelli, invece, dovranno augurarsi di aver, almeno, imparato qualche cosa. Che cosa? 
Prima di tutto a non fidarsi di annunci scritti così male. 
In secondo luogo, a cambiare mestiere, finché sono in tempo.

Se invece niente, insistono perché sentono di avere davvero il sacro fuoco di Montanelli, conviene che si armino di coraggio e prendano a battere porte un po' meno periferiche.
Sperando, come mi disse una volta un caporedattore di un grande giornale ormai perso di vista (ahimè) di avere una zia che li possa ospitare mentre fanno (discretamente e gentilmente) la fame come freelance e/o affini.

Un'ultima strada, infine, c'è: dopo un discreto numero di porte in faccia e di pezzi scritti (letti, montati etc etc), chi può dovrebbe chiedere alla suddetta zia un piccolo gruzzolo e usarlo per mettere in piedi da soli, senza improbabili editori alle spalle, un team di persone volenterose, capaci e con ruoli ben precisi e differenziati (chi scrive NON PUO' fare anche l'agente! Al limite giusto il direttore può trattare con gli inserzionisti, guardandosi bene dal parlarne nei propri editoriali, soprattutto non in maniera elogiativa) e tentare di reinventarsi questo lavoro, tuttora affascinante per chi abbia davvero curiosità e capacità di interpretare il mondo.

Se potessi, sarebbe proprio questo quello che farei.
E' solo un sogno?
Beh, se lo fosse, è già un segnale che sono ancora viva. E lotto ancora, anche se in un presente sempre meno limpido.
E voi come state?














 

lunedì 26 marzo 2012

L'utilità delle agggenzie interinali


Tempo fa un amico dello "sfaccendato man" (da quest'ultimo oramai rigettato) ebbe a dirgli: "Ma 'ste agggenzie interinali? Nella mia fabbrica ne arrivano tanti da lì". Sfaccendato-man, ovviamente, non poteva prendere bene questa osservazione, dal momento che il giro nelle suddette agenzie interinali l'aveva fatto eccome, ripetendolo, peraltro, periodicamente, più per tacitare la coscienza che riponendovi reale fiducia. Si dice che non bisognerebbe tirarsela da sé, che non c'è niente di peggio di una profezia che si auto-avvera; in ogni caso, la realtà è questa: le agggenzie interinali per un uomo neo43enne che non ha mai fatto l'operaio non servono a nulla.
O meglio: a qualcosa servono.
Il bigliettino da visita della Manpower, cartonato e duretto, è un'ottima zeppa per la gamba del comodino di sfaccendato-man che balla un po'. Soltanto, bisogna ricordarsi di rinfilarlo quando, per spazzare meglio, si sposta "il mobile vecchio" (cit da una mia conoscenza, che ha apostrofato in questo modo la mobilia della nostra camera da letto. E dire che ero così orgogliosa di mostrarle il letto della nonna. Ah, questi spiriti pratici e così poco poetici): altrimenti, c'è il rischio che la gattina lo intercetti e cominci a giocarci. E trovare un sostituto della così preziosa zeppa non è facile.
Oddio, di recente "Sfaccendato" è tornato in un'altra agenzia (da cui è stato omaggiato di un nuovo, cartonatissimo, biglietto da visita) suggeritagli stavolta da un giovane politicante . Com'è andata a finire? Si sono presi i suoi dati e l'hanno congedato. Da allora sono passate già due settimane,  invano. E dire che Sfaccendata aveva suggerito al suo consorte di approfittare della gita in quella zona della città per andare a cercare il deposito di un noto produttore locale di pipe. Peccato che Sfaccendato sia dovuto correre via il più in fretta possibile, tormentato da un fortissimo bisogno di urinare. "Non potevi chiedere se avevano un bagno?", gli ha chiesto Sfaccendata, "almeno a qualcosa ti sarebbero stati utili".
Mai confondere bisogni fisici (fisiologici) con altri più elevati.
Qualche giorno dopo l'inutile incursione, le agggenzie si sono però fatte vive con Sfaccendato. Finalmente, direte voi. Perché non ve ne ho detto ancora la ragione. Avendo, il nostro, compiuto gli anni, molto carinamente ha ricevuto gli auguri via email, un po' come fa anche il bancomat, ogni volta che risucchia (non metaforicamente) il nostro bancomat e il relativo Pin. "Buongiorno, XXXXX, e buon compleanno": che cortese la tecnologia.
E in ogni caso, per riprendersi dall'ennesima botta depressiva, nei giorni scorsi Sfaccendato e Sfaccendata si sono concessi una benefica giornata di gita e altre piccole escursioni naturalistiche. E sapete che vi dico? E' una tecnica che funziona. Almeno, finché la benzina non toccherà i tre euro. Ma restano sempre le gambe. E camminare è un ottimo allenamento contro le crepe del cuore. Parola di Sfaccendata. Augh.

Ps La foto è stata scattata dalla Sfaccendata in uno degli ultimi giri anti-blue: mi piace molto il nome del partito scelto dall'autore della scritta. Chissà perché.

Monologhi allo specchio


Sono stata una grande attrice.
Veramente. Fatevelo dire dalla maestra Filomena (sempre che rammenti bene il suo nome): sul palcoscenico mi sentivo a mio agio e mi divertivo moltissimo nei panni della figliola che racconta la sua giornata ai genitori, davanti a un piatto fumante di qualche cosa ("abbiamo mangiato veramente", ho scritto nell'album dedicato a me e alla mia famiglia che la maestra mi fece realizzare credo in quinta elementare).
La magia è durata però fino verso ai cinque anni, quando mi sono fatta improvvisamente timida. Ho ancora negli occhi l'immagine di me impalata davanti al pubblico dei genitori, non più in grado di assecondare l'emissione della mia vocetta, via via sempre più flebile, con i movimenti del corpo.
Mi ci sono voluti anni (e anni) per liberarmi dalla goffaggine. Sempre ammesso di esserci riuscita davvero.
Ricordo ancora la canzone "zingarella" eseguita pateticamente in terza elementare e le tournée con il coro parrocchiale, chiamato "minicol" (chissà perché con la elle, e non con la erre), in cui, mi diceva mia madre, cantavo a squarciagola. Mescolata nel gruppo, mi scateno. Ancora oggi è così. Da sola tendo alla tragedia, in compagnia faccio il giullare.
A quest'ultimo proposito, mi è tornato in mente un episodio della mia adolescenza giusto qualche giorno fa, dopo aver intervistato l'immensa Franca Valeri. Proprio in fondo, la signora del teatro consiglia, a chi abbia davvero voglia di confrontarsi con i grandi, di leggere Ovidio, Dante e Shakespeare. Beh, qui posso dirlo con orgoglio: il drammaturgo britannico era pane per i miei denti quando avevo quattordici-quindici anni. Mi rivedo in particolare sprofondata nel librone rilegato come una bibbia dal Club degli editori a leggere le avventure di Riccardo Terzo, Re Lear e Amleto.
Soprattutto, mi è tornata in mente quella volta in cui, davanti allo specchio del mio armadio, accovacciata per terra, mi sono messa a declamare il monologo disperato di Ofelia, ripetendolo più volte per cercare di mandarlo a memoria. Almeno, penso si trattasse di questo importante personaggio, perché sono certa di essere stata fissata anche con "il mio regno per un cavallo" e per il celebre elogio di Antonio per l'appena defunto Giulio Cesare, nonché, naturalmente, per "essere o non essere, questo è il problema".
Perché declamare Shakespeare in quella maniera? Perché avevo partecipato, per la prima volta nella mia vita, a un reading tenuto da veri attori professionisti, rimanendone fulminata.
Negli anni, mi è capitato più volte di risperimentare l'emozione del palcoscenico e di saggiarne la scomodità (il pavimento è eccezionalmente inclinato in alcuni teatri), ma mai più, credo, ho avuto modo di ritrovare la passione così immediata e così segreta di quel pomeriggio solitario trascorso a fissarmi nello specchio, tentando di modulare la voce come avevo visto fare dall'attrice poco prima.
Ovviamente, dimenticavo di specificare, quel giorno ero sola in casa: mi sarei vergognata troppo di farmi vedere dai genitori. Mia sorella, penso, era già via per l'università. Se fosse stata presente, infatti, sarebbe finita sicuramente in farsa. Ci siamo sempre bonariamente derise l'una con l'altra, allenandoci alla sottile arte del non prendersi troppo sul serio, da una parte; coltivando, dall'altra, forse un po' troppo fortemente il dubbio sui nostri talenti. E pazienza.
Diventare adulti significa ritrovarsi in altri specchi e guardarsi per quello che si è, senza eccessi nella critica e nelle lodi.
Sono sicura, per dire, che quella passione adolescenziale non sia sparita del tutto. Si è solo trasformata, diventando un pezzo della mia identità, chiunque io sia diventata oggi.
Oltre a Shakespeare, amavo moltissimo anche Pirandello, in particolare nel primo anno di liceo. Di lui non potrò mai dimenticare "Uno, nessuno e centomila", una lettura che la prof del ginnasio mi consigliò di rimandare ad anni più maturi, temendo che affrontarla allora avrebbe potuto ulteriormente minare la mia personalità-puzzle. Com'è andata a finire? Che io, una volta adulta, non sono più riuscita a leggerlo: non appena lo cominciavo, mi prendeva un'angoscia mista a noia davvero strana. In generale, non ho più aperto un libro dello scrittore siciliano, perché tutte le volte che ci ho provato, l'ho trovato fastidiosamente contorto.
Forse aveva ragione la mia prof, o forse il rigetto è stato causato proprio dal mio desiderio neanche troppo inconscio di fare fuori i paranoici dal parco-autori-di riferimento, onde evitare di alimentare la confusione ancora troppo presente, nonostante gli anni accumulati sulla faccia.
Giusto ieri osservavo le mie rughette un po' meno leggere sulla fronte: la prossima volta, mentre lo faccio (naturalmente in assenza di occhi indiscreti: i gatti non fiateranno), provo a declamare qualcosa.
Così è la volta buona che chiamo la neuro.
O più semplicemente sorrido, mi trucco un po' e vado a godermi il sole.
L'inverno del nostro scontento può attendere. Ancora un po'. 

giovedì 22 marzo 2012

Fisica o chimica/5: un passo avanti e tre indietro...



Come previsto, la vicenda di Fisica o chimica è finita a tarallucci e vino. Come hanno risolto il problema della scabrosità dei temi affrontati nel porno-telefilm? Spostandolo dalle 13.45 circa alle 14.15 ancora più trattabili e, udite udite, tornando indietro alle puntate in cui compare Quino, forse per dare la possibilità a Lorenza Lei e alla gerarchia cattolica di vedere come viene trattato un giovincello sposato con Maria Vergine fino al futuro (per me già passato, visto che l'hanno già mandato in onda) sodalizio con la seduttrice Alma (in alto, nella foto), una novella Eva con stivaletti borchiati.
Alla fine, insomma, ce l'hanno fatta a costringermi a uno stravolgimento delle mie abitudini quotidiane. Sempre ammesso che, prima o poi, si ricongiungano con le puntate che non abbiamo ancora visto, intendo io e gli altri (ma quanti saremo? Secondo me pochissimi, Borgonovo compreso) pruriginosi telespettatori che fino a lunedì scorso si radunavano davanti alla tv per guardare il piccolo telefilm (Feltri, dando il più che giustificato Bamba a Freccero, l'ha però chiamato genericamente programma, dimostrando di non sapere minimamente che roba fosse, come quasi tutti i protagonisti di questa surreale e minima guerra di religione sul servizio pubblico che non c'è).
Tant'è: domenica cambia l'ora, l'aria dovrebbe presto farsi anche più calda. Chi ha bisogno di Fisica o chimica per distrarsi, soprattutto in un posto di mare come quello in cui ho la fortuna di abitare?
Vorrà dire che me ne andrò a leggere il giornale o ad ascoltare la musica al sole, alla faccia della crisi e di tutte le ansie della quotidianità.
Però voglio ancora una volta dire grazie alla nostra consorella Spagna per aver dato voce all'adolescenza e alla prima età adulta strizzando, certamente, l'occhio a ormoni e sponsor, ma illuminandola anche di una freschezza del tutto sconosciuta alla maggioranza delle trasmissioni (telefilm, talk, show etc etc) di casa nostra, che vadano o non vadano in onda sulla Rai.
Un segno dei tempi? Meglio non dirlo. Sennò lo spread rischizza alle stelle. 

martedì 20 marzo 2012

Come nasce una rubrica



Buongiorno a voi,
ci presentiamo. Siamo quelli che al mattino si svegliano tra le otto e un quarto e le nove (lui pure prima, ma aspetta lei per mettere sul fuoco la moka da tre tazze), che ascoltano un po' di radio (lei) e di tv (lui) per riprendere consapevolezza che sì, è proprio questo il tempo in cui vivono, che passano un'oretta tra pulizia delle lettiere e della cucina e la stesura (eventuale) del bucato, prima di. Prima di cominciare un'altra, più o meno, identica giornata. Improduttiva? Forse. Per la Confindustria sicuramente; per un monaco Zen fin troppo attiva, probabilmente. Chi è svelto a magnà è svelto a lavurà, hanno insegnato a lui, nato e diventato adolescente nel Nord; Chi tè lu celle in mane e ni li spiume, na ripasse cchiù che la furtune, hanno spiegato a lei, negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza trascorsi in una piccola città del Sud.
La furtune o il laùro non convivono abitualmente, nella panoramica abitazione nido d'amore, d'affetto, di risa e di malinconie, con i suddetti lui e lei.
Non che non abbiano mai laurato o che non provino, tutti i giorni, a guardarsi intorno per capire come (e quando. Già, quando?) cambiare la loro situazione.
Lui e lei hanno percorsi scolastici e professionali completamente diversi, ma comune è la sensazione di non essere granché utili al mercato del lavoro attuale, per sforati limiti d'età, per mancanza di sgravi fiscali, per lontananza dalle città più creative e per paranoie varie, che finiscono per aggrovigliare ancora di più la loro già complicata situazione.
Però si alzano presto e si mettono davanti al pc: lui è aggiornatissimo sull'attualità. Volendo, potrebbe tenerla lui Prima Pagina. Lei, invece, comincia guardando la posta elettronica, Facebook e i suoi blog, sperando in qualche inedita novità. Non ce n'è quasi mai, ma quelle poche volte che le capita si illumina come una bambina cui abbiano regalato una bambola nuova.
Dopodiché si fanno le undici, undici e mezzo e, teoricamente, sarebbe il momento per cominciare a fare sul serio. Che cosa? Mandare curricula, sondare nuovi contatti, rinverdire i vecchi, etc etc.
Regolarmente, invece, accade un'altra cosa. Lui si veste ed esce: di solito va a trovare l'anziana madre.
Lei, in base ai giorni della settimana, a volte si infila le scarpe da tennis (sotto la vecchia tuta da casa: ne ha diversi esempi) e va a buttare la spazzatura differenziata oppure il giornale o compie tutte e due le azioni.
In altri casi, si limita a rifare il letto, dà un'occhiata fuori o controlla in che stato sono le sue sopracciglia e pelurie varie.
S'arriva presto a ora di pranzo: lui e lei si alternano ai fornelli. Poi caffè, lavaggio piatti, telefilm (lei), tg o film minori (lui) sull'altro apparecchio.
Al pomeriggio: idem, tutti e due al pc.
Lei posta elettronica, Facebook, blog, lui notizie, video musicali e altro (compreso il monitoraggio email, in genere poco fruttuoso).
Finalmente arrivano le sette meno un quarto, se sono lunedì o giovedì  (il martedì, per fortuna, un'ora prima) e lei può andare in palestra, un luogo che più di una volta le ha salvato la giornata.
Lui, invece, resta a casa o va a trovare l'anziana madre, oppure riesce a fare entrambe le cose. Spesso si ferma al supermercato e fa un po' di spesa, senza mai dimenticare i gatti. Ultimamente ha introdotto i vini in cartoccio: pare costino meno. Lei ha storto un po' la bocca, ma poi li ha sorseggiati senza risentirne (salvo ulcera futura).
E finalmente arriva il sabato, ma ancora meglio il venerdì sera, leopardianamente il più leggero della settimana per chi, tutto sommato, non è che si sia consumato granché, almeno non secondo l'imprinting della prima infanzia.
Il sabato, verso sera, è già più cupo, la domenica, tutto sommato, è meno brutta di quando anticipava il ritorno alla routine. Anche se, a dirla tutta, delle abitudini ormai consolidate e degli impegni più o meno fissi ce li hanno anche i qui presenti coniugi Sfaccendati, il nome prescelto per la nascente rubrica su Madamatap, probabile anticipazione di una versione cartacea di certo più breve su un piccolo ma grande giornale fatto da altrettanti industriosi sfaccendati.
Perché farla nascere? Per raccontare con un tono il più possibile non lamentoso (detesto i piagnistei e i piagnoni) il sistema-paese visto dagli occhi di un lui e e una lei appartenenti alla generazione dei cosiddetti "TQ", acronimo banalotto per trenta/quarantenni, a un certo punto espulsi (non per colpa loro) dal posto fisso, peraltro in anni in cui non si parlava ancora di spread, ma si faceva sì che contasse sempre di più.
A chi potrebbe interessare? A tutti coloro che, a ondate, provano atroci sensi di colpa perché non si sentono "dinamici e resilienti" e si affibbiano perciò la responsabilità se il mercato non se li fila più.
Come l'alimenterò? Spezzettando in piccoli flash i momenti salienti della giornata degli Sfaccendati, soffermandomi più su lui o su lei, a seconda degli avvenimenti che, credetemi, capitano comunque anche a chi sta sulla riva a guardare il fiume macina-rifiuti del presente. Sperando di non finirci dentro. Una speranza alimentata proprio dall'uso di queste piccole zavorre in forma di parola.
Vi aspetto.

lunedì 19 marzo 2012

Fisica o chimica/4: ma c'è ancora!


Insomma: mi sono presa un'arrabbiatura per niente.
Oggi Fisica o chimica è andato in onda come al solito, così ho potuto constatare che né Teresa (in alto, nella foto) né tanto meno il ragazzo-padre che l'ha cresciuta dopo la fuga di Olivia, oggi prof e conduttrice di un ménage a trois, sono stati contenti di quest'ultimo. La puntata di oggi, per l'appunto, si è conclusa con un sms del suddetto ragazzo-padre alla originale genitrice in cui le comunica che le impedirà per sempre di vedere la figlia. Ma il per sempre, ormai l'ho capito, durerà fino a domani. Salvo che, nel frattempo, la nemesi annunciata da Porro-Telese e compagnia sabato scorso non si abbatta sul telefilm del (mio) dopo-pranzo relegandolo a orari più consoni secondo Santa Romana Chiesa.
Insomma, oggi ho potuto, come al solito sorridere e piagnucolare davanti alla nascita del bimbo di Paula e Gorka e alla dichiarazione d'amore indù di Cabano alla bella Ruth a poche ore dalla partenza per l'Inghilterra, paese in cui andrà a giocare a pallone (!). Non ho ancora ben capito come si giustifichino certi arditi salti temporali, però anche questo è funzionale al relax che mi attendo nell'oretta e un quarto di visione.
Chicca finale: oggi hanno fatto cantare un po' tutti, dall'attrice che interpreta Paula, che in realtà è una piccola (è alta a occhio come me: la rivincita delle tappe, finalmente) cantante a Marina, la prof di filosofia malata (udite, udite) di Hiv.
Se finirà tutto a tarallucci e vino (parlo del caso "pornorai" sollevato da Borgonovo e rilanciato dall'improvvido Freccero), scoprirò finalmente se Cova, rediviva, si è rimessa con Julio e perché Fer, nel frattempo, è finito sulla sedia a rotelle (in rete circola una versione lenta della sigla sulla sequenza finale della serie, in cui i personaggi superstiti guardano tristemente l'edificio dello Zurbaran dall'esterno: chissà perché).
Per il momento, mi limito a sperare che la Lei o chi per lei (ma che bel gioco di parole, mi faccio i complimenti da sola) si dimentichino dell'inutile polemica e mi facciano spassare ancora po'. Anche perché il presente (il mio, ma anche quello di molti italiani: ieri ho visto l'ultima puntata della stagione di Presa diretta... no comment) non è che sia proprio eccezionale.
Vi terrò (chi?) aggiornati.
Nell'attesa, beccatevi (in basso) il video con la sigla lenta del telefilm (e piangete con me... come diceva Moretti, mi faccio tristezza a me figuriamoci agli altri...):


sabato 17 marzo 2012

Fisica o chimica/3 e la (ridicola) censura di un Paese che non sa più sognare


Sono esterrefatta: per puro caso, ho guardato durante la cena "In onda", un programma ad alta boriosità giornalistica, ancora più evidente da quando non c'è più la bionda tornata da poco in tv in un altro talk show dal quale, naturalmente, mi tengo a debita distanza (mio marito, facendo zapping, ha fatto in tempo a beccarsi un cornacchione svolazzante durante una discussione sulla giustizia; l'infontainment ha scassato le balle già da mò, ma in Italia siamo indietro su tutto, quindi avanti cornacchione. Fino a al prossimo flop).
Così facendo, ho scoperto che Fisica o chimica, il mio telefilm per adolescenti preferito, la mia distrazione quotidiana che in questi ultimi mesi mi ha aiutato a dimenticare per circa un'ora in che merda di paese viviamo, è stato spostato in seconda serata. Non riuscivo a crederci, ed è così che ho ingurgitato un bicchiere in più di frizzantino, nemmeno se fossi stata risucchiata in una vera tragedia.
Il bello è che non sono per niente d'accordo neanche con Carlo Freccero, il vero responsabile dello spostamento del telefilm, ben più dell'articolo dell'educando Francesco Borgonovo di Libero, sguinzagliato forse appositamente dal suo giornale per mettere in croce l'effettivamente debole servizio pubblico nazionale. Borgonovo, com'è giusto che sia, può pensarla come gli pare, anche se, obiettivamente, titolare "pornorai" prendendo spunto da Fisica o chimica è veramente ridicolo. In un paese normale, d'altra parte, sarebbe finito per l'appunto a risate: andiamo, su, non si vede un capezzolo manco per sbaglio né altre appendici ancora più evidenti. Sarà che ho quasi 41 anni (e che dovrei vergognarmi proprio per questo motivo di avere sviluppato una così insana passione per il suddetto telefilm), ma il porno è altro, la volgarità è altra e si vede abitualmente su tutti i canali, rai, mediaset o la7 e loro repliche digitali annesse. Basti pensare ai telefilm violenti, necrofili, o alle ancora più raccapriccianti trasmissioni-verità (non parliamo delle fiction made in Italy, quasi tutte recitate in modo penoso, come ho già avuto modo di sottolineare, una vera offesa al gusto, assai più di un bmovie degli anni Ottanta).
Ma insomma: c'era bisogno di minacciare di mandare i forconi sotto la redazione dei finti (furbeschi) bigotti? C'era davvero così tanta necessità di gridare alla censura per un articolo di un cronista noto solo ai lettori del suo giornale? Perché cadere in un tranello così idiota? Forse c'è dell'altro che noi comuni cittadini (e telespettatori) non vediamo? Forse, Freccero, ti stavano per fare le scarpe comunque, dal momento che le creature che tu hai sponsorizzato e fatto crescere (Santoro, Dandini, Guzzanti etc etc) sono tutte emigrate verso altri canali? E' questa la ragione del tuo sbroccamento veramente fuori dalle righe oppure stavi cercando un pretesto per andartene via prima che la barca "Rai di qualità" affondi del tutto?
Che poi, se ho capito bene, Fisica o Chimica non era affatto in fascia protetta, che comincia alle 16, né lo era al mattino, prima collocazione, già contestata in passato per analoghi motivi di turbamento della morale dei nostri figli (io non ne ho, ma potrei averne e poi si sa i giornalisti parlano spesso di quello che non conoscono: come facevano Porro-Telese and co che non hanno visto neanche una puntata di Fisica o Chimica. Borgonovo, invece, si ricordava solo di Quino, messo in croce per il suo voto di castità pre-matrimoniale, dimenticando che, qualche puntata dopo, il voto lo rompe eccome con Alma, che poi abbandona per inseguire il suo sogno di diventare una pop-star. Alla faccia della coerenza, eh, Borgonovo?).
Tant'è. Ce l'hanno fatta. Adesso mi toccherà scaricarmelo da internet e guardarmelo quando capita; ma già so che non sarà la stessa cosa. Sono all'antica, io, a me non piace starmene rigida su una sedia a compulsare lo schermo del pc anche per rilassarmi un'oretta.
Vorrei però concludere con una notazione proprio su quel che ho visto in questi mesi.
Ho visto dei ragazzi e delle ragazze con vestiti e trucchi colorati (tutti sponsorizzati in maniera più che sfacciata: semmai su questo ci sarebbe stato da dire qualcosa...), dotati di una certa predisposizione alla recitazione (Gorka è BRAVISSIMO, per esempio), calarsi nei panni di analoghi adolescenti forse un po' svogliati ma con una grande energia vitale. Quest'ultima, certo, era riposta principalmente nel sesso, nell'amore o nel banale ormone reso pazzo dall'età adulta incombente. Il tutto, però, quasi sempre in un'atmosfera leggera ma non superficiale che sì, poteva, può, educare a riflettere sulla diversità.
Personalmente, per dire, sono rimasta un po' disorientata dalla tesi del rapporto a tre proposto da Veronica, la nuova prof di letteratura che vedete in alto nella foto. La tipa, peraltro, è diventata madre a sedici anni di Teresa, una ragazzina che conosce solo nel momento in cui si trasferisce al Colegio Zurbaran, abbandonata ancora in fasce per la sua paura di prendersi una responsabilità che ai tempi considerava troppo grande.
Nell'anticipazione che mandano in onda dopo la sigla di coda, si vede che Veronica ha intenzione di parlare alla figlia della sua visione dell'amore e della coppia.
Io, per esempio, non sono d'accordo con quest'ultima (un pizzico mi sono pure scandalizzata), ma non per questo avrei mai scritto alla Rai per chiedere di spostare il programma. Direi anzi che mi incuriosisce assai vedere come andrà a finire, perché, peraltro, cose del genere succedevano davvero in Europa tra fine anni Sessanta e Settanta (The Dreamers di Bertolucci non parla di cose del genere? E lì le scene sono MOLTO più esplicite che nel contestato telefilm).
Insomma, non tutto quello che mostrano nel telefilm rispecchia il mio modo di vivere né di vedere il mondo, ma che meraviglioso arricchimento (e che divertimento per la bizzarria di alcune situazioni descritte) confrontarsi con altre realtà e che relax (e commozione, in certi istanti) in quell'oretta a spasso nei corridoi dello Zurbaran e nel cortile della scuola.
Adesso, niente, mi toccherà modificare le mie abitudini, spezzettando, forse, la visione del telefilm nell'arco di più giornate. Che tristezza. Che tristezza la polemica e la decisione di quella rigida donna a capo di viale Mazzini, più cattiva della Fornero.
Sembra proprio che questo paese mi stia spingendo alla fuga, ogni giorno di più.
Anzi, magari faccio così: finalmente me lo guardo direttamente in Espanol, così comincio ad allenarmi a esprimermi nella lingua di un paese che non ha smesso di sognare (ritorno della tauromachia a parte: anche in Spagna l'oscurantismo non è stato del tutto battuto, del resto non è mica l'Eldorado).
Solo chi sogna, chi si illude almeno un po', infatti, è ancora in grado di concepire strategie salva-Pil più forti di tutte le paccate di riforme per ora, da noi, per lo più solo annunciate.
Hasta suerte, amigos.

martedì 13 marzo 2012

Strategie di primavera contro la muffa che avanza

C'è del marcio a casa mia, come testimonia la decadente natura morta in alto, composta da mio marito per sottolinearne la proliferazione incontrollabile (e incontrollata).
Ho salvato questa foto già da un po', aspettando il momento giusto per utilizzarla.
In verità, in questo post dovrei parlare del marcio che sta al di fuori delle pareti domestiche, ma l'una e l'altra cosa, in fondo, non poi così così scollegate.
Per dire, in questo momento, sul tetto fuori dalla finestra della mia camera da letto, c'è di nuovo Giuliano Il Muratore, impegnato nella sistemazione dei coppi danneggiati dalle abbondanti nevicate del mese scorso.
A occhio, poi, tra un sampietrino e l'altro della mia via, si celano gore ammuffite e maleodoranti, habitat graditissimo di vermiciattoli e insettini vari.
Insomma, la decadenza materiale è pronta a fagocitare la vita e per combatterla ci vuole impegno (e manutenzione) costante.
Qualcosa mi dice che sia assai più difficile tenerla a bada in ambiti meno concreti di un palazzo o di un frigorifero.
La società italiana dà un po' l'idea di essere sotto assedio di oscure forze necrofore. Sto esagerando? Vorrei dire di no, ma temo che la realtà sia ancora peggiore di come la dipingo io.
Il marcio è arrivato dappertutto e non ci vuole Savonarola per denunciarlo.
Una delle prove più evidenti è la totale resa della classe dirigente alle leggi inafferrabili del sovra-governo della finanza mondiale. Sto delirando? "Pole esse" (il confine tra sanità e pazzia è molto mobile), ma se così non fosse, non si spiegherebbe il plauso generalizzato a un governo "tecnico" fatto di iper-ricchi che niente possono sapere di come va la vita di milioni di persone, sempre più numerose, che comprano scarpe a cinque euro dai cinesi anche in distretti un tempo famosi per le calzature, frequentano con assiduità sempre maggiore i discount in barba al made in Italy e al tutto-bio, e accettano lavori, mansioni mal pagate o pressoché hobbystiche pur di far qualcosa. Come uscirne? Ovvio: cominciando a re-investire sulle persone e sulle cose, tenendo fuori dalla porta la muffa. Ma, onestamente, chi è che lo fa? Chi ha davvero il coraggio di osare e di credere che un altro mondo, pulito e deumidificato, sia veramente possibile?
Secondo me nessuno, tranne, naturalmente, qualche lodevole eccezione. Come posso esserne così certa?
Basta sfogliare qualsiasi giornale o sito internet di annunci economici per vedere inserzioni ridicole, direi anche offensive per chi abbia un minimo di esperienza oltre che di cervello.
Ho scritto qualcosa del genere anche nella precedente vita di questo spazio, ma ritengo giusto insistervi ancora. Ad esempio:
"Edizioni Vivere è una società marchigiana che edita quotidiani online nel centro Italia. Per il 2012 vuole ampliare la propria rete commerciale ed editoriale. 
La società sta dunque cercando Giornalisti, Direttori Commerciali e chiunque abbia voglia di mettersi in gioco nell'informazione online per la gestione autonoma del quotidiano della propria città.
Mettersi in gioco per fare che cosa? Per gestire in autonomia (tradotto? Forse gratis?) l'informazione online della propria città: e che sarebbe, in concreto? Anzi, come dicono da queste parti: che sarrìa?
Sono andata a guardarmi la versione dell'informazione online già attiva nella mia cittadina di residenza. Ebbene: c'erano linkati alcuni comunicati stampa di comune e associazioni varie. Volendo, potrei farlo anch'io: anzi, qualche volta lo faccio davvero, quando voglio mettere in evidenza un contenuto particolarmente significativo.
Da quel che ho capito, sono contenitori per la raccolta di pubblicità, un modo come un altro per vivere (per l'appunto), ma che con il giornalismo, sia chiaro, non ha niente a che vedere.
Un mesetto fa il mio buon padre (che mi legge e perciò non me ne voglia: ambasciator non porta pena) mi ha segnalato la ricerca da parte di un centro per l'impiego di un comune abruzzese di un "giornalista pubblicista esperto di età superiore ai trent'anni in possesso di patente B". Certo, saper guidare la macchina è un requisito in più per chi debba andare a caccia di notizie, ma dal fatto che non mi abbiano risposto ho dedotto che non di questo avevano bisogno (non sono Niki Lauda né mai lo sarò, però avevo potenzialmente tutti i requisiti, più altri che non sto qui a elencare). Molto più verosimilmente cercavano un agente, uno di quelli che vanno di negozio in negozio e di azienda in azienda a comprare pubblicità. Una prassi consolidata in tutte le piccole realtà editoriali, niente da dire; il problema sorge se però le mansioni giornalistiche finiscono per coincidere in tutto e per tutto con quelle commerciali.
In generale, quando la muffa fagocita tutto, si smarriscono le competenze a vantaggio delle professioni-per passione e dell'improvvisazione. Succede in maniera particolare nei mestieri intellettuali e creativi, ossia laddove non si possano stabilire con certezza i denari da corrispondere per prodotti risultanti dalla propria penna/tastiera, pennello/photoshop etc etc. Di recente mi è toccato sentirmi dire da uno pseudo-regista teatrale, un uomo brutto fuori e dentro, se potevo prestarmi per fargli da intervistatrice per un video promozionale di un suo spettacolo, a suo dire, richiestissimo (e come no). Per amicizia nei confronti di una terza persona, gli avevo pure detto di sì, ma soltanto dopo aver chiarito, primo, che le domande le avrei scritte io e, secondo, che volevo essere pagata, poco, magari (mi accontentavo di cinquanta euro, manco una marchetta, in senso biecamente proprio), ma gratis nemmeno a pensarlo.
Com'è andata a finire? Non se n'è fatto nulla.
Idem qualche mese fa per un'altra prestigiosa collaborazione con una testata locale: e dire che in entrambi i casi i proponenti avevano provato pure a lusingarmi, l'una dicendomi che mi corteggiava già da tempo per via della mia fine penna (ma quando mai?) e l'altro per la mia... bellezza!!
La sto facendo troppo lunga, quindi basta.
Voglio concludere, come sempre, con una nota di speranza, attaccandomi, stavolta, alla meteorologia.
Tra due settimane scarse la luce tornerà a illuminare e scaldare colline, tetti e vie: la frutta abbandonata sul mio frigorifero (e dentro), probabilmente, marcirà ancora più in fretta, ma la muffa dovrebbe comunque regredire almeno all'esterno della mia casa, mentre i fiori diffonderanno i loro profumi illudendoci che, sì, un altro mondo più lindo, più gioioso, sia ancora possibile. E a quel punto, ma sì, l'inverno e la scontentezza potranno attendere ancora.

giovedì 8 marzo 2012

Franca Valeri e la vera bellezza

L'arancione è un colore che mi piace molto. Di recente, ho scoperto di avere questa preferenza in comune con Loretta Emiri, un'altra grandissima piccola donna che ho avuto la fortuna di conoscere di recente.
Gli ultimi mesi, come vado dicendo già da un po', sono stati proprio densi, soprattutto di persone e di idee, non so decidermi, sinceramente, se siano state le prime a stimolare le seconde o viceversa.
Quella penna è un dono fattomi da uno di questi incontri così importanti per la mia vita presente.
Non potevo portarmene un'altra per lo scopo che mi ero prefissa: proprio sotto quel bel primo piano divertito, c'è l'autografo, tremolante, della regina Franca Valeri. 
Martedì non sono riuscita neanche ad andare in palestra, tanta era l'ansia di arrivare rilassata (il più possibile) e abbastanza in ordine nel piccolo teatro di Porto Sant'Elpidio (sembravo Zorro, con quel cappello stile Borsalino e il cappottino grigio antracite).
Lo dico subito: "Non tutto è risolto", l'ultima piéce della signora Norsa, non è una commedia per amanti di grasse (e crasse) risate. Direi anzi che a tratti emana una cupezza disperata, di chi sa di guardare la morte molto da vicino. Non che non sia così per tutti, ma l'anagrafe (e purtroppo anche la malattia) non può essere ignorata. Eppure. Eppure, proprio le parole che ogni tanto si perdono e quel lento sostare sul palcoscenico danno al personaggio di Matilde, impersonato dalla Valeri, una potenza dirompente. Ogni tanto, tra l'altro, la voce si fa forte e chiara, come a urlare il desiderio di restare ancora un po', ancora qui, su questa terra e tra persone all'apparenza non troppo amate, snobbate, comandate. 
Nella chiacchierata, la gigantessa del teatro ha precisato di non essere come la protagonista della sua opera. E' ovvio che sia così, ma la sua insistenza mi è sembrata un po' sospetta e non tanto perché abbia impersonato una vecchia bisbetica e difficile, quanto per la fragilità intrinseca della sua contessa, manifestata apertamente con l'arrivo in scena di una carrozzina bianca avorio, scintillante e fredda protesi di un corpo non più efficiente. 
Qualunque sia la verità (ma è davvero importante conoscerla?), mi ci è voluto più di un giorno per riprendermi da un'esperienza di quell'intensità.
Nell'intervista, per forza di cose sintetica e incompleta, ho concluso ringraziandola, come faccio spesso con le persone che mi regalano i loro ritratti. In questo caso, però il mio grazie era particolarmente sentito proprio per la preziosità dell'evento, atteso lungamente e giunto, forse, nel periodo giusto.
Sarò banale, come la Franca mai potrebbe essere, ma la vita è un gran privilegio. Non conviene sprecarla.

lunedì 5 marzo 2012

Le passioni che premiano


Quella che sto per raccontare è una piccola storia di determinazione premiata.
Con la testa (e il cuore) sono già a domani sera, al buio che scende prima che si alzi il sipario e alla luce che lentamente mi mostrerà sul palcoscenico una piccola, fortissima donna che ho inseguito per oltre un anno intero.
Non ho idea se "Non tutto è risolto" mi piacerà davvero, ma quando stamattina ho sentito la tremolante voce di Franca Valeri raggiungermi direttamente a casa mia, mi è sembrato che non fosse passato neanche un giorno da quelli, intensi, appassionati in cui cercavo di conoscerla al meglio delle mie possibilità.
All'origine di tutto, c'è stata la sua autobiografia: ho letto "Bugiarda no, reticente" due volte, la prima, fulminante, in cui mi sono convinta in maniera chiara che sì, DOVEVO a tutti i costi mettermi in contatto con lei. La seconda, per impararne quasi a memoria i passaggi salienti della sua vita, o almeno quelli che lei aveva voluto mettere in risalto.
Naturalmente, già prima di approfondire vita e opere di questo importante personaggio della cultura italiana (e non solo) sapevo che nel parlare con lei mi sarei sentita piccola piccola e che, una volta chiusa la telefonata, sarei rimasta con la stessa (o quasi) autentica fame di conoscenza vagheggiata prima del contatto.
Però sono straordinariamente felice lo stesso, perché la mezz'ora che mi ha regalato, tra i latrati lontani di Roro IV e le valigie da finire per la partenza verso la tappa della tournée in cui potrò finalmente rivederla dopo tanti anni, mi ha restituito un pezzetto della quotidianità di una persona speciale, nella sua acutezza fragile e sincera.
I passaggi più importanti? L'immagine di lei circondata dai suoi animali, Roro e i due gatti di casa, assai simili ai cani, a suo giudizio, proprio perché domestici e l'affermazione che, se potesse, adotterebbe tranquillamente anche una scimmia e una tigre.
Lo sapevo già, mi verrebbe da dire, ma sentirlo direttamente dalla sua voce è tutt'altra storia.
La scrittura di questa nota è stata interrotta da una telefonata che dire inutile è poco.
A proposito dei tempi cambiati e delle arti improvvisate, purtroppo non credo proprio che una giovane Franca Valeri oggi avrebbe le stesse possibilità della generazione dei miei nonni. Per quanto fossero tempi difficili, segnati dal fascismo, dalla guerra e dalla povertà, oggi è decisamente peggio. Péggio, come ha detto la signora Norsa con lieve accento milanese, non del tutto scalfito dai lunghi anni trascorsi nella capitale.
E comunque oggi sono felice. E non c'è nessun ritorno alla realtà (triste e squallida, alla Moretti e il suo Siro Siri) che potrà farmi cambiare umore.

giovedì 1 marzo 2012

Grazie, Lucio


Dovevamo già viaggiare in A112 bianca o forse a bordo della versione della stessa auto immediatamente precedente, turchese come molti dei vestiti che mi comprava la mamma per far risaltare i miei occhi, i "laghi alpini" nella finta lettera d'amore che qualche anno dopo mi ha scritto mia sorella per prendermi in giro.
Mio padre ha sempre avuto un mangianastri portatile, persino adesso ne ha uno, benché le musicassette non ci siano più da tempo. Fondamentalmente, a lui è sempre piaciuta la radio ed è stata proprio la sua abitudine ad ascoltarla, a casa e nei viaggi, a trasmettermi l'amore per le parole, da sentire e da scrivere.
Quando invece i miei genitori decidevano di mettere musica loro, la scelta era davvero limitata, ma comunque di qualità.
Non potrò, credo, mai dimenticare Banana Republic, l'album dal vivo cantato (e suonato) magistralmente da Lucio Dalla e Francesco De Gregori. Mi piacevano moltissimo, in particolare, "Un gelato al limon" e "Ma dove vanno i marinai". Della prima, solo molti anni dopo ho scoperto chi ne fosse l'autore. Ancora più tardi, tra l'altro, ho saputo anche che Lucio, quell'omino con gli occhialini, simili a molte paia che ho posseduto pure io, con quell'aria da folletto simile alla mia, era un raffinato jazzista.
Sul lettore Mp3, scrostato e privo di coperchio della batteria, c'è stato fino a pochi giorni fa il live che l'ha visto affianco a Pupi Avati e al mio amato Paolo Conte. Ho imparato a memoria i suoi tipici vocalizzi, già conosciuti nelle altre canzoni che nei viaggi con i miei genitori ascoltavo divertita.
Non più tardi di un anno fa mi sono goduta, lasciandomi cullare da una dolce nostalgia, la riedizione di Banana Republic a distanza di trent'anni, i due artisti invecchiati, De Gregori, per me, più di Dalla. I piccoli di statura, probabilmente, conservano più a lungo degli altri sembianze infantili, come i nanetti di Biancaneve, un po' rugosi ma tanto bonari. Come molti miei simili, però, anche Lucio Dalla è stato piccolo solo per i centimetri e come tutti è andato incontro al suo destino.
Adesso non piango, anche se confesso che, accendendo la radio e sentendo un pezzo della sua "Piazza grande", qualche lacrima mi è uscita. Riflettendoci dopo, mi sono resa conto che, almeno, lui ha avuto una bellissima vita ed è morto prima di invecchiare davvero, uscendo di scena all'indomani di un concerto che di sicuro avrà deliziato molte persone.
Credo che morire così, dopo aver lasciato tracce di sé immortali, sia il sogno di tutti, o per lo meno di tutti i grandi artisti. Un privilegio del genere, purtroppo, non capita sempre, quindi, oltre il sincero cordoglio per la fine di una vita e la malinconia per l'addio a un altro pezzo della mia infanzia, voglio dire anche grazie a Lucio. Ti dico grazie, Lucio, per avermi accompagnata negli anni della crescita e per avermi strappato più di un sorriso per i tuoi pelacci neri da piccola scimmia e i tuoi berretti di lana così stravaganti.
Se sono diventata quella che sono, con tutti i difetti e i pregi eventuali, un po' c'entri anche tu e il tuo Gesù bambino di periferia.